Type to search

Le Carré, la spia che divenne scrittore

Share

AGI – Nel gelido inverno del 1948, mentre le strade delle città europee erano ancora ingombre delle macerie della Seconda Guerra Mondiale, un ragazzo di 17 anni combatte già un’altra guerra, che sarebbe andata avanti per un altro mezzo secolo e di cui sarebbe riuscito a vedere la fine, uscendone vivo e straordinariamente celebre. Il suo nome è David Cornwell, ed è un ragazzo prodigio, tanto che a 16 anni è già iscritto all’università a Berna.

Ma, anche se studia in Svizzera, era pur sempre nato nel Dorset e il suo talento viene notato in patria, dove uno sguardo molto particolare lo tiene sotto osservazione.

Sono gli occhi dell’MI6, il servizio di intelligence britannico, che decide di mandare un agente a reclutarlo. Due anni dopo, a nemmeno 20 anni, fa il servizio militare nei servizi segreti dell’esercito britannico in Austria, ma per mandarlo sul campo bisogna ricostruirgli una verginità, così va prima a Oxford, dove impara, e poi a Eton, dove insegna: alla creme dei rampolli della nobiltà e dell’alta borghesia inglese.

Lo spionaggio è una cosa che richiede tempo e così David ha quasi 27 anni quando finalmente entra nell’MI5 (il controspionaggio). Il suo compito è – finalmente – sul campo: deve pedinare agenti stranieri, intercettare telefoni ed entrare nelle case dei sospettati senza che se ne accorgano.

Passa poco e l’Mi6 lo rivuole indietro: nel 1960 si trasferisce dall’intelligence interna a quella esterna.

Ed è in quel momento, secondo gli studiosi che hanno esaminato a fondo le sue opere, che David Cornwell diventa John Le Carré.

Non sulla carta, ancora, ma secondo Timothy Garton Ash – autore nel 1999 di un articolo su Life and Letters dedicato allo scrittore/spia – è alla minuziosità del lavoro nell’intelligence che si deve molto dello stile di Cornwell diventato Le Carrè.

Le Carré ha scritto gran parte del suo primo romanzo, “Chiamata per il morto”, mentre era ancora in servizio, usando lo stile dell’Mi6: stile asciutto, nemico degli aggettivi e imperniato sul verbo.

In realtà Le Carré non è un agente di rilievo e cerca di superare questa frustrazione creando la sua versione del mondo segreto in cui lavora, dando corpo sulla carta al desiderio di sognare il sogno della grande spia, di essere al centro del grande gioco raccontato da Kipling in ‘Kim’.

E lo fa inventando un mondo spettrale più adatto alle sue esigenze, un mondo che si alimenta della paranoia che percorre il mondo dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, quando praticamente tutti, ovunque, sono sospettati di essere spie sovietiche.

Per Le Carré, le questioni di tradimento e paranoia hanno radici che vanno più in profondità della sua esperienza professionale come spia. Possono essere ricondotti alla sua vita familiare, e in particolare al rapporto con suo padre, Ronnie Cornwell, che gli studiosi descrivono come “un truffatore picaresco, energico, affascinante, di livello mondiale”.

Era stato per sfuggire all’influenza del padre che il giovane Le Carré si era trasferito a Berna. Ma era una fuga impossibile perché Ronnie avrebbe tentato in tutto i modi di sfruttare la fama del figlio: ad esempio presentandosi nel più grande studio cinematografico di Berlino Ovest millantando di rappresentare il figlio per l’adattamento cinematografico di “La spia che venne dal freddo” o facendogli causa per ottenere il rimborso delle spese sostenute per la sua istruzione.

Ma quale sarebbe il libro migliore per conoscere Le Carré? Publisher Weekly, che nel 2006, 43 anni dopo la sua pubblicazione, lo aveva definito “il miglior romanzo di spionaggio di tutti i tempi” non avrebbe dubbi: “La spia che è venuta dal freddo”.

Scritto al culmine della Guerra Fredda, ritrae i metodi di intelligence dei Paesi occidentali e comunisti come vili e moralmente insensati.

La trama dipende da una serie di capovolgimenti: mentre lo si legge, bisogna rivedere continuamente l’idea che ci si è fatti di quello che sta succedendo, il che fa parte del divertimento, ma lo rende schematico come il disegno di un architetto.

Eppure ‘La talpa’ è il più divertente. Uscito nel 1974, quando tutti ricordavano ancora quanto l’intelligence britannica fosse stata compromessa negli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta da agenti doppiogiochisti come Kim Philby e Guy Burgess, dice molto poco su come inizia il tradimento, ma crea un racconto fittizio di come potrebbe essere chiuso.

Come Raymond Chandler, un altro scrittore di genere, Le Carré offre una visione peculiare della vita, ma così persuasiva che molti lettori iniziano a vedere le cose a modo suo.

Tanto Chandler era un maestro della squallida e seducente amoralità di Los Angeles, quanto Le Carré è riuscito a creare un mondo e un gergo – soave, spietato, tagliente – da inglese istruito che in alcuni tratti è mutuato dalle spie vere.

Secondo Philip Roth, un altro libro di Le Carrè, “Una spia perfetta” del 1986, è non solo il suo migliore ma “il miglior romanzo inglese del dopoguerra”.

Con buona pace di George Orwell, Graham Greene, Muriel Spark e Anthony Burgess.

Le Carrè ha sempre disprezzato lo spionaggio americano. Gli americani mancano di stile, sottigliezza, pazienza, diceva e non si divertono a spiare come in un gioco insidioso.

Pensano di salvare il mondo, mentre i britannici sanno che, a parte gli interessi della Gran Bretagna, non c’è niente da salvare, se non la stessa, interminabile, eterna guerra tra spie. 

Vedi: Le Carré, la spia che divenne scrittore
Fonte: cultura agi


Tags:

You Might also Like