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Lo scandalo (della persecuzione) di un prete scomodo

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di Antonello Longo

direttore@quotidianocontribuneti.com

Augusta è una cittadina di poco più di 35mila abitanti in provincia di Siracusa. Fu chiamata così, Augusta Veneranda, dall’imperatore Federico II di Svevia, che la fondò nel 1232 nei pressi dell’antica Megara Hyblea.

Ricostruita in seguito al terribile terremoto che distrusse il Val di Noto nel 1693, Augusta è al centro di una grande baia interamente occupata dal porto, importante scalo commerciale e base della Marina miliare italiana.

In questo tratto della fascia costiera ionica siciliana, straordinario per storia, archeologia, bellezza naturale e valori paesaggistici, a partire dal 1949, con la raffineria Rasiom del petroliere milanese Moratti, è arrivato lo sviluppo di stampo coloniale, con grandi insediamenti per la produzione di prodotti chimici, con un vasto indotto di cantieristica, costruzioni meccaniche ed edilizia, facendo perno sulla capacità del porto megarese di sostenere un grande traffico di navi di grossa stazza. Solo nelle tre raffinerie di petrolio oggi in mano agli algerini di Sonatrach, ai russi di Lukoil, ai sudafricani della Sasol, vengono prodotti 26 milioni di tonnellate annue di benzine e gasoli (dati del ministero dello sviluppo Economico e Istat).

Fra gli anni 50 e 60 del Novecento il polo petrolchimico, oggi in piena crisi, ha raggiunto, nel massimo, circa 20mila posti di lavoro ed i bilanci dei comuni nel cui territorio ricadono gli impianti industriali hanno tratto benefici a volte consistenti in termini fiscali. Ma a fare da contraltare a questo tipo di “sviluppo” è stata la devastazione del territorio ed un livello di inquinamento, a terra, in mare e nell’aria, che ha fatto dell’area Augusta – Priolo – Melilli il “triangolo della morte”.

La mortalità per cancro nella zona è superiore del 30% rispetto alla media nazionale, carcinomi ai reni, al colon, ai polmoni, alle mammelle, anche nei maschi. I rilievi statistici e i dati effettivi dei ricoveri ospedalieri parlano di almeno 1000 bambini con malformazioni negli ultimi 10 anni, dimostrano un eccesso di casi di malattie respiratorie acute in età pediatrica, di mesotelioma. Non si contano i morti sul lavoro o a causa del lavoro svolto nelle industrie del petrolchimico.

Di fronte alla circospezione delle autorità sanitarie sta il buon senso comune: non è possibile, non è credibile, pensare a tutte queste patologie come non riconducibili al degrado ambientale: livelli di inquinamento superiori a quelli consentiti per legge, scarichi di mercurio in mare per bonificare il quale, ormai, non basterebbero secoli. Dentro lo stabilimento ex Enichem Praoil di Priolo Gargallo, solo per fare un esempio, sono seppelliti da decenni rifiuti tossici, vere bombe ecologiche come ceneri di pirite e mercurio che, per risparmiare, non sono state smaltite in modo regolare.

Questa, per sommi capi, la situazione esplosiva che la politica locale copre, così come il sindacato, perché si riproduce qui, in scala forse ancora più grave, lo scellerato ricatto occupazionale, l’alternativa salute-lavoro, come si presenta a Taranto e in tante altre aree d’Italia, al Nord, al Centro e al Sud.

La magistratura è intervenuta come ha potuto, ma a scuotere le coscienze ed a sollecitare una risposta da parte della collettività, della “società civile”, è stato soprattutto un sacerdote ostinato e coraggioso, che si è impegnato a fondo nella battaglia ambientalista fuori, con l’associazionismo della cittadinanza attiva, ed anche dentro la sua chiesa.

