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Le pagelle della quarta serata del Festival di Sanremo

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Quattro Nuove Proposte e ventisei Big. Date un bacio ai vostri bambini, lasciategli una vostra foto accanto al cuscino prima di metterli a letto, perché la prossima volta che li vedrete sarà passato talmente tanto tempo che potrebbero non riconoscervi. E quando gli spiegherete che no, non siete morti, stavate solo aspettando che cantasse Bugo, siate clementi con i loro dubbi.

A proposito di Bugo, a ridosso della puntata ha pubblicato una lettera nella quale ha dichiarato che si è rotto di essere preso in giro per ciò che è accaduto con Morgan l’anno scorso, che vorrebbe parlare di musica. Beh, che dire? Che sarebbe non solo giornalisticamente scorretto, ma soprattutto estremamente noioso, scrivere di Bugo senza ricordare, o anche utilizzare per dare colore, l’azione che di fatto lo consegna alla storia della musica italiana. Forse l’errore di Bugo è stato, al contrario, non abbracciare calorosamente quel suo gesto rivoluzionario, eroico, meravigliosamente drammatico; un gesto che, parliamoci chiaro, diciamolo sottovoce, gli ha fatto da cavallo di Troia per permettere proprio alla sua musica di essere ascoltata infinitamente di più di quanto non lo sarebbe stata altrimenti. Quel gesto, pur se inconsapevolmente (ne siamo certi), è stata la più intelligente, geniale ed intrigante mossa di comunicazione della storia della musica italiana moderna. A scanso di equivoci, Bugo fa buona musica, soprattutto perché ricca di personalità, e quando c’è da parlarne ne parliamo, anzi, per la precisione, ne parlavamo ancor prima che cominciassimo ad essere pagati per parlarne.

Si parte con i quattro finalisti della categoria Nuove Proposte, alla fine delle esibizioni, quando li inquadrano tutti insieme, uno accanto all’altro, in attesa della proclamazione del vincitore, ti viene in mente l’immagine di quando vai a giocare a calcetto, entri in campo e guardi in faccia gli avversari, e sai già che sono delle pippe atomiche.  Parte la gara, Zlatan Ibrahimovic ancora a fianco di Amadeus, il problema è che chi gli scrive i testi ha consegnato cinque copioni uguali, “26 canzoni, si faranno regolarmente le 2 di notte – avrà pensato – ma chi vuoi che se ne accorga??!”. L’idea di base degli interventi del campione del Milan comunque è sempre la stessa: Amadeus deve trasformarsi in Pippo Franco.

Immancabile il momento di Achille Lauro; più che altro questa partecipazione sta prendendo i connotati della sfida, di quelle lanciate per noia sul gruppo del Fantacalcio: “Scommettiamo che faccio incavolare la RAI?”. E invece più lui esagera più lo chiamano artista. Questo perché perfino la RAI si è accorta della sua innocuità, lo ha già spolpato, lui vuole fare il ribbbbelle e loro lo mandano a Sanremo e lo fanno diventare puro varietà. Tant’è che dentro si può infilare in totale scioltezza perfino Fiorello, lo showman meno disturbante di sempre. Stasera credo volesse comunicarci l’esistenza dell’omosessualità, uao, ci è caduto il monocolo dentro la coppa di champagne, siamo sconvolti. Molto più dissacranti Fiorello e Amadeus che cantano “Siamo donne” indossando due vistosi parrucconi, siparietto degno de La Corrida, ok, ma almeno se impari il balletto vinci una cena col capovillaggio e una lezione di Windsurf.

Ospite della prima puntata Diodato, vincitore della scorsa edizione del Festival, alla quarta arriva Mahmood, tra l’altro vestito come un personaggio di Mortal Kombat, vincitore due anni fa; pare abbiano deciso che andremo avanti così fino a Nilla Pizzi e nessuno va a letto finchè non finiamo. A mezzanotte finalmente il monologo di Barbara Palombelli, molto atteso da Barbara Palombelli, un carisma talmente trascinante che sembra una puntata di The Walking Dead in cui gli zombie hanno vinto. Superospiti Alessandra Amoroso ed Emma Marrone, cantano il loro duetto dal titolo “Pezzo di cuore”, alla fine l’una presenta l’altra, menomale perché ogni volta è sempre un problema. Mentre ci avviamo verso l’una di notte è il momento di Enzo Avitabile e I Bottari di Portico…perché? Voi solitamente all’una di notte non vi sparate un po’ I Bottari di Portico? Toccante il momento in cui Alessandra Amoroso e Matilde Gioli parlano dell’attuale situazione dello spettacolo, “Vogliamo tornare alla vita di prima”, tranquille ragazze, prima o poi dovrà pur finire Sanremo.

