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L'ultimo singolo dei Maneskin e le altre nuove uscite della settimana

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AGI – Molto belli i dischi di Gemitaiz, Liberato, Nu Genea, VV e Amalfitano; tutte visioni musicali intellettuali, divertenti e profondamente autentiche. Fuori questa settimana e particolarmente interessanti i nuovi singoli dei Maneskin, di Mecna, di cmqmartina, dei Legno e il duetto tra gli Zen Circus e Brunori SaS. Male il singolo di Gio Evan, un disastro il disco di LDA. Chicca della settimana, l’album di Marta Tenaglia, davvero una perla rara. A voi tutte le nostre recensioni.

Maneskin – “Supermodel”

Un brano su un amore tossico, quello di una modella anni ’90 che cerca di ritrovarsi tra glamour e droghe. La band romana devia dal percorso rock evocativo per proporre un pezzo in cui lo stile non viene troppo smontato dei propri punti cardine, ma la potenza piuttosto che da audaci schitarrate, proviene dagli archi di un’orchestra. La canzone suona benissimo, i ragazzi appaiono in forma, il successo internazionale poteva impagliarli in una formula che funziona, invece loro decidono di andare un po’ oltre. Non sarà il loro pezzo migliore ma è certamente un passo in avanti nel campo minato della discografia mondiale, che ormai è il loro campo di gioco, quello che si sono guadagnati con lavoro intenso e talento puro. Bravi.

Gemitaiz – “Eclissi”

Nonostante siano anni che ascoltiamo Gemitaiz e ne scriviamo entusiasti, ci risulta ancora stupefacente la sua capacità di spaccare con la propria musica quella sorta di corazza, a livello di sound, anche fisica, quella malinconia dello sguardo, quella durezza nell’atteggiamento; come se il rap fosse la sua confessione, un luogo altro in cui si sente più libero di essere se stesso. Stupefacente come riesca a bilanciare le emozioni, a dare una dimensione fortemente street, cupa, quasi impenetrabile, a dei brani che trasudano un romanticismo che aprirebbe sorrisi anche sulle rocce.

Gemitaiz si conferma uno dei nostri migliori rapper, non solo perché tecnicamente perfetto nella costruzione delle barre, negli intenti narrativi, la disinvoltura con la quale cura la propria inventiva, con la quale si destreggia dentro il complicato rap game italiano; ma perché è evidente, ascoltandolo, l’urgenza artistica che lo spinge ogni volta un passo in avanti nella sua storia.

Forse, anche per questa matrice profondamente intima, i brani che ci sono piaciuti di più sono quelli durante i quali non viene accompagnato da altri colleghi, come “Qua con me”, “Silenzio”, “Ciao baby” e “Adesso”, ma la cosa straordinaria è che anche quando si ritrova in featuring, manco a dirlo con alcuni dei migliori musicisti della nostra scena urban, riesce a tirarli dentro la sua stessa nostalgia, in questo senso fantastiche le collaborazioni soprattutto con Coez e Marracash in “K.O.” e con il genio Venerus in “Ogni volta”. Gran bel lavoro.

Liberato – “Liberato II”

Il nuovo disco di Liberato prima di tutto non è accompagnato da quell’inutile morbosa curiosità rispetto l’anonimato, perché se a me interessa solo la musica che fai e non la faccia che hai, tutta ‘sta storia dell’anonimato perde totalmente di significato; a meno che ad una certa non si scopre che Liberato è Luca Laurenti, o Stefania Sandrelli, o Hristo Stoičkov o Uan di Bim Bum Bam, tutte opzioni che ci renderebbero enormemente felici, che in qualche modo addirittura ci restituirebbero speranza nel mondo, darebbero senso alla nostra vita, ma così non è e probabilmente non sarà, quindi meglio farsene una ragione e ascoltare il disco.

