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L'Italia si prepara ad accogliere l'uomo più potente del mondo

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Era stato in Italia per la prima volta esattamente otto anni fa, il 17 marzo 2011, per i 150 anni dell’unità d’Italia, quando era ancora vice presidente cinese. Nel novembre 2016 aveva fatto una breve sosta in Sardegna, dove incontrò l’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi. La prossima settimana, Xi Jinping, 65 anni, segretario generale del Partito Comunista Cinese dal novembre 2012 e presidente cinese dal marzo 2013, sarà in Italia per la sua prima visita ufficiale da quando è l’uomo più potente della Repubblica Popolare Cinese.

Oltre alle cariche di vertice del partito e dello Stato, rinnovate entrambe tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018, Xi è dalla fine del 2012 anche a capo delle Forze Armate cinesi come presidente della Commissione Militare Centrale, e dall’ottobre 2016 è core leader del Pcc, o nucleo della leadership, per acclamazione del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, il vertice allargato a circa quattrocento dirigenti del partito che si riunisce almeno una volta all’anno.

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Dall’ottobre 2017 il suo nome è iscritto nella carta fondamentale del Partito Comunista Cinese assieme al suo contributo ideologico, il pensiero sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era, che dal marzo 2018 è entrato a fare parte anche della Costituzione cinese.

Un mandato rinnovabile senza limiti

Il leader cinese non ha rivali dichiarati, nè successori: il suo mandato, dallo scorso anno, è rinnovabile senza limiti. Nel processo di consolidamento al vertice del potere è stato nominato anche a capo di diversi gruppi guida che regolano tutti i più importanti settori della vita dello Stato, dagli Affari Esteri al controllo di Internet. L’ultima carica assunta risale all’inizio del 2017, quando è diventato presidente della Commissione Centrale per lo Sviluppo Integrato di Militare e Civile, un organo che ha attratto i sospetti di Washington. Dai suoi discorsi pubblici è emersa in più occasioni la sua visione della Cina, del Pcc e, più in generale, del mondo e di come la Cina intende rapportarsi allo scacchiere internazionale. 

Il marxismo è “assolutamente corretto” per la Cina, ha detto a maggio scorso in occasione delle celebrazioni per i duecento anni dalla nascita del filosofo tedesco Karl Marx, e “assolutamente corretta” è la leadership del Partito Comunista Cinese, che vive, di questi tempi, una stagione di revival in Cina. 

Realizzare il sogno cinese di rinnovamento nazionale, concetto da lui introdotto all’inizio del suo mandato al vertice del Pcc, “non sarà una passeggiata nel parco e richiederà grandi sforzi, progettualità e dedizione alla causa”, disse a ottobre 2017, al Congresso del Pcc che ne elevò lo status al livello del fondatore della Repubblica Popolare Cinese, Mao Zedong, e di Deng Xiaoping, l’architetto delle riforme economiche.

“Un miracolo che impressionerà il mondo”

“Il protezionismo è una stanza buia”, che ripara dalle intemperie, ma che non permette di vedere la luce del sole, disse a gennaio 2017 articolando il suo concetto di globalizzazione, pochi giorni prima dell’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump, alla platea del World Economic Forum di Davos. Il protezionismo è “miope e destinato a fallire”, disse ancora più chiaramente a novembre scorso, al vertice dell’Asia-Pacific Economic Cooperation di Port Moresby, in Papua Nuova Guinea. “La storia dimostra che lo scontro, sia nella forma di una guerra fredda, calda o di una guerra commerciale, non produce vincitori”, spiegò alla platea dei leader, tra cui era presente anche il vice presidente Usa, Mike Pence

“Nessuno è nella posizione di dettare alla Cina cosa possa o non possa essere fatto”, fu il durissimo avvertimento lanciato a dicembre 2018 nel discorso per i quaranta anni dall’inizio delle Riforme e Aperture lanciate da Deng: per il futuro, Xi ha promesso che la Cina sarò in grado di realizzare “un miracolo che impressionerà il mondo”. 

Il Paese straniero che occupa la maggior parte dei suoi pensieri, mai menzionato esplicitamente, sono gli Stati Uniti. L’Italia, per Xi, è “un amico fedele e un partner importante” della Cina, secondo il suo pensiero riportato dai media cinesi nel novembre 2016, dopo la tappa in Sardegna, giudizio ribadito anche pochi mesi più tardi, durante la visita in Cina del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Prima ancora, l’Italia è stata una tappa importante per l’accreditamento di Xi come futuro leader della Cina: in occasione del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, “Xi ha scambiato idee con pù di venti tra leader di Paesi e organizzazioni internazionali”, si legge in un passaggio del volume che contiene i suoi discorsi, “The governance of China”.

L’Italia sarà la prima tappa del primo viaggio all’estero dall’inizio dell’anno politico cinese, che si è aperto con la doppia sessione di lavori dei due rami del parlamento cinese, la Conferenza Consultiva Politica del Popolo Cinese, organo consultivo, e l’Assemblea Nazionale del Popolo, la camera che ratifica le decisioni prese dal governo. In attesa di un annuncio formale del viaggio in Italia, la visita di Xi a Roma, con una tappa anche a Palermo, è stata al centro del dibattito politico in Italia, per l’adesione all’iniziativa Belt and Road di connessione infrastrutturale tra Asia ed Europa, nota anche come Nuova Via della Seta.

L’Italia sarà il primo Paese del G7, fondatore dell’Unione Europea e della Nato a firmare un memorandum con la Cina: all’iniziativa aderiscono già 129 Paesi e 23 organizzazioni internazionali, ma gli Stati Uniti si dicono scettici rispetto all’endorsement di Roma, e nel recente passato hanno usato toni molto duri rispetto all’iniziativa lanciata da Xi nel 2013.

Un ‘soft power’ in crescita

Se Washington guarda Pechino con sospetto, e non solo per la disputa commerciale ancora in corso tra le due grandi economie, in generale la leadership cinese raccoglie un tasso di approvazione sempre più elevato, secondo un recente sondaggio condotto da Gallup. Nel 2018, il 34% degli interpellati in 134 Paesi si dice favorevole alla leadership cinese (il risultato più alto dal 2009), contro solo il 31% dei favorevoli alla leadership statunitense, crollata nei consensi da quando alla Casa Bianca c’è Donald Trump, e oggi ai minimi storici.

Il più alto tasso di sostegno alla Cina è stato raggiunto tra i Paesi africani (53%) mentre in Europa l’approvazione della leadership cinese è solo del 28%: comunque in lieve crescita, spiega Gallup, rispetto ai dati del 2017. Il Pakistan è il Paese con il più alto tasso di approvazione per la leadership cinese, con il 73% degli interpellati che si è detta favorevole, mentre in Vietnam, il tasso di approvazione è solo del 6%.

“A complemento della sua ascesa come grande potenza economica”, si legge nel rapporto, “il governo cinese ha cercato negli ultimi anni di espandere la sua influenza globale in altre sfere”. Il successo cinese sarebbe da attribuire, almeno in parte, anche alla politica estera dell’amministrazione statunitense che, privilegiando il concetto di “America First”, avrebbe “aperto la porta a Cina e Russia per aumentare la loro influenza globale”.

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Fonte: estero agi


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