Alla fine della serata la classifica parziale ci dice che in testa c’è ancora Ermal Meta, il quinto posto assegnatogli dalla sala stampa stasera non basta a fagli perdere la vetta in favore di Willie Peyote, che però guadagna il secondo posto diventando il nemico numero uno. Probabilmente saranno loro a giocarsi la vittoria finale, si potrebbe prospettare uno scenario avvincente, spettacolare, rivoluzionario; oppure vince Ermal Meta.

NUOVE PROPOSTE

Davide Shorty – “Regina” – Voto 6,5: Davide “Telespalla” Shorty la vittoria della categoria certamente la meriterebbe, giusto perché è una canzone audace, un po’ come la camicia che indossa, ma bella. Una canzone radiofonica, leggera, agile, un po’ come si muove lui sul palco, ma con le articolazioni.

Folcast – “Scopriti” – Voto 5,5: Una canzone che al primo ascolto non prende particolarmente, alla seconda ti viene spontaneo fare una lista delle altre canzoni che ti ricorda, ed è talmente lunga che dura più dello stesso brano, così finisce che te lo perdi. Alla terza inizi a capire perché potrebbe piacere, ma poi vieni distratto da lui  che si aggira sul palco come Michael Douglas in “Una giornata di ordinaria follia”. Alla quarta…no, non c’è una quarta.

Gaudiano – “Polvere da sparo” – Voto 6,5: Forse non è la canzone più complessa e il suo timbro anni 2000 non ci fa strappare i capelli. Ma è la canzone, forse addirittura dell’intero festival, che ti spiattella una storia in maniera chiara, nitida, definita. E questo se non crea una forte empatia, perché comunque manca fisiologicamente un po’ di mestiere, perlomeno ti offre l’occasione di starlo a sentire. Ed è per questo che vince. E non si può dire che non se lo meriti.

Wrongonyou – “Lezioni di volo” – Voto 5,5: Qualsiasi brano parta con il jingle del nome di chi canta andrebbe escluso a priori da qualsiasi pubblica manifestazione musicale.

BIG

Annalisa – “Dieci” – Voto 5: Non è che il brano sia necessariamente la cosa peggiore avvenuta nella storia del mondo, il punto è che tutto sembra costruito ad hoc, ci trovi tutti gli ingredienti che deve avere una canzone oggi per funzionare. Niente di artistico, niente di onesto, la canzone non dice niente, l’interpretazione di Annalisa non dice niente. Il silenzio è facile, lo capiamo, però non esageriamo, se stiamo qui cinque ore a sentire canzoni, ascoltiamole come si deve.

Aiello – “Ora” – Voto 6,5: Stavolta l’esecuzione del brano è più misurata, quindi viene fuori meglio e viene in mente che è un peccato che il suo esordio sul palco dell’Ariston si sia trasformato in un meme, perché è una buona canzone. Non perfetta, ancora da smussare, ma buona. Ci aspettavamo qualcosa in più dal Sanremo di Aiello, molto seguito e molto amato da tanti ragazzi; invece orbita tristemente nelle zone basse della classifica. In compenso stravince il premio camicia più brutta della storia del mondo, sembra l’avanzo di un costume di Achille Lauro cucito addosso alla meno peggio.

Maneskin – “Zitti e buoni” – Voto 7: A scanso di equivoci, quando scriviamo che i Maneskin fanno rock, naturalmente, intendiamo il rock che hanno loro in testa; che è un rock vissuto di riflesso, quindi pieno di citazioni, decisamente e fisiologicamente influenzato dal pop, dal non aver respirato una determinata stagione. Ma, cavolo, sono giovanissimi, e invece di fare musica chiusi in cameretta al computer collegati su Twitch, la fanno dentro una sala prove, con degli strumenti in mano, con l’intento di dire qualcosa. Ci riescono? Be, la urlano, hanno voglia di spaccare, di esagerare, come a ben ragione hanno voglia di fare i ragazzi di una certa età. Magari basta portare pazienza e provare a capire se quando avranno esaurito questa energia di pancia cominceranno ad usare un po’ più di mestiere, a desiderare qualcosa di diverso, a sperimentare, a maturare, a buttarsi…Ma, ehi, per andare da qualche parte c’è bisogno di cominciare a camminare, questa sembra una direzione che, bella o brutta, a loro evidentemente piace.

Noemi – “Glicine” – Voto 7: Noemi quest’anno propone una canzone da vittoria del Festival. Senza se e senza ma, in altre annate potevamo rimpacchettare tutto l’Ariston dopo la prima serata e andarcene a casa. Perché è un pezzo con un ritornello che è un guizzo imprevedibile, spiazzante e coinvolgente. Lei canta bene, forse ha addirittura trovato quella hit che cercava da tempo.