“Liberato II” presenta delle significative differenze con il primo album, l’artista partenopeo infatti fa qualche passo indietro rispetto alla descrizione dell’epica della street napoletana, i brani sono decisamente più lavorati, largo spazio alle iperproduzioni, che allontanano un passo in più Liberato da quel neomelodico che lui in principio sembrava proprio voler rispolverare, riportare ai nostri giorni in versione gourmet. Notiamo qualcosa di diverso anche nella sua voce, è più squillante, meno lavorata, più dentro i racconti, è stato dato più spazio all’interpretazione, che potrebbe essere un qualcosa in più dato all’ascoltatore, ma un passo dentro la storia ti fa cambiare visuale e questo cambiamento si nota parecchio, Liberato non racconta più con un occhio esterno, come se sbirciasse le storie per poi celebrarle in musica, ma ci si ritrova immischiato e questo interviene inevitabilmente sui brani.

Si tratta di un ottimo disco, portato a casa con gusto, che sia chiaro, ma è altrettanto chiaro che il progetto Liberato in sé, se proseguirà sempre nella stessa direzione, poggiandosi semplicemente sull’apparato video architettato da Francesco Lettieri e questa stravaganza incappucciata, prima o poi stuferà. E sarebbe un peccato perché il progetto è ricco di ciccia.

The Zen Circus feat. Brunori SaS – “Ok boomer”

Un’amara leggerezza messa su pentagramma con mestiere da due realtà, quella degli Zen e quella di Brunori, che su questa autenticità, rispetto alla propria storia, alla propria vita, si sono giocate tutto. E hanno vinto. La consapevolezza di Appino e Brunori è uguale alla nostra, è comune a chiunque guardi con un certo sospetto il numero infuocato sulla torta di compleanno, sempre più pericolosamente alto, un numero dentro il quale non ci si riconosce, e non perché portiamo jeans strappati con una certa disinvoltura, ma perché consapevoli che una certa visione del mondo è rimasta la stessa, che siamo ancora i maleducati di una volta, o perlomeno ci piace pensarlo, ed eravamo certi che a questo punto della nostra vita non ci saremmo arrivati mai.

Ed è proprio questa alle volte ridicola convinzione a trasformarci in boomer, questo mostro mitologico e pericoloso, noi giovani di ieri che ci rifiutiamo categoricamente di crescere e maturare, anche se poi la tua schiena implora pietà, anche se poi ti accorgi che “Tu che sfottevi tuo padre/E adesso invece tuo padre sei tu/E fra i ragazzi di oggi/Tu non ci sei più”. Gran pezzo.

Francesco Renga – “Mille errori”

Renga forse ha capito che quel cannone di voce che ha va utilizzato con parsimonia, non per forza bisogna scrivergli attorno interi pezzi per mostrarlo. Cioè, si può chiaramente, Renga non fa altro da una trentina d’anni in realtà, però non è più tempo, l’Italia si è messa alle spalle questa ossessiva dipendenza dal bel canto, dalla melodia a tutti i costi, tutta roba nella quale Renga, fin dai tempi dei Timoria (forse soprattutto nel periodo Timoria) è un fenomeno vero.

In questo brano, di matrice nostalgica, sull’accettare gli errori del passato, si trattiene, si impegna più nell’interpretazione, in certi punti sfiora anche la metrica del rap, senza però cascare nel tranello dell’inseguimento affannoso a generi che fisiologicamente non gli appartengono. Non è una canzone entusiasmante, questo bisogna dirlo, ma in qualche modo è portata a casa, diciamo che non è il 1001esimo errore.

Mecna – “Sempre il buio”

Rap ballad dalle tonalità in bianco e nero, un monologo interiore spietato, guardando alla luna, con la profondità derivante da una poetica intima e cupa, ma senza che in bocca resti quel sapore di tristezza a buon mercato.

Capo Plaza – “Goyard”

Certamente il miglior brano in assoluto di Capo Plaza, che troviamo finalmente maturo, finalmente centrato, finalmente più impegnato nel costruire un sound che non punta sulla semplicità, anzi, suona proprio come suonano i grandi pezzi rap. Era ora.

PSICOLOGI feat. ThaSupreme – “NLFP”

Una collaborazione naturale quella tra PSICOLOGI e ThaSupreme, due delle più iconiche e generazionali realtà della musica attuale. Il brano infatti è scritto con la spregiudicatezza e la semplicità tipica dei giovanissimi, sono tutti 2001, ma anche con talento, con orecchio. “Non lo faccio più”, mantra cantato con la convinzione di chi ha esagerato e sa che succederà ancora. Bravissimi.

