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Le ricerche del Cern sul cervello che fondono neuroscienze e intelligenza artificiale

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Forse nascerà un supercomputer europeo, capace di imitare il cervello umano. O forse (e non è poco) sarà battezzata una piattaforma che intreccia neuroscienze, big data, intelligenza artificiale. È lo Human brain project, un progetto decennale della Commissione europea avviato nel 2013 con un investimento da un miliardo. Per capire il suo peso, basta dire che solo un altro, quello sulla ricerca del grafene, ha ricevuto tanto.

Che cos’è lo Human brain project

Lo Human brain project coinvolge circa 120 istituti in tutta Europa e punta a costruire “un’infrastruttura di ricerca per aiutare a far progredire la neuroscienza, la medicina e l’informatica”. In occasione della Settimana del cervello (dall’11 al 17 marzo), sono state promosse alcune iniziative, tra le quali il seminario “Simulare il cervello umano”, ospitato l’11 marzo dall’Aula Magna dell’Università La Sapienza di Roma.

A organizzarlo è stato lo European Brain Research Institute (Ebri), l’istituto dedicato allo studio delle Neuroscienze fondato da Rita Levi Montalcini, in collaborazione con Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e Istituto Superiore di Sanità. Sono tre dei 12 enti italiani che partecipano allo Human brain projec (Hbc). “L’idea – spiega all’AGI Enrico Cherubini, direttore scientifico dell’Ebri – è usare tecniche avanzate per mappare il cervello e costruirne uno ‘in silico’”. Cioè riprodurre i meccanismi cerebrali sui computer. “Si tratta di un traguardo molto ambiziosa”. Ma, afferma Cherubini, “anche se sarà difficile raggiungerlo, è già oggi un volano di buona ricerca. Quello che stiamo facendo è costruire piccoli tasselli di questo mosaico”.

Verso “un Cern del cervello”

Nel 2023, al termine del progetto, la Commissione europea vuole istituire una piattaforma tecnologica diffusa che potremmo descrivere – afferma Cherubini – come “il Cern del cervello”. Una rete europea di esperti che sta alla neuroscienza come l’organizzazione diretta da Fabiola Gianotti sta alla ricerca nucleare. In particolare, l’Ebri si occupa di “raccogliere dati sperimentali che servono a chi (come bioinformatci e matematici) costruisce modelli e algoritmi. In particolare, la nostra ricerca si concentra sull’apprendimento e sulla memoria”.

L’Istituto Superiore di Sanità si concentra invece sugli stati sonno-veglia e coscienza-non coscienza; quello Nazionale di Fisica Nucleare sulla creazione dei modelli. Sono solo frammenti del complesso mosaico previsto dallo Human brain project, composto da neuro-informatica, simulazioni (la replica dell’architettura cerebrale), analisi dei dati, “informatica medica” (che si concentra sulla gestione dei dati dei pazienti), neuro-robotica e computer neuromorfici (ispirati al cervello umano). Anche se non si dovesse mai riuscire a emulare il cervello umano nel suo complesso, è comunque importante capirne e utilizzarne alcuni meccanismi. Nel caso dei “computer neuromorfici”, ad esempio.

I chip in silicio, spiega Cherubini, “usano 7-10 volte più energia del cervello per fare operazioni simili”. Imitarlo renderebbe quindi i computer più efficienti. “Oggi si parla tanto di big data: un’enorme massa di dati va incanalata nella giusta direzione. Farlo quando si tratta di cervello è una grande sfida: il cervello umano ha 100 miliardi di neuroni, connessi tra loro e con una propria individualità. Ci consentono di pensare, apprendere, provare emozioni, governare i movimenti”.

Un esempio: la cura dell’epilessia

Lo Human brain project ha già dato risultati concreti. Uno degli esempi arriva dalla Francia. Il 30% dei pazienti affetti da epilessia è resistente ai farmaci. In questi casi, è necessario ricorrere alla chirurgia, intervenendo – spiega Cherubini – sul cosiddetto focolaio primario, cioè sul punto di partenza degli attacchi. Il 50% di chi si sottopone all’intervento è però esposto a recidiva, perché è difficile capire con precisione dove inizia la crisi. “Nell’Hbp – afferma il direttore scientifico dell’Ebri – un gruppo di ricercatori di Marsiglia ha creato un nuovo algoritmo che, grazie al machine learning, è in grado di individuare il focolaio, su base personalizzata. Messo a confronto con metodi tradizionale, ha avuto così tanto successo che, dal primo gennaio, sono iniziati i trial clinici in 12 ospedali francesi”.

Human brain project: le possibili applicazioni

Come per l’epilessia, l’intreccio tra neuroni e dati potrebbe essere utile su memoria, emozioni, stress. Uno dei possibili obiettivi del progetto europeo è la “costruzione di un enorme database, consultabile grazie agli algoritmo e per parole chiave in modo da formulare la diagnosi corretta”. Anche se lo Human brain project non è concentrato sulle malattie, potrebbe quindi dare un contributo sostanzioso. Ad esempio contro l’Alzheimer: “Il database potrebbe facilitare l’identificazione di marcatori per scoprire la malattia prima che sia conclamata. Questa è la sfida: fare diagnosi precoci per intervenire il prima possibile e ridurre le complicazioni”.

Quando si parla di algoritmi e dati sanitari, la sicurezza non può essere tralasciata. “Tra i sotto-progetti dell’Hbp – sottolinea Cherubini – uno riguarda l’etica. Quindi non solo la sicurezza dei dati ma anche, tra le altre cose, il rapporto tra robot e pazienti”. “Fa parte del nucleo del progetto – si legge sul sito dello Human brain project – promuovere pratiche di ricerca e innovazione responsabili e contribuire a modellare la direzione dello Hbp in modi eticamente sani che servano l’interesse pubblico”. In questo percorso, l’Ebri è una delle eccellenze coinvolte. È un piccolo istituto privato, con 60 persone e ricercatori con età media di 35-40 anni. Ma deve fare i conti con i problemi economici con cui si confronta la ricerca italiana, soprattutto da quando – nel 2012 – è scomparsa Rita Levi Montalcini. Il premio Nobel era anche una personalità capace di attirare fondi. Oggi l’Ebri vive di contributi e grant. E riceve dallo Stato solo un milione di euro.

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Fonte: innovazione agi


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