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MELONI, NON DIRE BALLE: ECCO I VERI DATI SUI PROFUGHI

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Secondo la leader di FdI, solo l’8% dei migranti irregolari ha ottenuto protezione o asilo. Ma i dati 2021 della Commissione nazionale la sbugiardano: tra approvazioni dirette e ricorsi è stata riconosciuta a 6 su 10

Gianfranco Schiavone

Perché tante volgari mistificazioni? Beh, semplice. Se davvero lei e Salvini svelassero i numeri reali, -e cioé che la maggior parte di chi sbarca ha diritto di migrare, i due non potrebbero più invocare respingimenti, blocchi navali e zattere affondate in mare
Con la consueta aggressività che la contraddistingue la signora Meloni si lasciava andare, in una intervista rilasciata a Fanpage, alle seguenti affermazioni: «Anche con una interpretazione molto generosa delle norme sui rifugiati che è stata applicata dall’Italia in questi anni solamente l’8% di chi è sbarcato illegalmente ha ottenuto il diritto ad asilo o protezione. Volgari falsità, sbugiardate dai dati reali, quelli della Commissione nazionale sul diritto d’asilo. Che nel 2021 mette a verbale come la protezione sia stata riconosciuta al 28% dei richiedenti, ai quali va aggiunto un ulteriore 14% di riconoscimenti di status di protezione speciale. Se aggiungiamo anche i ricorsi, arriviamo al 60% di approvazioni,
Con la consueta aggressività che la contraddistingue, il 19 agosto, la signora Meloni si lasciava andare, in una intervista rilasciata a Fanpage, alle seguenti affermazioni: «Anche con una interpretazione molto generosa delle norme sui rifugiati che è stata applicata dall’Italia in questi anni solamente l’8% di chi è sbarcato illegalmente ha ottenuto il diritto ad asilo o protezione», aggiungendo subito dopo che «Gli altri, per la quasi totalità uomini soli adulti in età da lavoro, sono semplicemente immigrati illegali. Una situazione insostenibile, anche in termini di sicurezza, per l’Italia e per l’intera Europa».
Le opinioni in democrazia sono libere e ogni tesi può essere presentata al pubblico dibattito, ma il primo criterio per valutarla è capire su quali assunti essa poggi. Non c’è nulla di male nel sostenere, ad esempio, che la terra sia piatta; altro è però dimostrarlo. Secondo i dati ufficiali forniti dalla Commissione nazionale per il diritto d’asilo nel 2021 la protezione internazionale è stata riconosciuta, già in sede amministrativa, al 28% dei richiedenti (14% status di rifugiato e 14% status di protezione sussidiaria) al quale va aggiunto un ulteriore 14% di riconoscimenti di status di protezione speciale, la forma di asilo basata sul nostro diritto interno in attuazione dell’art.10 della Costituzione. Complessivamente dunque si arriva al 42%. Si tratta altresì di dati incompleti in quanto non comprendono gli esiti dei ricorsi giudiziari avverso i dinieghi; dati che la Commissione nazionale non rende pubblici, anche se pur dovrebbe. Dunque per capire quale sia l’esito dei ricorsi è necessario ricorrere a degli studi scientifici; uno dei più accurati e recenti è senza dubbio uno studio di Monia Giovannetti pubblicato sulla rivista Questione Giustizia il 3.05.2021 con il titolo “La protezione internazionale nei procedimenti amministrativi e giudiziari”. Nel prendere in esame il decennio 2010-2020 l’autrice acutamente evidenzia come «anche l’analisi sugli esiti amministrativi positivi, evidenzia un andamento assai irregolare e significativamente condizionato dagli interventi normativi intercorsi negli ultimi anni» per successivamente esaminare gli esiti dei procedimenti conclusi presso i Tribunali ordinari dal 2016 fino al primo semestre 2020; manca dunque a questo studio un’analisi dell’ultimo anno, il 2021; tuttavia esso abbraccia un arco temporale molto ampio e dai dati consolidati emerge che sui 138mila procedimenti definiti il tasso di accoglimento è risultato del 37,5%. L’analisi prosegue poi sui procedimenti in appello (non più possibili dall’agosto 2017) e sul contenzioso in Cassazione che non esamino in questa sede perché esorbita dalle ristrette finalità di questo articolo. Cosa ci dicono dunque i dati sull’esito del contenzioso? Adottando un atteggiamento il più prudente possibile è difficile non convenire con le valutazioni dell’autrice del saggio laddove, nelle conclusioni, analizzando la traiettoria dei contenziosi ancora pendenti, evidenzia come si possa «giungere a ipotizzare che coloro i quali giungeranno ad avere un titolo di soggiorno per protezione e dintorni, saranno il 59% (ovvero 6 su 10) anche all’esito delle relative impugnazioni giurisdizionali». Qualunque punto di vista si adotti dunque, anche il più restrittivo possibile, e persino volendo fingere che i ricorsi non esistano, l’affermazione che solo l’otto per cento di coloro che chiedono asilo in Italia ne hanno diritto non è una svista né una lettura riduttiva ma è solo una grossolana e volgare falsità. Perché Meloni lo ha fatto? La motivazione mi appare chiara: cercare, come fece il suo predecessore Salvini, di fingere che i ricorsi non esistano o ignorare i dati della protezione speciale sostenendo che si tratta di un “regalo”, non sarebbe servito a nulla perché se si accettano i dati di realtà ovvero che uno su tre o persino uno su due dei richiedenti asilo che giungono in Italia hanno diritto alla protezione sulla base del diritto internazionale ed europeo al quale l’Italia è vincolata, non si può poi più sostenere pubblicamente che gli stessi possono essere respinti alle frontiere e affondati in mare. Ne deriverebbe la fine della proposta del blocco navale e di tante altre sciocchezze ad essa in qualche modo collegate, compresa quella degli hotspot in Africa, o quella della legittimità dei respingimenti e delle riammissioni e così avanti. Se la realtà si scontra con il proprio percorso di conquista di potere, dunque semplicemente va negata. La terra è rotonda, anche la Meloni lo sa; ma che diventi piatta se serve!