Shiva – “Non è easy”

Se le tematiche sono ancora gonfie di cliché, se questa durezza firmata ci fa scappare un risolino isterico e incontenibile, il pezzo suona proprio bene e anche queste parole che crepitano in bocca non sono affatto male.

Gio Evan – “Hopper”

Gio Evan torna a proporci la sua visione eterea e liceale della musica. “Hopper” non è la cosa peggiore del mondo, anzi, è costruito badando ad inserirci guizzi, sono i testi che sono troppo leggeri, che sfuggono alla logica di un qualsiasi maggiorenne, questa poetica spiattellata fa perdere di credibilità all’opera, che scorre liscia senza che nemmeno si capisca bene di cosa si stia parlando, quale sia esattamente il problema.

Pyrex – “Sinfonia della distruzione”

Il nuovo cantautorato avrà queste sonorità, questi toni, questo stile di scrittura terra terra; nessuna melodia, nessun cantato struggente, anche quando si racconta di una storia d’amore evidentemente sull’orlo del precipizio, come in questa “Sinfonia della distruzione”, che non è naturalmente una sinfonia, non ha la potenza evocativa della sinfonia, ma è un brano complesso, sentito, di carattere, certamente la cosa migliore mai partorita da un membro della Dark Polo Gang.

Dani Faiv feat. Drast – “Foto di noi”

Dani Faiv è uno dei più bravi rapper in Italia a sapersi dosare, ad andare in fondo alle trame dei suoi brani senza farsi trascinare da quella corrente machista fine a se stessa, così comune nel nostro circuito urban. “Foto di noi” è una collaborazione evidentemente autentica, dove non arriva il rappato di Dani Faiv arriva il suonato, il composto, il cantato di Drast, che è una metà dell’anima degli PSICOLOGI. Il risultato di questo incontro è un pezzo forse non proprio adulto, tocca l’argomento amore in modo un po’ superficiale, ma certamente centrato.

Nu Genea – “Bar Mediterraneo”

World music di qualità, che oltrepassa quegli antichi limiti della tamburellata a tutti i costi per porsi in un ambient decisamente più cool, più moderno, più accattivante. I Nu Genea, da anni ormai, sono una delle realtà musicali più internazionali e più intellettuali che abbiamo, ascoltarli provoca autentica gioia.

Rose Villain feat. Tony Effe – “Michelle Pfeiffer”

Se la natura cafonal del brano non si può nascondere in nessun modo, la narrazione che richiama al personaggio interpretato da Michelle Pfeiffer in “Scarface”, capolavoro di Brian De Palma cui profondità un’intera generazione di rapper ha evidentemente frainteso, è molto delicata e ben fatta. Tony Effe non ha mai messo la firma su un brano così sensato. Era ora.

Cmqmartina – “123 medicine”

Brano intimo, decisamente maturo, in cui a farla da padrona è l’atmosfera sospesa, che però ti pesa addosso come se si fosse attaccata alle spalle. Una canzone eccezionale che non può che confermarci ciò che abbiamo notato immediatamente quando abbiamo conosciuto cmqmartina grazie a X-Factor, ovvero che si tratta di un’artista vera con prospettive di crescita potenzialmente altissime.

Boro Boro feat. VillaBanks e Fred De Palma – “El Amor”

In un panorama intellettualmente desertico, e ci riferiamo a quello del reggeaton, questa “El Amor” non è un cataclisma che spazzerà via la nostra razza; cosa che, dobbiamo ammetterlo, più volte abbiamo pensato di certe scempiaggini. Certo, si, è un singolo destinato alle casse di un lido che frizzano consumate dalla salsedine, si ascolta mentre si mangia un panino con la bresaola, ti accompagna in fila mentre compri una birretta per dissetarti a metà pomeriggio sulla spiaggia, non è che possiamo trovarci altra utilità; ma si fa ascoltare.

