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Le ipotesi in campo per la riforma della legge elettorale 

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AGI – Proporzionale o maggioritario? L’annosa ‘diatriba’ torna a farla da protagonista nei ragionamenti dei leader, che provano a ipotizzare i futuri scenari, tanto più dopo l’esito delle elezioni amministrative e ancor di più in vista dell’appuntamento di inizio anno con l’elezione del successore di Mattarella.

Se prima del voto locale sembrava essere tornato prepotentemente in auge il modello proporzionale, caro a chi preferisce ‘contarsi’ alle urne e mantenere le mani libere per ‘trattare’ sul governo solo dopo il voto, con i ballottaggi gli equilibri di forza sembrano destinati a ribaltarsi a favore del maggioritario, modello che al contrario costringe le forze politiche a scegliere con chi stare prima delle elezioni.

A rendere impervio il cammino di un possibile accordo sulla riforma elettorale contribuiscono le differenti posizioni all’interno degli stessi partiti: nel Pd, ad esempio, da tempo si ‘fronteggiano’ i sostenitori del proporzionale (tra i primi l’ex segretario Zingaretti) e i sostenitori del maggioritario (tra cui l’attuale segretario Letta). Stesso dilemma che anima la Lega e, in proporzioni diverse, Forza Italia.

Elemento da non sottovalutare, poi, la nuova composizione del Parlamento: dalle prossime elezioni politiche, infatti, scatterà il taglio dei parlamentari, che passeranno dagli attuali 945 (630 deputati e 315 senatori) a 600 complessivi (400 deputati e 200 senatori). Dunque, ‘truppe’ ridotte per tutti, con il rischio per i ‘piccoli’ di portare in Parlamento un numero residuale di eletti o, addirittura, rimanere a bocca asciutta. Da qui l’importanza del sistema elettorale.

Altro elemento da non sottovalutare l’entrata in vigore della riforma che allarga la platea dei votanti per il Senato: potranno eleggere i futuri senatori anche i 18enni (si tratta di circa 4 milioni di nuovi elettori). Il che dovrebbe contribuire – ma la riforma da sola non basta – a rendere più omogenei i risultati elettorali di Camera e Senato, evitando – come succede da tempo – di avere diverse maggioranze nei due rami del Parlamento, anche se per raggiungere questo obiettivo bisognerebbe intervenire pure sulla modalità di elezione di palazzo Madama.

L’ex maggioranza giallorossa aveva predisposto alcuni correttivi al taglio dei parlamentari, tra cui la modifica da regionale a circoscrizionale della base elettiva del Senato, ma la riforma giace in commissione da tempo.

Le ipotesi in campo

Partendo dalla legge elettorale in vigore, passando per il testo depositato in commissione alla Camera da oltre un anno, ecco le ipotesi in campo e come si posizionano i sostenitori dell’uno e dell’altro modello:

La legge in vigore, il Rosatellum bis: è una sorta di Mattarellum ‘rovesciato’, un mix tra maggioritario e proporzionale ma dove la quota di proporzionale la fa da padrona: 64% di listini plurinominali a fronte del 36% di collegi uninominali. La soglia di sbarramento sia per la Camera che per il Senato è al 3% a livello nazionale per le liste, mentre è del 10%, sempre a livello nazionale, per le coalizioni. Ci sarà un’unica scheda e non viene concesso il voto disgiunto. C’è la quota di genere (60-40) e la possibilità di un massimo di cinque pluricandidature nei listini proporzionali, ma anche la possibilità per un candidato di presentarsi sia nei collegi uninominali che in quelli plurinominali. Infine, non c’è l’indicazione del ‘capo’ della coalizione – ovvero del candidato premier – ma è prevista l’indicazione del ‘capo’ della singola forza politica, e non c’è l’obbligo per la coalizione di presentare un programma comune. Sono 20 le circoscrizioni per il Senato, una per ogni regione, mentre sono 28 quelle della Camera. Il taglio dei parlamentari introduce un surplus di maggioratorio, con maxi collegi da circa 900mila elettori al Senato.

