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Le sanzioni della Ue mettono in crisi il rapporto tra Papa Francesco e il patriarca Kirill

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AGI – “Gioiscano i cieli e sussulti la Terra: Oriente e Occidente si sono riuniti nella pietra angolare, Gesù Cristo” stabiliva il Concilio di Firenze, quello per cui l’Alberti aveva completato la facciata di Santa Maria Novella. Almeno quella rimane, per fortuna: la riunificazione invece durò ben poco. Quella di oggi è una delle giornate più complesse degli ultimi decenni, per il mai semplice dialogo ecumenico ma anche per i rapporti in generale tra le due anime d’Europa.

Quei due polmoni, diceva Wojtyla, che fanno respirare il Vecchio Continente dai tempi di Cirillo e di Metodio: fratelli inseparabili, inviati dall’Imperatore di Bisanzio tra gli slavi cui dettero alfabeto e identità, vissuti alla presenza del Romano Pontefice. Le radici, insomma, dell’antica quercia.

Oggi, si diceva, le fratture. La Commissione Europea raccomanda l’applicazione delle sanzioni a Kirill, patriarca di Mosca e sostenitore dell’intervento russo in Ucraina; il Patriarcato di Mosca usa toni al limite della rottura definitiva nei confronti di Bergoglio.

Nello specifico, gli ortodossi russi hanno risposto così a Bruxelles: “Il patriarca Kirill proviene da una famiglia i cui membri sono stati sottoposti per decenni a repressioni per la loro fede e posizione morale durante i giorni dell’ateismo militante comunista, senza temere reclusione e repressioni”. E metà della lacerazione tra le due Europe si è consumata, perché è vero che Kirill vede l’Unione come un insieme di entità corrotte serve della Lobby Gay, ma è altrettanto vero che è lui a rappresentare uno dei pochi canali per tentare di instaurare un dialogo con il Cremlino che sia degno di tale nome. E Bruxelles, con l’idea di sanzionarlo, ha scavato un bel pezzo di fossato.

La frattura si è completata però quando il Patriarcato, dando prova di avvertire una sorta di Einkreisungscomplex, ha aperto il fronte di Papa Francesco. Questi, nella sua intervista al Corriere della Sera, aveva parlato di una Nato che abbaia alla porta del Cremlino, suscitando non pochi commenti d questa parte di quella che viene da tornare a definire la Cortina.

Poi però aveva aggiunto una frase la cui portata non è stata colta immediatamente. Parlando proprio del possibile ruolo di Kirill come ponte di dialogo, il Pontefice ha commentato: “Il Patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin. Io avevo un incontro fissato con lui a Gerusalemme il 14 giugno. Sarebbe stato il nostro secondo faccia a faccia, niente a che vedere con la guerra. Ma adesso anche lui è d’accordo: fermiamoci, potrebbe essere un segnale ambiguo”.

Toni definiti “sbagliati” dal diretto interessato, che attraverso l’ufficio relazioni esterne del Patriarcato ha aggiunto in modo molto significativo: “Tali dichiarazioni difficilmente contribuiranno all’instaurazione di un dialogo costruttivo tra le chiese cattolica romana e ortodossa russa, che è particolarmente necessario in questo momento”.

Insomma: Bergoglio non va a Kiev, perché vuole andare prima a Mosca. Ma il Cremlino non lo degna di risposta e Kirill gli manda a dire che il futuro delle relazioni, almeno nell’immediato, è compromesso. La missione di Cirillo e Metodio sembra essere, in questi frangenti, di ben difficile realizzazione.

Non è solo, però, una questione di dialogo ecumenico compromesso (è vero, alla Chiesa Cattolica resta il proficuo rapporto con Bartolomeo di Costantinopoli e con gli ortodossi ucraini, che sono ben più numerosi degli stessi russi, ma il ruolo di Mosca per una vera svolta ecumenica è centrale). Si tratta, al profondo, del ritorno della divisione dell’Europa che si riaffaccia dopo che tutti o quasi l’avevano data per superata dopo il 1989.

Il punto di rottura con la Ue

Lo scontro con Bruxelles, da questo punto di vista, è probabilmente ancora peggiore delle incomprensioni con i cattolici. Non perché queste siano di facile superamento: al contrario. Ma perché un’entità politica come l’Ue ha scelto di vedere in Kirill non un esponente religioso dalle posizioni e dai patrimoni magari poco consoni all’abito, bensì la parte di un sistema di potere cesaropapista che governa la Russia nell’unione della sua dimensione civile e religiosa.

In altre parole: ha ridotto il Patriarcato ad un semplice ministero alle dipendenze di Putin, così come lo era stato – esattamente con la denominazione di ministero per il culto – ai tempi di Pietro il Grande. Probabilmente si tratta di un errore strategico, le conseguenze si faranno sentire.

Si faranno sentire, a lungo. Perché se c’è qualcosa la cui esistenza viene dimostrata, nel momento stesso della sua negazione, è che l’Europa ha radici cristiane e se queste vengono recise è tutto il Vecchio Continente che ne soffre. Se si apre il baratro tra i fratelli in Cristo il problema è di tutti, anche dei più laicisti. Anche di Bruxelles. Ma anche di Cirillo e di Metodio, che da mille e duecento anni attendono di vedere la loro missione che si compie.

Source: agi


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