LDA – “LDA”

In un certo ambient musicale non c’è spazio per i progetti, per le idee, non c’è evidentemente il tempo per crescere e commettere errori, non se lo possono permettere questi ragazzini bellocci, perché se fai un errore, taaac, già hai un’altra classe di ragazzini bellocci pronti a prendere il tuo posto. Parliamo di musica destinata ad un pubblico televisivo, abituato al flusso dello zapping, dove non c’è spazio per l’introspezione, e quando c’è è talmente bassa da affogare in un bicchier d’acqua, in una sola parola: spot. Ecco, questi non sono brani, sono l’idea che la tv vuole trasmetterci di un brano, dove tutto è breve, confortevole e mai destabilizzante.

LDA ha dichiarato di essere andato ad “Amici” per togliersi un’etichetta, quella di “figlio di…”, Gigi D’Alessio in questo caso, ma il ragionamento non torna: per evitare di essere additato come figlio di Gigi D’Alessio ti esponi in un talent televisivo? Quale sarebbe il nesso? Quando era ancora dentro il format si è anche reso protagonista di un rabbioso e imbarazzante monologo contro l’assegnazione de “La paranza” di Daniele Silvestri, cui testo, evidentemente, non si era nemmeno fermato a leggere due minuti, scambiandolo per una sciocca filastrocca al grido di “A me sarebbe andato bene anche il reggaeton, ma almeno parlava di qualcosa. Non può essere possibile. Penso che questo pezzo faccia schifo”. Stupisce? No. Infatti si leggono i testi di questo suo esordio e sono un disastro di retorica preadolescenziale totale. Una roba plastificata, finta, che risulterebbe ridicola anche se comparisse nel diario di un ragazzino delle medie.

Management – “Più mi odi più mi amo”

Un ragionamento leggero ed efficace sulla questione degli hater, pubblico di noi in quanto show, spettacolo, intrattenitori. Un inno all’esposizione sfacciata, contro tutto e tutti.

Marta Tenaglia – “Guarda dove vai”

Era oltre un anno che non vedevamo l’ora di affondare i denti dentro il disco di Marta Tenaglia, letteralmente corteggiati e rapiti dai primi singoli distribuiti in questi mesi. Ora finalmente ci siamo, “Guarda dove vai” è fuori, possiamo tirare le somme, fare i conti, che sono semplici in realtà, infatti anche senza essere dei draghi della matematica, e noi in questo senso siamo poco meno di pulci, sapevamo di riporre al sicuro le nostre aspettative, che nel disco, oltre a “Ventilatore”, “Alda Merini centravanti”, “Chi può”, “Osmanto”, “Bonsai” e “Invisibile”, che già non solo ci sono piaciuti, ma sono entrati a far parte dei nostri ascolti giornalieri, nelle nostre playlist più consumate, avremmo incontrato “Ikea”, “Presomale” e “Sono oceano”, altre perle, altri brani che daranno un po’ di pace alle nostre orecchie mitragliate dalla bruttura.

Marta Tenaglia è sicuramente tra le artiste più illuminate del nostro panorama, la sua visione così lavorata, delicata, intensa e sensuale della musica non conosce repliche, non sa di niente che abbiamo già sentito; riesce a dare già ora, nell’immediato, un nuovo sapore a quel cantautorato iperprodotto, affascinante, futurista, che sta piano piano, felicemente, prendendo piede nella nostra discografia. Poi, attenzione, noi andiamo a guardare sempre il prodotto finale, tentiamo di ricostruire la genesi di un lavoro solo quando c’è qualcosa che non ci torna, proprio per capire quali sono le dinamiche discografiche e autoriali; ma non abbiamo assolutamente nulla contro le canzoni firmate da più mani.

Però, tutti i brani di “Guarda dove vai” portano una sola firma per ciò che riguarda scrittura ed interpretazione, quella di Marta Tenaglia, e una sola firma per quel che riguarda la produzione, affidata a Federico Carillo (ottimo anche il suo di lavoro, ovviamente); ci chiediamo dunque quanto incida questo aspetto nell’intimità che scaturisce fluida dai brani, senza bisogno di mille voci che fanno da guardarail per non farti uscire dal percorso produttivo che hai scelto di intraprendere.

