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Lo slalom degli imprenditori fra le regole Covid 

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AGI –  Dopo un anno, lo scorso, iniziato con i migliori auspici, il 2020 è stato, per molti imprenditori italiani, un saliscendi di regole, colori, zone, aperture. Fra i settori maggiormente colpiti c’è quello della ristorazione: l’AGI ha ripercorso gli ultimi 12 mesi con Eugenio Boer, italo-olandese, 42 anni, già una stella Michelin in una precedente esperienza, e Carlotta Perilli, compagna dello chef nella vita e nel loro Bu:r, un ristorante gastronomico da 24 coperti a Milano. “Il 2020 era iniziato benissimo, con due mesi e la prima settimana di marzo da tutto esaurito”, ricordano.

Il primo lockdown

Poi, dopo Codogno, è arrivato l’annuncio della zona rossa per tutta l’Italia. “Sicuramente la fase del primo lockdown, quello iniziale, è stata uguale per tutti e ha portato un sacco di interrogativi. Dopo un mese e mezzo, attorno il 21 aprile, è partita l’esperienza di ‘Buracasa’, arrivata anche su richiesta di clienti e amici tramite i social. “È nato senza un piano fatto a tavolino e, dopo una riflessione, con una linea di cucina completamente diversa: portare a casa delle persone i piatti di un ristorante gastronomico non ci è sembrata la strada più saggia, quindi abbiamo scelto di puntare sui piatti della tradizione italiana, senza rivisitarli ma facendoli solo bene, con il valore aggiunto di consegne effettuate direttamente da Carlotta, etichette scritte a mano”, racconta Boer.

In questa prima fase, ripercorre la coppia di ristoratori-imprenditori, “le consegne non hanno fatto gli stessi numeri che avrebbe fatto un ristorante a pieno regime, soprattutto perché quando abbiamo chiuso eravamo completamente prenotati tutte le sere; al tempo stesso, però, ci ha permesso di coprire tutti i costi, di pagare le spese e di avviare tutto quanto è stato necessario per far partire il delivery stesso”.

La ripartenza dell’estate

A metà maggio anche in Lombardia è stato possibile riaprire, ma Boer e Perilli hanno scelto di prendersi del tempo e di ripartire soltanto il 12 giugno. Se “rimettere in moto un meccanismo come un ristorante gastronomico non è una cosa di un giorno”, a frenare la coppia c’è stata anche “molta confusione, non erano chiare le regole, come i clienti potessero tornare”.

Le nuove norme, poi, hanno portato alla necessità di fare dei lavori. “Ad esempio abbiamo dovuto rifare parte dell’impianto di aerazione, perché non andava più bene. C’è stata la necessità di digitalizzare i menù, di creare i QR code, di adempiere a tutte le prescrizioni, di comprare e installare le colonnine di sanificazione”, spiegano; tutti lavori che si sono affiancati alle necessità di riavviare la cucina e di cambiare alcuni punti del servizio.

“Per fare un esempio banale: prima della pandemia gli aperitivi erano serviti in dei piatti a coppie, mentre per la riapertura abbiamo dovuto far fare dei piatti da aperitivo singoli, dove servire l’aperitivo di ciascuno”. Carlotta Perilli preferisce non quantificare esattamente le spese affrontate, ma si tratta di “svariate decine di migliaia di euro“. Con questa formula e con tutta la propria squadra (loro due più altre 7 persone, che sono diventate 8 nel corso dell’anno) Bu:r ha affrontato l’estate.

“Fortunatamente noi non abbiamo dovuto affrontare problemi di distanze fra i tavoli, il famoso metro, perché erano già molto ampie prima – continuano – i successivi due mesi, fino alla pausa estiva, legata a una città senza turismo da cui tutti, dopo mesi di ‘chiusura forzata’, sentivano la necessità di uscire, sono andati molto bene, meglio dell’anno precedente”. Al rientro dalle vacanze agostane anche settembre e ottobre sono stati positivi e anzi “ottobre, fino all’ultima settimana quando c’è stato il nuovo stop, era andato alla grande, avrebbe potuto essere il nostro miglior mese di sempre per fatturato”. Anche nell’ultimo periodo, con la stretta ad un massimo di commensali per tavolo, da Bu:r non hanno vissuto particolari problemi. “Abbiamo di fatto perso solo due coperti”, spiegano.

