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L’Onu accusa Pechino: crimini contro l’umanità nello Xinjiang

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Michelle Bachelet pubblica un rapporto a pochi minuti dalla scadenza del suo mandato, in cui si parla di torture, e accusa Pechino di “gravi violazioni dei diritti umani” nei confronti degli uiguri dello Xinjiang

Il rapporto dell’Onu sulla regione cinese dello Xinjiang afferma che la Cina ha commesso “gravi violazioni dei diritti umani” contro i musulmani uiguri nella provincia dello Xinjiang, che potrebbero costituire crimini contro l’umanità.

Il rapporto è stato pubblicato a soli 11 minuti dalla scadenza del mandato di Michelle Bachelet, Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. La pubblicazione è stata ritardata dalla consegna in extremis di una risposta ufficiale cinese che conteneva nomi e immagini di persone che dovevano essere oscurati per motivi di privacy e sicurezza.

Il governo cinese, ha tentato fino all’ultimo di bloccare la pubblicazione del rapporto e lo ha respinto come una calunnia anti-cinese, mentre i gruppi per i diritti umani degli uiguri lo hanno salutato come un punto di svolta nella risposta internazionale al programma di incarcerazione di massa.

Per quanto il documento non sembri contenere alcuna rivelazione rispetto a quanto era già noto sulla situazione nello Xinjiang, la sua pubblicazione è ritenuta importante perché le accuse a Pechino stavolta portano il sigillo dell’Onu. “L’entità della detenzione arbitraria e discriminatoria di membri della comunità uigura e di altri gruppi a maggioranza musulmana può equivalere a crimini internazionali, in particolare crimini contro l’umanita’”, si legge nel rapporto, così come vi compare l’accusa che “Le pratiche ricorrenti di tortura o maltrattamenti, comprese le cure mediche forzate e le cattive condizioni carcerarie, sono credibili, così come le accuse individuali di violenza sessuale e di genere”.

Su 26 ex detenuti intervistati dagli investigatori delle Nazioni Unite, due terzi “hanno riferito di essere stati sottoposti a trattamenti assimilabili alla tortura e/o ad altre forme di maltrattamento”. Gli abusi descritti comprendono percosse con manganelli elettrici mentre erano legati alla cosiddetta “sedia tigre” (alla quale i detenuti sono legati per le mani e i piedi), isolamento prolungato e quella che sembra essere una forma di waterboarding, “l’essere sottoposti a interrogatorio con acqua versata in faccia”.

Lo Xinjiang, così come altre province della Cina, è stato colpito per diversi decenni, e in particolare dal 2009 al 2014, da attacchi attribuiti a islamisti o separatisti uiguri. Da diversi anni la regione è oggetto di un’intensa sorveglianza: telecamere onnipresenti, cancelli di sicurezza negli edifici, forze armate ben visibili nelle strade, restrizioni al rilascio dei passaporti. Negli ultimi anni sono emerse le accuse a Pechino di aver internato in campi di rieducazione almeno un milione di persone, in maggioranza uiguri, ma anche di effettuare sterilizzazioni e aborti “forzati” o di imporre “lavori forzati”.

La Cina nega queste accuse. Pechino presenta i “campi” anche come “centri di formazione professionale” destinati a tenere gli abitanti lontani dall’estremismo religioso, e che ora sarebbero chiusi perché tutti gli “studenti” avrebbero “completato la loro formazione”.

Fonte: rainews