Le canzoni di Marta Tenaglia hanno dunque in più la forza di mantenere saldo e chiaro uno stile ben preciso, che appartiene a lei e lei soltanto, totalmente accessibile a tutti, senza che sia stata costretta a rinunciare a colpi di tacco spettacolari, guizzi interpretativi, giochi di suoni, bellezza antica riportata ai nostri giorni in maniera moderna ed efficace, tutte sensazioni fortemente percepite dalla prima all’ultima nota. Parliamo di una artista completa, pronta per il largo pubblico, pronta per rappresentare un punto cardine nel panorama pop italiano. Non solo indie, non solo femminile. Tutto.

Amalfitano – “Il disco di Palermo”

Da Amalfitano, noi lo ricordiamo sempre, la migliore voce di tutto il panorama musicale italiano, non potevamo aspettarci niente di meno di un esordio col botto. “Il disco di Palermo”, oltre, semplicemente, a contenere bellissimi brani, evocativi di un certo nostro passato cantautorale mai troppo celebrato, ci riferiamo per esempio al Battisti post Mogol, giusto per citare l’esempio più popolare; è un lavoro che possiede un’anima ben precisa, un’anima che non è tenuta insieme solo dall’interpretazione magistrale di Amalfitano o dagli intenti in fase di produzione, chiari, chirurgicamente precisi, ma anche da un’ambient sonoro che si respira in tutta l’opera, che spesso deraglia piacevolmente aldilà delle righe, andando a toccare con sicurezza luoghi spesso inesplorati dal nostro pop più classico.

I brani è come se ti tirassero dentro una storia, come se attraverso loro si riuscisse a percepire chiara l’aria di una città unica, le mattonelle della Vucciria, il profumo di Ballarò, il sole che ti schiaccia ai Quattro Canti, una bellezza quasi soffocante, quasi abbagliante, certamente epica. Quello di Amalfitano è un lavoro eccezionale.

Deddy feat. Caffellatte – “Non mi fa dormire”

La tematica è smaccatamente teen, quindi colma di quella retorica da batticuore che, fisiologicamente, non può interessare nessuno che abbia raggiunto la maggiore età; ma il brano è molto molto divertente, l’ascolto è fluido, non si arena in facili e drammatici ed insopportabili cliché, ma soprattutto le due voci dei ragazzi raggiungono un’intesa raramente riscontrabile in altre collaborazioni. Qualcuno queste cose dovrà pur cantarle, sarebbe bello la qualità fosse sempre questa.

Legno – “Everest”

Il racconto di un sogno, duro da raggiungere quanto, appunto, scalare l’Everest. Un sogno su una vita accanto alla persona giusta, a quella serenità così appagante, quel senso di completezza che si riflette su ogni aspetto della nostra esistenza. I Legno sono una delle più interessanti nuove realtà dell’indie italiano, questo romanticismo dalla matrice materiale, ridotto a piccoli gesti, che vengono innalzati fino a diventare significato profondo delle nostre giornate, sempre con un pizzico di umorismo, fa parte del loro linguaggio e li rende originali, ben oltre la maschera che ne cela l’identità. Questa “Everest” è davvero una gran bella canzone.

VV – “Ami Pensi Sogni Senti”

L’accessibilità, il divertimento, quasi da videogame, del disco di VV, non deve trarre in inganno, non ci deve far pensare che si tratti di un lavoro sempliciotto, anzi, è tutto il contrario; si tratta di un disco iperprodotto, dalle sonorità molto complesse, costruito al millimetro, verso dopo verso, nota dopo nota. Un disco, lo diciamo, perfetto, senza una sola sbavatura, un racconto univoco che ci porta in un mondo colorato, un’impennata sonora, un crescendo regolare di cazzimma, di personalità, di intenzioni azzeccate. Niente che i singoli che lo hanno anticipato non ci avessero già svelato, ok, ma sentirlo costruito, ascoltare questo discorso univoco, che si snocciola tassello per tassello, fino a ricostruire la figura architettata da VV, rende tutto più chiaro. Bravissima.

