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L'estate buia dei figli che hanno perso padre e madre in poche ore

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(AGI) Secondo una figlia che ha perso i genitori per Covid, il senso del dolore può essere in una scala che si impappina. “Pochi giorni dopo che mio padre era stato messo nel suo loculo, abbiamo portato mamma al cimitero – racconta Terry all’AGI –  la stavano sistemando in una celletta di fronte a lui, ma la scala mobile si è bloccata. Mi sono allontanata un attimo per salutare papà perché la scena mi faceva troppo male e ho visto che il loculo al fianco del suo si era nel frattempo liberato. Così siamo riusciti a metterli vicini, come quella scala ci ha ‘suggerito’ di fare”. 

Capita che due persone che hanno vissuto una vita insieme se ne vadano via una dopo l’altra, la seconda, spesso, quasi assopendosi, con un moto di unione naturale. Mai però tanti figli  si sono trovati orfani nel giro di poche ore com’è accaduto a chi è rimasto senza padre e madre colpiti  dal coronavirus. 

In alcuni casi – e questo è il dubbio più tremendo per chi resta – contagiati proprio da chi hanno messo al mondo.  Sulla pagina facebook ‘Noi Denunceremo’, un flusso di ricordi, rabbia, struggimenti che continua a scorrere, in questi giorni tanti di loro segnano i mesi che scandiscono gli anniversari della doppia perdita, sottolineando il tempo che c’è voluto per trovare le parole adatte a darle una forma.

Il caffè lungo 43 anni di Giuseppe per Giuseppina 

Giuseppe, 77 anni,  e Giuseppina, uno in più, riposeranno affiancati così come erano negli anni sessanta quando si trasferirono dal sud  a Trescore Balneario, provincia di Bergamo. Sposati per 43 anni, “non si sono separati nemmeno sul lavoro: erano impiegati nella stessa ditta che produceva plastica per gli schermi dei televisori”.  

Abitavamo a venti chilometri di distanza, ci vedevamo ogni mercoledì quando venivano a trovarci. Portavamo loro da mangiare, papà era un ottimo cuoco, i miei figli impazzivano per i suoi polipi al sugo. Io e mio marito siamo stati poco bene, poi è toccato al papà e alla mamma e mio fratello è andato ad accudirli.  Sa cosa fa più male? Quando, poi, ho avuto il cellulare di papà ho visto che dal 3 marzo aveva cominciato a chiamare tutti i numeri della Regione, ma gli dicevano di stare a casa, che era solo un’influenza e l’ospedale andava evitato perché era un macello”.

Qualche giorno dopo  però Giuseppe non respirava bene e sono venuti a prenderlo. “Abbiamo chiesto di guardare anche la mamma prima di andare, non l’hanno fatto, ma lei peggiorava finché mio fratello mi ha chiesto di andare a lavarla. Il medico mi ha sconsigliato di farlo, per il bene di entrambe, ma era mia mamma: dovevo andare.  Quando l’hanno caricata sull’ambulanza due giorni dopo, coi gesti mi ha fatto capire che non ce l’avrebbe fatta”.

A Giuseppina nessuno l’ha detto

Giuseppe è morto il 14 febbraio, a Giuseppina nessuno l’ha detto: “Ma lei l’ha sentito di sicuro. Dalla cartella clinica si vede che stava migliorando, ma poi all’improvviso ci hanno chiamato per dire che le avrebbero dato la morfina. Dopo, parlando di questo, io e mio fratello abbiamo realizzato una scena che abbiano visto milioni di volte: tutte le mattine, da sempre , papà portava il caffè a letto a mia mamma. Senza di lui sarebbe stata persa”. 

Terry ha avuto per tanto tempo quello che chiama “un peso: non averla salutata bene perché io ero convinta che ce la facesse quando l’ho vista l’ultima volta”, finché una notte c’è riuscita. “Ho sognato di abbracciarla forte, le ho dato un bacio sulla guancia. Mi sono svegliata singhiozzando, ero felice. Vorrei sognarli  tutte le notti per sentirmi dire che non hanno sofferto quando erano soli”. 

Mauro e Laura se ne sono andati alla stessa ora

Mauro aveva 62 anni, Laura 60, sono morti a un giorno di distanza, “alla stessa ora”, spiega Lorena, il cui dolore non smette di pulsare.

“Non sono una bambina, ho 34 anni, ma non riesco ad accettarlo. I miei genitori erano una parte di me, c’era un rapporto meraviglioso. Non auguro al peggior uomo sulla terra questo dolore”.