Orietta Berti – “Quando ti sei innamorato” – Voto 5,5: Mettendo per un attimo da parte la tiritera sul fatto che a 77 anni Orietta Berti va lì a cantare forse meglio di chiunque lì dentro, possiamo notare che si veste come Achille Lauro ma è molto più figa e trasgressiva? Nel pomeriggio ha dichiarato di voler fare un duetto “con Ermal Meta o con i Naziskin”. Naturalmente si tratta di un lapsus, come si può credere che Orietta Berti voglia davvero cantare con Ermal Meta?

Colapesce e Dimartino – “Musica leggerissima” – Voto 8: Direttamente da Miami Vice, ecco tornare sul palco del Festival i Franco e Ciccio dell’indie italiano. Rispetto alla prima serata la canzone cresce, dalle prime note ti accorgi di canticchiarla senza rendertene conto. È indubbiamente una delle canzoni più belle dell’edizione, la capacità di accostare la freschezza del pop d’essai ad un contenuto di fondamentale importanza da comprendere, è quasi divina.

Max Gazzé – “Il farmacista” – Voto 8: Gazzè gioca un altro campionato. Non ha mai scritto un pezzo banale, ma sempre labirinti di parole dentro le quali perdersi è bellissimo, un viaggio, necessario, a ricordarci che possiamo chiedere di più, non dobbiamo necessariamente accontentarci di produrre musica pigra, per orecchie pigre, per un mercato pigro. Dovremmo invece prenderci la responsabilità una buona volta di ascoltare la musica brutta e dire semplicemente che è brutta, e quando ci chiedono che intendiamo per brutta rispondere: “Mi viene più facile farti capire cosa intendo per musica bella. Apri Spotify, vai sulla pagina di Max Gazzè. Fatto? Bene: clicca play”.

Willie Peyote – “Mai dire mai (la locura)” – Voto 10: Non è un brano, è una sonora sculacciata, un pazzo che si butta dentro ad una rissa tra sconosciuti, molto più pazzi di lui, solo per la necessità, anche a tratti rabbiosa, certamente severa, di menare pugni a destra e a manca. Il signor Peyote è una delle più fini penne della musica italiana, chi non lo sapeva si vada a recuperare la sua musica e capirà di cosa stiamo parlando.

Malika Ayane – “Ti piaci così” – Voto 7,5: L’unico limite di questo brano è proprio la sua forza, è complesso, non ti accoglie con un inchino, si fa desiderare. Un limite, discograficamente parlando, non un difetto, sia chiaro. Lei lo canta ed interpreta benissimo.

La Rappresentante di Lista – “Amare” – Voto 9: Brano eccezionale, più lo ascolti e più hai voglia di ascoltarlo. Loro non lo interpretano, lo mettono in scena, gli danno la vita, ci permettono di abbracciarlo. Conoscete il detto “Se non ci fossi bisognerebbe inventarti”? Ecco, letteralmente.

Madame – “Voce” – Voto 9: Quando si ascolta la canzone di una ragazza di 19 anni, non si può non considerare il fatto che abbia 19 anni, sarebbe scorretto, specie se questa ragazza sgomita in un settore a trazione maschile, e spreme comunque milioni di ascolti. Da questo punto di vista “Voce” è una canzone stratosferica. Ma facciamo finta che Madame abbia 30 anni e una ricca carriera già alle spalle; sarebbe comunque una canzone stratosferica.

Arisa – “Potevi fare di più” – Voto 6: Ma cosa borbotta nei primi 30 secondi di canzone? Ce l’ha con me? Ricordiamo che i diritti di questo brano vanno ai vicini di casa di Gigi D’Alessio, pare il cantautore napoletano abbia semplicemente trascritto pari pari una loro lite. Il succo del testo, se abbiamo capito bene, è che lui si è dimenticato di far partire la lavastoviglie.

Coma_Cose – “Fiamme negli occhi” – Voto 10: Una canzone d’amore commovente che non scade mai, nemmeno per sbaglio, in quei patetici cliché della canzone d’amore. Anzi, ci racconta un amore colorato, plurale, infuocato, quotidiano, che vive di piccoli gesti e, soprattutto, di sguardi che si incrociano e si appartengono. E loro hanno quello sguardo negli occhi, cantano quel brano mettendosi da un lato e tutto il resto del mondo dall’altro, e l’impressione è che siano nettamente i più forti.