Mille – “Si, signorina”

Un brano che riacchiappa per la coda una sonorità e interpretazione retrò, proprio quasi anni ’60, per riproporla ai giorni nostri, con un approccio moderno (ma mica tanto); una ricetta, a voler essere proprio schietti, facile, un usato sicuro. Certo, Mille, che abbiamo già conosciuto come voce dei Moseek, uno dei più interessanti progetti usciti fuori da X-Factor (e intendiamo proprio tutta la storia italiana di X-Factor) ci mette una punta di ironia particolarmente coinvolgente e il brano non ha niente fuori posto e funziona che è una meraviglia.

Francesco De Leo feat. Rachele Bastreghi – “Chloë Sevigny Sosia”

Nell’idea musicale di Francesco De Leo, e chi può dargli torto, l’erotismo che scaturisce dal pensiero di un mito totale come Chloë Sevigny ha la voce ipnotica e sensuale di Rachele Bastreghi. Il sound audace e soft del pezzo stuzzica il lato più perverso della nostra mente, fino a diventarne vera e propria colonna sonora. La canzone non dura neanche due minuti ma non importa, rimane appiccicata nella testa per ore.

Sissi – “Dove sei”

Pop sempliciotto, telefonato, fatto bene, impacchettato meglio. Ascoltabile ma liscio liscio; abbiamo appena concluso l’ascolto e non ci ricordiamo una parola, una nota, un concetto.

Vegas Jones feat. Nika Paris – “Amnésie”

Noi non siamo giudici a X-Factor (che è solo l’ultima delle grandi ingiustizie della vita), quindi abbiamo abbastanza tempo per seguire gli ex concorrenti, capire che fine hanno fatto e se avevamo ragione quando, nelle pagelle relative allo show, ne abbiamo parlato bene. Di Nika Paris per esempio ne abbiamo scritto benissimo, descrivendola come una macchina da guerra pop destinata a grandi palchi. Ecco, no, forse per i grandi palchi c’è tempo, ma non è che è la grandezza di un palco a definire il talento di un artista, per dire Nika Paris eravamo convinti avesse i numeri e questo singolo col bravissimo Vegas Jones ne è la conferma.

È un brano che attraversa quell’incrocio tra rap e pop commerciale, l’ibrido che già oggi domina nettamente il mercato discografico italiano, un sottogenere che alle volte rappresenta solo un pastrocchio, un trick per vendere il prodotto a più persone possibile, per allargare a dismisura le braccia del target di riferimento, ma alle volte è anche fatto bene. “Amnésie”, dobbiamo ammetterlo, ha un po’ i connotati del feat. a tavolino, ma è anche fatto particolarmente bene, quindi ok, ci sta.

Giordana Angi – “Le cose che non dico”

Se Giordana Angi ha scritto per Tiziano Ferro ed è stata ammanettata dal clan di “Amici” per firmare alcuni degli inediti assegnati a nuovi concorrenti per proporli sul mercato musicale, nonché aver assunto il ruolo di A&R nella 21Co, la nuova etichetta indipendente direttamente legata al talent Mediaset; è perché sa dare una solida struttura ai brani che scrive, parliamo sempre di pop commerciale, smarmellato, intriso di quei clichè, sonori e testuali, che possono far colpo solo in chi dalla musica pretende fino ad un certo punto, niente che sia complesso, magari una compagnia mentre si passa l’aspirapolvere. Ecco “Le cose che non dico” è un buon brano, sicuramente il migliore tra quelli che la Angi firma anche in qualità di cantante; la strofa convince più del ritornello, che purtroppo esplode in un’orecchiabilità troppo spudorata per i nostri gusti.

Boriani – “Boriani”

Buon disco per Boriani, cantautore dalla cifra stilistica di livello, che ancora forse non ha ancora trovato la hit, la chiave per far svoltare la propria poetica, renderla più solida, che ancora risulta sotto molti aspetti acerbo, un modo di proporre la propria musica che forse all’inizio dell’era indie poteva anche ripagare, ma che oggi, in un’epoca di cantautorato tech, iperprodotto, ipercostruito, e non sempre a discapito della struttura dei testi, non sempre e solo per strizzare l’occhiolino alle chart specializzate, restituisce molto meno. Comunque nel disco molti bei pezzi ai quali consigliamo di prestare attenzione, come “Prossimo livello”, “A domani” e “La Pellegrini”.

