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Le tradizioni che si perdono. “Per San Martino si spilla la botte e si assaggia il vino”

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La tradizione dell’11 novembre, giorno dedicato a San Martino, è radicata in Sicilia. Pur non esistendo alcun diretto nesso con la devozione per il Santo, essa venne legata a filo doppio con l’ipotetico momento in cui il “vino novello” compie il periodo di fermentazione e acquista impareggiabile sapore, retrogusto, gradazione

di Augusto Lucchese

 

La tradizione dell’11 novembre, giorno dedicato a San Martino, s’è anche parecchio radicata in Sicilia, probabilmente nel corso del lungo periodo delle varie dominazioni succedutesi nei secoli e particolarmente quella normanna e angioina. Pur non esistendo alcun diretto nesso con la devozione per il Santo, in quasi tutte le zone dell’Isola Sicilia, essa venne legata a filo doppio con l’ipotetico momento in cui il “vino novello” compie il periodo di fermentazione e acquista impareggiabile sapore, retrogusto, gradazione. La gente magari non si è mai soffermata a conoscere la storia del Santo (della quale in calce è riportata una breve sintesi), ma di certo è capitato un po’ a tutti di sentire ripetere negli anni che “per San Martino si spilla la botte e si assaggia il vino”. Ciò, tuttavia, non serve a giustificare chi maldestramente ha insignito il Santo con il nomignolo di “protettore degli ubriaconi”. E’ più appropriato, invece, definirlo “protettore dei poveri”.

In talune zone interne dell’Isola vige, altresì, un altro detto: “… per San Martino s’ammazza ‘u porcu e si sazza ‘u vinu”. Ciò è frutto della concomitante circostanza di trovarsi nel periodo in cui si ritiene che il maiale sia al punto giusto d’ingrasso per farne prosciutti, salami e altre prelibatezze, a parte le succulente salsicce e le tenere costatine da cuocere sulla brace ardente, magari insaporendole con qualche spruzzata di vino novello appena spillato dalle botti.

Nella ricorrenza dell’11 novembre, in alcuni centri isolani si è soliti preparare i “biscotti di San Martino”. Essi, per la cronaca, vengono approntati in base a svariate “ricette”, fra cui quella che li vuole parecchio croccanti e friabili, senza alcuna aggiunta, e quella che, invece, li prevede abbondantemente farciti di crema, ricotta fresca o marmellate locali, magari arricchiti da pezzettini di “pasta di mandorle”.

La letteratura isolana e i “racconti” degli avi ci hanno fatto sapere che nei tempi passati i ceti abbienti festeggiavano San Martino con tavolate riccamente imbandite, integrate con l’abbondanza di tipici prodotti dolciari locali, quali i gustosissimi “cannoli”, i “mastazzoli”, la “pasta martorana”, i “bucciddati” ripieni di una dolcissima pasta composta da un tritato di fichi secchi, uva passa, mandorle tostate e altri saporiti ingredienti. Senza trascurare i rinomati “biscotti della monaca” da intingere in calici colmi di “moscato” abbagnati nn’o muscatu, fra cui quello eccellente di Pantelleria.

I poveri, invece, talvolta assisi solo attorno ad un traballante desco, s’accontentavano del “pane cunzatu” (pane condito), di un po’ di “fichi secchi”, castagne e frutta secca “atturrata” (tostata), centellinando un buon bicchiere di “vino novello” padronale.

Qualcuno ricorda ancora l’esistenza di altre varie tradizioni fra cui, ad esempio, quella di Palazzo Adriano, in provincia di Palermo ove si rinnova l’usanza, da parte dei familiari delle coppie che si sposano nel giorno di San Martino, di farsi carico della spesa per il cibo di un anno.

In tale occasione, è anche tradizione regalare agli sposi ”u quadaruni” (grossa pentola di rame) in uno alla ”brascera” (braciere di rame) , l’una utilissima in cucina e l’altra quasi indispensabile per riscaldare la casa nel lungo periodo freddoso.

In novembre, mese di passaggio che spesso annuncia i rigori invernali, va in auge, dopo il Giorno di Ognissanti e dopo la giornata dedicata alla commemorazione dei defunti, la tendenza ad organizzare, in occasione del giorno di San Martino, variegate feste e sagre.

Fra le stesse, in particolare, hanno eccellente rinomanza la Mostra mercato “San Martino Odori e Sapori” che si svolge nella Valle del Chiodaro”, in quel di Mongiuffi Melia, in provincia di Messina; la manifestazione “Estate di San Martino” di Nicolosi, in provincia di Catania; la “Sagra del Buongusto” a Misterbianco, in Provincia di Catania, in cui è possibile gustare i prodotti tipici della zona e i particolari dolci di San Martino, oltre alle consuete castagne e al buon vino; a Palazzo Adriano (Palermo) l’ “Estate di San Martino”, quando s’avvera, si celebra festosamente; analoghi festeggiamenti si svolgono un po’ dappertutto e, nella zona etnea, vanno segnalate quelle di Linguaglossa (CT), di Giarre (CT), di Zafferana Etnea (CT).

Si può benissimo dire che in tutta la Sicilia la ricorrenza assume il significato di un punto di riferimento che segna una sorta di virtuale spartiacque fra l’estate lasciata abbondantemente alle spalle e l’inverno che s’appressa, dietro l’angolo delle festività di fine anno.

C’è da augurarsi, in ogni caso, che l’autoliesonistico comportamento della famelica stirpe umana, quotidianamente e irresponsabilmente teso ad oltraggiare la natura, non induca il venerato San Martino a non regalarci più la pur breve parentesi della estate a lui intitolata.