Fasma – “Parlami” – Voto 5: Ragazzo sfortunato, parte il pezzo e si verifica un altro problema tecnico: il microfono è acceso. No, ok, si scherza, la canzone, anzi, funziona, solo che manca spessore, e siccome quest’anno ce ne sono di brani di spessore, è giusto fermarlo lì, per quanto possiamo. Augurando il meglio, chiaramente. Distinti saluti.

Lo Stato Sociale – Combat pop – Voto 7: Una festa alla quale Lo Stato Sociale invita tutti quanti. C’è anche l’illusionista, se non avessero dovuto cantare una canzone avrebbero portato anche la torta e lo spumante. Il brano funzionerà benissimo quando lo canteranno dal vivo, che è la dimensione naturale della band bolognese, e non perché funzionano meglio che in tv, ma perché lì sono più felici.

Francesca Michielin e Fedez – “Chiamami per nome” – Voto 5,5: La Michielin mentre canta fa la faccia di una che vuole picchiarti e qualcuno la sta trattenendo. Al secondo ascolto, bisogna dirlo, il brano peggiora.

Irama – “La genesi del tuo colore” – Voto 7: Per forza di cose la valutazione resta quella, così impegniamo il tempo dell’esibizione ad immaginarci la nostra vita alla fine del Festival.

Extraliscio feat Davide Toffolo – “Bianca luce nera” – Voto 7: Ogni volta che salgono sul palco a cantare il loro pezzo non puoi fare a meno di guardare Mirco Mariani dritto negli occhi e pensare “Uno di noi due è ubriaco”.

Ghemon – “Momento perfetto” – Voto 6,5: A Ghemon pare manchi sempre qualcosa per arrivare a comporre il pezzone inattaccabile. Bisogna anche sottolineare che noi siamo certi al 100% che Ghemon prima o poi sfornerà un pezzone inattaccabile.

Francesco Renga – “Quando trovo te” – Voto 4,5: Ok, la canzone non è sto gran capolavoro, ma non accendergli il microfono come un Fasma qualsiasi sembra esagerato. Ma il vero guaio è che Amadeus, che c’ha orecchio, si accorge del casino dei tecnici un quarto d’ora dopo così, dimostrando un grande fegato, rientra annunciando che Renga deve ricantare. Noi non possiamo crederci, il nostro incubo si sta materializzando: questo Sanremo durerà per sempre, ormai ne siamo certi, non c’è un mondo dopo Sanremo.

Gio Evan – “Arnica” – Voto 4: Gio Evan è il personaggio più riuscito di Enrico Beruschi. In questi giorni ha dichiarato più volte di non aver mai visto il Festival di Sanremo, che come scusa per quei vestiti non è granché. Poi, ok, non l’hai mai visto, ma qualcuno poteva dirtelo che si trattava di una gara canora, no?

Ermal Meta – “Un milione di cose da dirti” – Voto 6,5: è una canzone semplice, ben cantata, funzionante. Vincerà, perché Sanremo è Sanremo. Ma non è nemmeno lontanamente la miglior canzone del Festival.

Bugo – E invece sì – Voto 6: Irrompe sul palco indossando un impermeabile come un maniaco ai giardinetti, sembra uno costretto a passare ad una festa di compleanno ma che si è ripromesso di stare cinque minuti, il tempo di fare gli auguri e scappare. La canzone l’avevamo già intuita alla prima serata, è una canzone di Bugo, bella come molte canzoni di Bugo e con dei limiti, come tutte le canzoni di Bugo.

Fulminacci – “Santa Marinella” – Voto 9: Fulminacci canta Roma con una poesia del tutto surreale, con un’energia che ti teletrasporta lì, tra quelle strade, a respirare quell’aria; questo perché non se la stringe a sé con gelosia, non la racconta come se fosse solo sua, come se solo lui la capisse. La osserva, se ne innamora, ci infila la testa e ci vede dentro una storia d’amore, che racconta con la stessa delicatezza con la quale la neve finta ondeggia dentro una palla di vetro, ricordandoci di posti dove non siamo mai stati.

Gaia – “Cuore Amaro” – Voto 5: L’impressione è che sia un pezzo sbagliato che non mette in risalto gli aspetti più intriganti della sua voce. Dovrebbe farci viaggiare tra l’Italia e il Brasile, ma io mi sento più a Ostia, su un minuscolo canotto, a dividermi una fettona di anguria con Fabrizio Bracconeri.

Random – “Torno da te” – Voto 2: Qualcuno un giorno lo ha sentito cantare e ha pensato: “Forte, investo denaro su di lui”. È successo. Non sappiamo esattamente dove, né quando, né soprattutto perché, ma dev’essere successo per forza. Ora, aldilà delle spiegazioni, vorremmo solo vedere in faccia questa persona. Tutto qui.

Source: agi


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