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Meravigliosa storia di resistenza del Marocco

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Il Marocco batte 1-0 il Portogallo e vola in semifinale. Un record assoluto per una squadra africana. Una meravigliosa storia di talento, resistenza e speranza che solo un Mondiale può raccontare

Allo sceneggiatore dei discussi e discutibili Mondiali qatarioti la penna è decisamente sfuggita di mano. Perché il Marocco in semifinale (1-0 al Portogallo), dopo aver messo in fila Spagna e i lusitani, senza incassare neppure un gol, è davvero troppo. Anche per una nazionale forte, quadrata, di qualità come quella dei figli del Maghreb, che sono diventati grandi lontano da casa, da migranti del pallone.

E’ una meravigliosa storia di resistenza, speranza, talento che solo un Mondiale può raccontare. Tutti inginocchiati a fine gara, a ringraziare Allah: il Marocco è la prima squadra africana a raggiungere le semifinali in Coppa del Mondo. Meglio di altre nazionali con assoluti fuoriclasse, dalla Costa d’Avorio di Drogba e Yaya Tourè, allo storico Camerun di Roger Milla. Sono andati oltre, i marocchini. Anche contro il Portogallo è stato esibito il campionario mostrato in 20 giorni di Mondiali. La classe infinita di Ziyech, quei posseduti dal demonio di Amallah e Boufal – l’asse di sinistra del Marocco – sino agli sprint di Hakimi, poi il sorriso e le parate di Bono. Una fase difensiva gigantesca, quella marocchina: ancora nessuna squadra è riuscita ad andare a segno contro i nordafricani, che hanno preso gol solo su autorete. Un segnale importante, un segnale storico: l’Italia di Marcello Lippi, campione del mondo nel 2006, subì solo una marcatura (oltre a un autogol) sino alla finale con la Francia.

E poi, l’incredibile metamorfosi di Amrabat della Fiorentina, che in queste settimane sembra una specie di muro dai piedi buoni e polmoni d’acciaio. Una sintesi tra Casemiro e Modric, restando all’era contemporanea. Amrabat e compagni hanno svuotato di certezze il Portogallo dei giovani (potenziali) fenomeni, da Joao Felix a Ramos, mandando forse in soffitta la generazione di Cristiano Ronaldo, Bernando Silva, Pepe, che ha vinto un’edizione degli Europei, ma che avrebbe potuto e dovuto, per quantità siderale di talento, fare di più. E mentre nelle piazze italiane, tra Milano, Roma, Napoli, Torino, si celebra l’exploit marocchino, nelle due ore di calcio più importanti della storia del Nordafrica si è consumato l’ultimo ballo di Ronaldo, in lacrime a fine partita. Per l’asso portoghese è con ogni probabilità il canto del cigno con la nazionale e con il pallone che conta qualcosa. Lo attende l’Arabia Saudita, 200 milioni di euro in due anni che lo renderanno ancora più ricco di quel che dice il suo conto in banca.

E’ anche difficile vederlo così, sebbene il personaggio si sia mai distinto per empatia: scaricato dal Manchester United, messo in panchina dal ct portoghese, poco sopportato ormai da tutti. Il calcio che l’ha reso immortale ora gli presenta il conto in poche settimane, mentre Messi raggiunge il punto più alto della sua carriera con la casacca dell’Argentina. Un vecchio adagio dello sport invita a non sottovalutare mai il cuore di un campione. Ma in questo caso – a differenza del Marocco, in attesa di Francia o Inghilterra – la stesura della sceneggiatura pare definita.

di Nicola Sellitti

Fonte: La Ragione

 

 


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