Martino di Tours – La vita

Martino di Tours nacque a Salaria, in Pannonia (Ungheria) e visse tra 316 e il 397 d.C. Suo padre era un onorato ufficiale delle famose “legioni” romane e, quindi, decise di imporgli il nome di Martino, chiaramente in onore di Marte, dio della guerra. Cresciuto in un ambiente estremamente militare e in forza di una ordinanza dell’’epoca, ad appena 15 anni divenne anch’egli un “miles” romano.

L’episodio che maggiormente ebbe ad influire sulla sua vita è quelle che nel tempo ha dato origine alla leggenda della “estate di San Martino”.

Si narra che egli, mentre percorreva a cavallo, nel pieno di una gelida bufera, una strada campestre alle porte di Amiens, abbia scorto un mendicante seminudo, intirizzito dal freddo e sfibrato dal patimento. Martino, osservandolo, avverte subito un forte istinto. Si ferma a soccorrerlo e, non disponendo di altre specifiche risorse, taglia con la spada metà del suo pesante mantello e copre alla meno peggio quel miserevole viandante. “Dio ve ne renda merito”, balbetta il povero mendicante, mentre si rialza per riprendere il cammino. Martino, a sua volta, sprona il cavallo mentre la pioggia seguita a cadere e il forte vento sembra che voglia privarlo anche della restante parte di mantello. In quell’istante, però, le nuvole si diradano come d’incanto e il calore del sole si fa tanto intenso da sembrare che fosse tornata l’estate. Un tepore, oltretutto, che si protrae a lungo.

La notte seguente gli compare in sogno Gesù che lo benedice dicendo: ….”ecco, questo è Martino, un soldato romano non battezzato, …. egli mi ha donato parte del suo mantello per vestirmi.” Sembra, quindi, che il mendicante fosse proprio Gesù.

Quando si sveglia, Martino constata che il suo mantello era intero, come prima di averlo tagliato in due per offrirlo spontaneamente all’intirizzito questuante.

Questa è la sintetica esposizione dei fatti attribuiti al “miracolo di Amiens” e all’estate di San Martino che ogni anno si ripete per ricordare non solo il valore della carità ma per affermare il principio che in mancanza dell’aiuto ai poveri non può sussistere il concetto di “civiltà”.

Quel mantello fu poi devotamente custodito, come reliquia, fra la collezione di paramenti sacri dei Re della Dinastia dei Franchi, in una apposita “cappella”. Da tale accorgimento sembra essere derivata la blasonata denominazione di “mantello corto”, attribuita alla congregazione dei frati incaricati di conservare la reliquia. Costoro furono anche chiamati “cappellani”, termine ancora oggi parecchio diffuso negli ambienti religiosi.

La visione apparsagli nella notte fu per Martino una autentica rivelazione che lo indusse a lasciare l’esercito dopo avere rifiutato, per spirito cristiano, di imbracciare le armi in battaglia. Chiese di essere battezzato, si dice nella stessa Amiens, e successivamente entrò a fare parte di un insediamento monacale in quel di Poitiers. Fondò a Tours uno dei primi monasteri d’occidente, il rinomato “Marmoutier”, e fu uno dei primi seguaci dell’Ordine dei Benedettini.

Nominato vescovo di Tours nel 391, morì nel novembre del 397 a Candes che, in suo onore, assunse successivamente il nome di “Candes Saint Martin”.

Il Santo Martino è sepolto nella cattedrale di Tours e la sua tomba, posta all’interno di una sontuosa Basilica, è divenuta nel tempo meta di continui pellegrinaggi.

La cronologia della sua esistenza è ampiamente rassegnata nel libro “Vita di San Martino”, scritto da un suo devoto discepolo, tale Sulpicio Severo.

San Martino è festeggiato anche come “patrono dei soldati” ed è un Santo molto venerato: lo testimoniano le 900 Chiese a lui consacrate o dedicate. Parecchie popolose cittadine e borgate hanno aggiunto il suo nome alla loro denominazione originaria. Ad esempio San Martino di Castrozza, San Martino Siccomario (Pavia), San Martino di Ferrara, San Martino Buonalbergo (Verona), San Martino al Tagliamento, per citarne solo alcuni.

Si racconta che San Martino parlasse con gli animali ma che prediligeva e rispettava anche gli alberi. Prova ne sia l’episodio che le cronache religiose riportano fra i miracoli attribuiti a San Martino. Un giorno, avendo chiesto a chi di ragione che fosse abbattuto un albero che molti adoravano alla stregua di un idolo paganeggiante, gli fu spietatamente risposto: “mettiti sotto l’albero mentre lo tagliamo, …. così si potrà vedere se il tuo Dio correrà a salvarti”. San Martino accondiscese e si pose in piedi accanto all’albero, nella direzione in cui sarebbe dovuto cadere. Quando il pesante arbusto incominciava a piegarsi per i colpi di scure assestatigli alla base, improvvisamente esso tornò a drizzarsi in linea verticale e s’abbatte dal lato opposto.

Fra la massa dei devoti di San Martino è prevalente l’immagine che lo vuole rappresentato in divisa da centurione romano, quasi baldanzoso in sella al suo cavallo bianco. Chi più e chi meno, però, conoscono la leggenda del mantello che Egli generosamente ritenne di tagliare a metà per alleviare la sofferenza di un semi ignudo viandante. Tutti hanno sentito dire che a seguito di tale altruistico gesto di bontà e di commiserazione il freddo si attenuò e tornò a splendere un caldo sole. La tradizione vuole che da allora, l’11 novembre di ogni anno, si ripresenti spesso e quasi miracolosamente una ben gradita parentesi di bel tempo, magari in aperto contrasto con le consuete temperature stagionali. Si torna ad inneggiare, quindi, al Santo di Amiens. La tradizionale iconografia, di massima, rappresenta il Santo in divisa da centurione, in sella ad uno scalpitante cavallo.