Le nuove restrizioni

Più peso ha invece avuto la decisione di chiudere alle 18 bar e ristoranti. “Quel passaggio – ammettono Eugenio e Carlotta – lo abbiamo patito. Non eravamo posizionati per essere un ristorante aperto a pranzo, anche per questioni di tempistiche (una degustazione dura in media due ore, ndr) e di impegni dei nostri clienti”. Con la nuova zona rossa il focus si è spostato nuovamente sul delivery, che ha comunque sempre continuato a funzionare, affiancandosi alla proposta del ristorante.

Un altro passaggio complicato è stato quello di dicembre. “Sarebbe servita maggior chiarezza. Abbiamo rimesso in moto la macchina con delle prospettive e invece di fatto è stato possibile restare aperti per poco. È ovvio che l’impatto si fa sentire se lavori per meno di due settimane nel mese che dovrebbe essere quello in cui fai il fatturato più alto dell’anno”, spiega Carlotta Perilli. Che poi aggiunge. “Non tanto a livello imprenditoriale ma anche a livello umano una comunicazione gestita così dalle autorità risulta veramente poco rispettosa per tutte le persone che lavorano. È impossibile fare una pianificazione, fare un business plan, fare una programmazione perché non sai cosa succeda il giorno dopo”.

Anche questa volta a venire in soccorso è stato il delivery, “che a livello mentale e anche economico è anche una bella valvola di sfogo. Ci ha permesso di rinnovare dei contratti, di pagare le utenze, l’affitto, i fornitori, le materie prime, gli stipendi”.

La Cig, i dipendenti e i ristori

Dal punto di vista della tempestività degli aiuti, invece, i due imprenditori hanno visto uno sforzo efficiente da parte del governo. “Quello che era stato promesso, lo abbiamo ricevuto; noi abbiamo ricevuto tutta la cassa integrazione, tutti i ristori che sono stati promessi”. Nel 2020, poi, [bu:r] ha addirittura ampliato il personale: “prima della pandemia, compresi noi, eravamo in 9 e ora siamo in 10”. “Per chi è rimasto a casa abbiamo usufruito della Cig, chi ha lavorato per il delivery ha invece preso lo stipendio pieno”.

Il 2021 e le lezioni dell’anno scorso

Il 7 e 8 gennaio, quando secondo il Dpcm sarebbe stato possibile aprire, Eugenio e Carlotta hanno scelto di tenere chiuso. “Non ha senso rimettere tutto in funzione per due giorni, può farlo solo chi ha la stessa linea per il delivery e il menù del ristorante”. Riguardando agli ultimi 12 mesi, poi, il bilancio è che “il reinventarsi è stata una grandissima lezione”, spiega l’imprenditrice. “Il fatto di non spegnere mai il cervello, di non sedersi mai e dire ‘oddio’, di essere stati poco a casa e molto al ristorante o in giro a fare consegne ci ha dato molto, anche da un punto di vista dell’arricchimento umano e culturale”.

“A me il 2020, come chef, ha insegnato che se riesci a far star bene i tuoi clienti con il delivery hai vinto: non solo per una questione economica, anche se siamo imprenditori e dobbiamo far stare in piedi un’azienda, ma anche perché ti permette di non perdere il collegamento con i tuoi clienti e anzi di arrivare ancora a più persone”, aggiunge Boer. Che lancia anche un messaggio agli altri ristoratori. “Se pensassero un pochino di più a muovere le mani e il cervello e fare il loro lavoro potrebbero farlo anche con queste restrizioni. Le rivoluzioni di dopodomani (con la mobilitazione #ioapro prevista per venerdì 15, ndr) sono azioni di chi non sa fare una rivoluzione e si limita a disubbidire alle regole“. “In questo – conclude – io sono più che metà olandese. Bisogna passare un po’ meno tempo a dire ‘io dire, io farei’ ma rispettare ciò che viene detto di fare”.  

Vedi: Lo slalom degli imprenditori fra le regole Covid 
Fonte: cronaca agi


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