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Marx va bene, i marxisti no. E la Cina chiude i circoli studenteschi

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Il partito si chiama comunista, il regime è marxista e maoista, il Filosofo viene doverosamente ricordato in tutto il Paese nel duecentesimo della nascita. Ma i circoli marxisti no, quelli non vanno. Soprattutto se sono circoli studenteschi. Le teste calde non aiutano a raggiungere gli obiettivi della crescita e della produzione.

Sarà perché nel Partito Comunista Cinese non hanno mai dimenticato Piazza Tiananmen e quei settemila universitari che furono piegati solo grazie ai cingolati, ma quando nelle accademie inizia a tirare un vento di dissenso non ci mettono molto a intervenire.

L'attimo fuggente della Società dei Marxisti

Così, dopo aver ospitato poche settimane fa un convegno che ha visto il segretario generale Xi Jinping ribadire la linea dell’ortodossia di fronte ai massimi studiosi cinesi del marxismo, l’Università di Pechino ha fatto sapere che, per quest’anno, non sarebbe stata rinnovata l’autorizzazione ad operare alla locale organizzazione degli studenti marxisti. Motivo: non avevano trovato un docente che, come vogliono le regole, si facesse garante della loro serietà.

A dire il vero, uno lo avevano trovato, ma non era un docente di marxismo. E su queste cose bisogna essere esigenti: si tratta dell’ideologia fondante del sistema.

Ora, verrebbe da pensare che si potesse trattare di un caso isolato, dovuto alla dabbenaggine di quale ragazzo poco attento ai dettagli contenuti delle regole. Solo che, passati due giorni, lo stesso è accaduto all’Università di Nanchino, così come ad un secondo ateneo della Capitale. Troppe coincidenze per non fare non si dica una prova, ma almeno un sospetto.

Il fatto è che dopo aver avuto cura dei giornalisti e di altre categorie lavorative, il regime cinese ultimamente ha preso a controllare con attenzione proprio gli studenti. Si era diffusa, infatti, una pericolosa tendenza al deviazionismo: pensare che il marxismo fosse stato elaborato per criticare il sistema capitalista e aiutare le classi meno abbienti. Lo aveva affermato la scorsa primavera, in un convegno tenuto a Guangzhu, un giovane chiamato Zhang Yunfun, un giovanotto proveniente proprio dal circolo dell’Università di Pechino.

Si è preso sei mesi di reclusione per disturbo della quiete pubblica.

#Metoo è nato a Treviri

Non si tratta solo del principio dell’autocoscienza del proletariato. È che il marxismo ora viene invocato anche dal locale movimento #Metoo, che invoca il pensiero del Fondatore per contrastare il fenomeno, assai diffuso nelle università, dei professori che se ne approfittano delle studentesse. E qui non i può non notare che più al marxismo le giovani cinesi si rifanno all’eurocomunismo. Marx infatti diceva che non è libero un uomo che opprime un altro uomo, ed Enrico Berlinguer che non è libero un uomo che opprime una donna.

Proletari di tutto il mondo, siete licenziati

Più legate invece alle teorie marxiane classiche le manifestazioni degli studenti che ad agosto, a Shenzen, si sono ritrovati da ogni parte della Cina per manifestare – ohibò – in sostegno della causa di un gruppo di lavoratori. Erano stati licenziati dalla fabbrica dove avevano tentato di dar vita ad un sindacato indipendente. A Danzica Solidarnosc nacque proprio così.

Certo, alla fine l’Università di Pechino ha graziosamente informato che alla fine un docente di marxismo pronto a garantire per il circolo era stato trovato. Ma non si capisce bene se sarà un tutore o un controllore. Ma dietro c’è dell’altro, forse.

Un precedente molto pericoloso

Le autorità cinesi, infatti, hanno la memoria lunga, e sanno che bisogna sempre stare attenti a chi si aggira per i corridoi dell’Università di Pechino. Cento anni fa, ad esempio, un gruppo di studio venne frequentato da un giovane facinoroso che non era nemmeno uno studente. Era un bibliotecaro. Si chiamava Mao Zedong.

Vedi: Marx va bene, i marxisti no. E la Cina chiude i circoli studenteschi
Fonte: estero agi


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