Vivevano a Loreto Abrutino, in provincia di Pescara. “Hanno cominciato a stare male il 5 e il 6 marzo, non mi do’ pace perché non capisco come abbiamo preso il virus. Nessuno della loro comitiva di ballo, la ‘Curva nord’, ha avuto sintomi. Mia madre stava meglio del papà, dall’ospedale arrivavano notizie incoraggianti. Il 22 marzo alle 17 e 30 ci siamo sentite, stava abbastanza bene ma mi ha dato delle disposizioni che in quel momento mi sono apparse strane, su cosa fare se fosse successo qualcosa a papà. Alle 23 e 30 mi hanno chiamata per comunicarmi che era morta.  Il giorno dopo, alla stessa ora, se n’è andato anche papà che era intubato da tempo e della mamma non ha mai saputo”.

Mauro e Laura erano sposati da 37 anni, “l’uno l’ombra dell’altro. Papà era la parte femminile della coppia, comprava tutto, dalla spesa ai vestiti, anche le borse. Mamma aveva un problema di deambulazione e lui se ne prendeva cura in ogni modo”. 

Il 12 luglio, “nella Chiesa di Loreto c’era tantissima gente a ricordarli, alcuni erano fuori, la folla è arrivata fino al castello. Anche se è stata una cerimonia sentita in cui sono state lette poesie e lettere, le mie amiche hanno cantato per loro, io sento che non basta. Il funerale è un’altra cosa, sento di non averli fatto qualcosa di adeguato per onorarli”.

Lorena ha voluto far mettere delle targhe con gli aggettivi che caratterizzavano la personalità di Laura e Mauro. “Lei ascoltava tutti, lui, a lungo collaboratore scolastico, portava un sorriso  e un aiuto concreto ovunque. Il mio maestro li ha definiti in un poema “umili servitori del paese”. “Non farò nulla a livello legale – riflette –  perché mio padre non avrebbe voluto, se qualcuno ha sbagliato nella diagnosi l’ha fatto in buona fede, anche se sono piena di rabbia”.

Saturnini e Laureance, morti in Belgio dopo la miniera e una vita di sacrifici

Laureance vive a Tadasuni, in un paese vicino a Oristano, “un posto dove regna la pace”. Dice che  davanti a sé ha un candela sempre accesa con la foto dei genitori Saturnino e Antonietta, morti a 94 e 93 anni in una casa di riposo vicino a Bruxelles.

“Mi alzo al mattino sostenuta solo dalla rabbia, quella che mi ha portato a denunciare il governo belga per come ha trattato gli anziani, impedendo le cure negli ospedali agli ottantenni. Sì, erano vecchi ma io sono sicura che avrebbero vissuto ancora perché stavano bene. Mamma aveva qualche acciacco, papà nulla ma aveva deciso di starle al fianco in una casa di riposo. Non sono stati curati come dovevano”.

La loro storia è comune a quella dei tanti italiani che migrarono in Belgio negli anni sessanta, Saturnino era finito in una miniera di carbone, lavorava sodo, mentre la moglie cresceva 8 figli e Laureance che in realtà era la nipote, “ma io sono stata sempre con loro, i mie genitori lavoravano, per tantissimi anni li ho visti solo nel fine settimana, si usava così. Sono a tutti gli effetti mamma e papà”.

“Lui si è ammalato il giorno dopo che è morta mamma, non credo sia un caso. Di certo non lo hanno aiutato i polmoni provati dagli anni in miniera. Mi ha insegnato il rispetto, la tolleranza e la forza, quella di chi trovava l’insalata congelata nell’armadio perché viveva a meno sedici gradi senza riscaldamenti”. La notte prima che morisse mamma, Laureance, che tutti i giorni riceveva notizie dai parenti, ricorda di avere tirato fuori tutti gli oggetti che la legavano a lei e ha aperto il libro ‘Cuore’ di De Amicis, un vecchio dono che aveva sfogliato mille volte.

“Mi sono accorta per la prima volta che nell’ultima pagina tutta bianca aveva lasciato un messaggio a penna: “Ricordati che ti voglio bene e ogni mattina prego per te’. Sono andata a dormire e  ho sognato che eravamo su una panchina, le accarezzavo una mano, ma lei a un certo punto mi ha sussurrato che doveva andare. Papà ringraziava sempre il Belgio per avergli dato l’opportunità di darci un futuro migliore rispetto al suo, era pronto a morire come mamma dopo una lunga vita. Ma non doveva succedere così”.

Vedi: L'estate buia dei figli che hanno perso padre e madre in poche ore
Fonte: cronaca agi


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