Don Palmiro Prisutto dal 2013 è arciprete e parroco della parrocchia madrice di Augusta, la sua città, dove ha preso il posto di un prelato arrestato, ed oggi condannato in via definitiva, per molestie sessuali. Con pazienza e con lavoro appassionato, Don Palmiro ha ricostruito la credibilità della chiesa augustana davanti alla comunità dei fedeli, alla collettività cittadina ed alla pubblica opinione, non solo locale.

Ma il destino di un prete-coraggio, molto spesso ahimè, è quello di scontrarsi con la “prudenza” delle gerarchie ecclesiastiche. E la testimonianza viva del Vangelo di Cristo, al fianco dei poveri, dei bisognosi, degli ultimi, a difesa dei valori reali della vita, del lavoro, della salute, il pensiero di larga veduta sugli interessi vitali e reali della collettività, cozza fatalmente con il bigottismo dei benpensanti, con l’angustia delle camarille locali.

Fin dal suo insediamento come parroco della chiesa madre, Don Palmiro si è trovato a fronteggiare una situazione particolarmente difficile, entrando quasi subito in conflitto con la realtà di uno strapotere delle rettorie e delle confraternite consentita dal suo predecessore, il molestatore, condannato a cinque anni e tre mesi ma senza fare neanche un giorno di galera. Questi aveva messo la parrocchia in balia delle Confraternite cittadine, coordinate da un esponente politico locale particolarmente legato alla curia vescovile, le quali avevano preso in mano, senza lasciare spazio ad altre realtà ecclesiali, l’organizzazione dei riti e delle celebrazioni per le solennità religiose, rendendole occasioni mondane, più di spettacolo che di autentica religiosità.

Padre Prisutto, impegnato a riportare ad una dimensione di ordine e sobrietà la vita della comunità ecclesiale, è stato fatto segno di atti ripetuti di ostruzionismo, di virulenti attacchi personali. A Don Palmiro è stato contestato di non rispettare la tradizione, di non favorire la “pietà” popolare, ma le accuse sono andate in crescendo, è stata orchestrata una campagna di denigrazione anche a mezzo stampa, fino ad adombrare l’indebita appropriazione di un terreno agricolo lasciato in eredità alla chiesa di San Giuseppe di Augusta che le confraternite, chissà perché, rivendicano per se stesse. Tanto da costringere, più di una volta, Padre Prisutto a sporgere querela per diffamazione e, in seguito all’ultima, alcuni personaggi locali sono stati rinviati a giudizio.

Dal 2013 ad oggi si sono succeduti due vescovi di Siracusa e tutti hanno dato man forte agli oppositori di Don Palmiro, lasciato solo e ridimensionato nelle sue funzioni, con forti pressioni, ripetutamente e apertamente, il vescovo di turno ne ha chiesto le dimissioni. Ad oggi la reazione del popolo dei fedeli, sceso in piazza a sostegno del proprio parroco, ha evitato l’allontanamento dell’arciprete, ma adesso l’ultimo arrivato, il nuovo arcivescovo Mons. Francesco Lomanto, ha posto un ultimatum: o ritiro della querela entro pochi giorni, o rimozione.

Entreremo, in un prossimo servizio, più nel merito di questi contrasti che a prima vista potrebbero sembrare diatribe da strapaese, né fa particolarmente notizia che una curia dia retta alle chiacchiere dei beghini sul sagrato delle parrocchie. Ma qui siamo ad Augusta, siamo al centro di un grande polo petrolchimico, di un giro di interessi economici che va oltre la dimensione territoriale (e la cura della salute delle popolazioni presenti e future) e di interessi politici che ruotano attorno a quest’economia. Dietro la vera e propria persecuzione dell’arciprete, che è anche leader ambientalista, a vantaggio di alcuni laici perfettamente inseriti nel sistema economico e politico, da tempo lasciati spadroneggiare sulla comunità ecclesiastica di Augusta, ci sono interessi ben diversi dalla festa patronale e dai riti per l’Immacolata Concezione, c’è lo scandalo di una Chiesa che si piega al servizio dei forti contro i deboli.

E su questo scandalo cercheremo di fare chiarezza.

(1. Continua)