Pianista Indie – “Amsterdam”

Brano bellissimo in cui Amsterdam non è protagonista ma miccia buona per far esplodere analisi intime, profonde, illuminanti. La speranza che tutto possa riappacificarsi nella propria esistenza e la spinta a crederci davvero. Pianista Indie ci ripropone la propria poetica garbata, diretta, efficace, in una canzone che è evidente che senta in maniera particolare, densa di un romanticismo che si declina in maniera quasi visiva. Tipo, ascolti Amsterdam e cominci con la mente a perderti in quei canali, in quella pace confortante, in quell’atmosfera calma e surreale. Grazie, ci voleva proprio, Amsterdam è sempre una buona idea.

Ludwig feat. Il Pagante e Piotta – “Super Cafoni”

Esattamente come “Supercafone” nel 1999, prescindendo l’aspetto trascinante da hit, da balletto, rappresentava un’analisi satirica, spietata, alla società tamarra dell’epoca, solo specificatamente romana, in realtà comune un po’ a tutta Italia; questa “Super Cafoni” con Ludwig e Il Pagante punta il dito contro una declinazione cafonal 2.0, decisamente più volgare, decisamente meno divertente. A partire dal sound, un fuoco d’artificio zotico, screanzato, che colpisce proprio perché così riconoscibile, manifesto perfetto di quella parte di società che non riusciamo proprio a credere che ancora esista, cui estetica pressapochista, disimpegnata, lercia, non capiamo come possa ancora affascinare; e invece, nostro malgrado, non solo esiste, ma fa mercato, fa tendenza, fa televisione, spopola sui social e, perfino, vota.

Nel 1999 avevamo 15 anni e naturalmente amavamo alla follia la hit di Piotta, poi siamo cresciuti e Piotta è cresciuto con noi, regalandoci album che sono piccole perle di cantautorato, uno dei primi in assoluto in Italia a veleggiare verso il mare aperto dell’impegno, della ricerca, della maturità. A noi oggi questo brano convince poco ma è anche vero che abbiamo ben più del doppio dei 15 anni del 1999 e che il “Supercafone” del 1999 è chiaro che, in quanto fotografia, ad oggi risulti sbiadita negli argomenti trattati. Anche questa è una fotografia, ma noi che fossimo una società di villanzoni ignoranti e distratti da qualsiasi cosa non ci impegni il cervello, lo sapevamo già. Magari invece a qualcuno sarà utile, quindi ben venga.

Jack Out – “In bilico coi piedi nel Po’”

 Jack Out è uno dei più interessanti rappresentanti di quella che potremmo definire una sottocultura emo/pop/rap molto seguita, che di “sotto” ha davvero pochissimo, che si sta imponendo con veemenza sul mercato ed è portata avanti con un po’ di sanissima e ben calibrata sfrontatezza. Questo suo nuovo singolo rappresenta un ulteriore passo in avanti nella costruzione di una propria poetica, di un proprio romanticismo, un linguaggio adottato da un’intera generazione che in questa visione del mondo si riconosce alla perfezione; un fenomeno da tenere d’occhio. Bravo.

Giuse The Lizia – “LALALACRIME”

Ascoltare questo EP teletrasporta in un universo alternativo, questa è la maggiore forza di Giuse The Lizia, che racconta con sarcasmo, senza azzeccare una vocale e una dose di energia dirompente, qualsiasi aspetto della propria esistenza. L’habitat musicale che si è costruito riesce a sdrammatizzare ogni stortura sulla strada, raddrizza le curve a gomito, fa scappare da ridere nelle situazioni meno opportune; in questo è un gran maleducato e un artista dalla cifra stilistica precisa e funzionale. Questa “Boy, Don’t Cry”, per dire, è una mina assoluta.

Source: agi


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