Potremmo chiudere qui l’analisi su questa pagina di consueta volgarità politica ma chiedo invece al lettore un ulteriore sforzo per riflettere sulla questione di coloro, che sono comunque molti, che, pur chiedendolo, non ottengono alcun diritto alla protezione. Essi vengoper no inquadrati dalla Meloni – ma anche da una lunga fila di altri politici e di variegati opinionisti – solo come falsi avventurieri, invasori e nemici. Facciamoci però la semplice domanda: chi sono queste persone e perché esse arrivano affrontando ogni sorta di rischio, attraversando i deserti e morendo in mare e nelle rotte via terra in numero così elevato come se fossero in guerra? Perché non sono venuti in modo legale, nello stesso tempo rispettando le regole e mettendo al riparo le loro vite? Sono dunque orde di pazzi criminali? Le risposte ci sono anche se non le vogliamo vedere perché ci pongono di fronte a una realtà sgradevole: sono persone che vengono per cambiare la loro vita (come hanno fatto milioni di emigranti italiani) e lo fanno ricorrendo a vie estreme e pericolose non per loro folle scelta ma perché quei canali di ingresso regolare che tutti invocano di volere, persino a destra, semplicemente non esistono; non è infatti quasi possibile entrare regolarmente in Italia inseguendo l’obiettivo di quasi tutti i progetti migratori: il lavoro. Non esiste nel nostro ordinamento la possibilità per un cittadino straniero di fare ingresso regolare in Italia per ricerca di lavoro in presenza di precisi requisiti verificabili riferiti alle sue risorse economiche o a sponsorizzazioni di terzi e al possesso di documenti validi. Eppure la migrazione per ricerca lavoro legata all’esistenza di una catena di contatti è il modo consueto in cui avvengono, ovunque, le migrazioni, e spetta al legislatore non certo ignorare od ostacolare questa realtà ma solo regolarla in modo rigoroso evitare distorsioni e soprattutto per far sì che le migrazioni non siano più organizzate e guidate dalle organizzazioni criminali, oggi veri padroni incontrastati della scena, ma da meccanismi trasparenti e da procedure legali. Ovviamente tale approccio ha un senso se politicamente si accetta che le migrazioni sono una dimensione ineludibile che caratterizza la fase storica che viviamo e non qualcosa che si può rimuovere, negare o da cui si può fuggire. Improntata da sempre su un approccio iniquo e irrazionale, la normativa italiana ha invece previsto che il (quasi) unico canale di ingresso regolare in Italia per lavoro sia quello costituito da un incontro a distanza tra domanda e offerta di lavoro che dovrebbe avvenire prima dell’ingresso in Italia dello straniero nell’ambito di quote predeterminate attraverso i cosiddetti decreti flussi il cui numero è quasi sempre sottostimato e soggetto a procedure burocratiche estenuanti. Prevedere che il datore di lavoro assuma a distanza e con tempi indefiniti una persona che non ha mai incontrato rappresenta un approccio irrazionale che ha prodotto distorsioni profonde poiché la gran parte degli stranieri da più di vent’anni a questa parte sono stati e sono tuttora costretti a entrare in Italia in modo irregolare, o regolare per i fortunati che non hanno bisogno di visto, ma poi, entrambe le categorie, sono dovuti rimanere a soggiornare illegalmente e lavorare in nero quasi sempre in condizioni di grave sfruttamento. Ciò perché, oltre a irrazionalmente non prevedere l’ingresso regolare per ricerca lavoro, la normativa vigente (mai modificata dalla sinistra quando pur avrebbe potuto) non prevede la possibilità di regolarizzare ex post la propria condizione di soggiorno in caso di una prospettiva concreta di inserimento sociale e lavorativo. Unica possibile finestra sono state le periodiche regolarizzazioni, o sanatorie che dir si voglia, attraverso le quali sono passate milioni di persone oggetto di altrui giochi: la sanatoria è infatti decisione arbitraria della congiuntura politica di un dato momento mentre la scelta se usarla o ignorarla non è dello straniero che vuole così emergere, bensì è appannaggio del datore di lavoro/padrone che tutto decide e dispone. Emerge quindi una storia di lungo corso del sistema italiano di gestione delle migrazioni ben diversa e orrenda rispetto alla facile immagine dell’orda degli stranieri pazzi, avventurieri e criminali che invadono l’italico suolo e attentano alla nostra sicurezza, ovvero quella di milioni di persone costrette a scelte drammatiche per arrivare da noi salvo poi vivere qui con diritti dimezzati come lavoratori sfruttati stretti nella morsa della mancanza di permesso di soggiorno e del ricatto del lavoro nero. Dopo tanti anni dall’inizio della storia dell’Italia come paese non più solo di emigrazione ma anche di immigrazione, per gran parte della società italiana – non solo quella che vota a destra – lo straniero è purtroppo ancora una sorta di “non-persona”, utile per tutto, anche per la scalata al potere dei soggetti più spregiudicati, ma che non conta nulla, per riprendere una ancor valida nozione proposta più di vent’anni fa dal grande sociologo Alessandro Dal Lago recentemente scomparso.

Fonte: Il Riformista