Il Brescellum, la proposta degli ex giallorossi: frutto dell’intesa faticosamente raggiunta dalla maggioranza che sosteneva il governo Conte II (Pd, M5s, Leu e Italia viva), è un modello simil-tedesco, ribattezzato ‘Brescellum’ dal nome del presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, il pentastellato Giuseppe Brescia. Adottato come testo base, è poi finito nel limbo, anche a seguito del ‘disconoscimento’ da parte dei renziani, che si sono messi di traverso bloccandone di fatto il prosieguo dell’iter, interrotto anche dall’avvento dell’era Draghi e della nuova eterogenea maggioranza. Si tratta di un sistema elettorale proporzionale, con soglia di sbarramento al 5% e il cosiddetto diritto di tribuna per i piccoli partiti. Non viene affrontata nel testo la questione della lunghezza delle liste, (listini bloccati o preferenze). Addio alla quota maggioritaria, vengono infatti cancellati i collegi uninominali. Questo sistema è stato fortemente ‘sponsorizzato’ dal Pd, sotto la guida Zingaretti e da Leu. Un ritorno al proporzionale piace ai 5 stelle. E’ stato invece osteggiato dalle forze di centrodestra, anche se dentro Forza Italia c’è chi spinge per un ritorno al proporzionale ed anche nella Lega c’è chi non disdegnerebbe ‘liberarsi’ dall’abbraccio di FdI.

Le posizioni dei partiti

Il voto amministrativo sembra aver ridato vita a un sistema bipolare, con due schieramenti contrapposti. Ma per delineare il quadro attuale e le posizioni sul sistema di voto più congeniale, è necessario fare la ‘tara’ alle dichiarazioni ufficiali. Se, infatti, il centrodestra al termine dell’ultimo vertice a tre (Berlusconi, Salvini e Meloni) ha messo nero su bianco il no compatto al proporzionale, concetto ribadito poi dal segretario leghista in successive dichiarazioni, è altrettanto vero che tra gli azzurri c’è chi non disdegna affatto il ritorno al proporzionale, così da assicurarsi una certa autonomia in vista di eventuali ‘riposizionamenti’ al centro.

Proprio al centro potrebbero registrarsi i maggiori movimenti, già a partire dalle ‘trattative’ per il dopo Mattarella. In quest’area si collocano i renziani, da sempre pro maggioritario ma che sulla carta otterrebbero maggiori ‘frutti’ da un sistema proporzionale che potrebbe consegnare a Italia viva e agli altri centristi il ruolo di ago della bilancia. Stesso ragionamento per gli altri ‘piccoli’ di area moderata, come Azione di Calenda e il totiano Coraggio Italia. Per contro, proprio per frenare le ‘mani libere’ dei ‘piccoli’ al Pd, nel pieno della fase federatrice ‘Nuovo Ulivo’, potrebbe convenire un sistema maggioritario, che costringe i centristi, ma anche i 5 stelle, a scegliere da che parte stare prima del voto. Stesso discorso per Lega e FdI, che con il maggioritario legherebbero a doppio filo gli azzurri. Ma sull’altro piatto della bilancia c’è da considerare che il sistema maggioritario costringerebbe la Lega a rinnovare ‘l’abbraccio’ con Meloni.

Infine, i 5 stelle: da sempre a favore del proporzionale, sarebbero ancor più spinti verso un sistema non maggioritario dai ‘movimenti’ dem, che mirano a ‘inglobare’ i pentastellati nella futura alleanza.

Maggioritario con doppio turno: tra le ipotesi su cui si starebbe iniziando a ragionare (si parla di un avvio di dialogo tra Pd e Lega) ma ancora a livello embrionale, c’è un sistema proprzionale di base, ma con un forte correttivo maggioritario attraverso un premio di maggioranza al 15% da assegnare alla lista o coalizione che arriva al 40%. Se nessuno raggiunge questa percentuale (obiettivo assai ambizioso, anche alla luce del crescente astensionismo), si procede con un ballottaggio tra le due liste o le due coalizioni che hanno ottenuto più voti.

Proporzionale con ritocchi minimi al rosatellum: i sostenitori del proporzionale (una fetta di dem e azzurri, i 5 stelle e i centristi) non escludono un intervento minimo sul Rosatellum, che si limiterebbe a eliminare i collegi uninominali, lasciando la soglia di sbarramento al 3% e mantenendo il resto dell’impianto della legge, con la rivisitazione dei collegi plurinaminali per adeguarli al taglio dei parlamentari.

 

Source: agi


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