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«L’ARTICOLO 11 VA LETTO TUTTO L’ITALIA NON PUÒ ASTENERSI»

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Umberto De Giovannangeli

«La partecipazione a organizzazioni internazionali che mirano ad assicurare la pace richiede allo Stato italiano di partecipare alle operazioni militari. Ci sono i precedenti: la guerra del Golfo, gli interventi in Afghanistan e Libia»
La guerra in Ucraina, il rapporto tra Europa e Nato. Temi scottanti, come per altro quello sollevato dal movimento pacifista sulla congruità o meno rispetto al nostro ordinamento costituzionale, della decisione del Governo, sostenuta da un voto parlamentare, di inviare armamenti all’Ucraina. Il Riformista ne discute con un’autorità assoluta in materia: il professor Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale e professore emerito della Scuola Normale Superiore di Pisa, nonché professore di “Global governance” al “Master of Public Affairs” dell’”Institut d’Etudes Politiques” di Parigi.
A due mesi dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, è ancora “integra” l’alleanza Stati Uniti-Europa o si sono manifestate incrinature che rischiano di aggravarsi col prolungamento della guerra?
L’aggressione russa all’Ucraina ha avuto l’effetto di produrre la maggiore unità nel mondo occidentale. D’altra parte, chi abbia letto il discorso fatto dal presidente della Federazione russa all’Onu nel 2015, quando si festeggiavano i settant’anni delle Nazioni unite, sa che il progetto russo è quello di fermare l’espansione della rivoluzione democratica. Quindi, il mondo democratico non poteva che essere unito nell’opporsi ai disegni dell’autocrate russo.
Anche all’interno dell’Europa quell’unità d’intenti che aveva segnato l’inizio delle ostilità appare ora meno solida. Soprattutto su una questione cruciale come è quella “energetica”. L’Italia guarda alla sponda sud del Mediterraneo, Algeria ed Egitto, ma gli accordi raggiunti possono soddisfare solo il 30% del nostro fabbisogno di gas. A garantire il resto ci penserebbe l’America, a un prezzo quattro volte superiore al gas russo. Non c’è da riflettere?
Quello che mi pare interessante nella questione energetica è il progressivo allineamento dei Paesi europei, nonostante la diversità degli interessi nazionali, che sono divergenti, a causa del maggiore o minore ricorso fatto dai singoli Paesi alle risorse energetiche provenienti dalla Russia.
All’escalation militare si è accompagnata, specie nelle ultime settimane, quella “verbale”. Con il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, come protagonista assoluto. Ma se la pace si fa col nemico, bollare il suo omologo russo come “macellaio” e mandante di genocidio, che senso ha?
La politica non si giudica sulla base delle parole pronunciate, ma sulla base delle azioni intraprese e svolte. Il presidente degli Stati Uniti non ha mai consultato tanto frequentemente i leader europei come in questo periodo.
Professor Cassese, se il dibattito tra idee, visioni, diverse è il sale di una democrazia, l’affermarsi, almeno mediaticamente, di un pensiero unico “interventista” non le pare un brutto segnale?
Il dibattito arricchisce la democrazia, ma questo non vuol dire che ci si debba dividere programmaticamente: la diversità delle opinioni non può essestono re imposta, per così dire, dall’esterno.
In Italia si è aperto un dibattito a sinistra particolarmente acceso. C’è chi, come la professoressa Di Cesare ha sostenuto, dalle colonne di questo giornale, che votando il “decreto Ucraina” e l’aumento delle spese militari, la sinistra, e in essa il Pd, ha negato se stessa, la propria identità originaria. Da attento osservatore esterno, lei come la vede?
Dubito che si possa parlare della sinistra al singolare; di sinistre ne esiparecchie e questa domanda dovrebbe essere rivolta alle diverse sinistre. Comunque, quello che importa è l’evoluzione della realtà, non il modo in cui ci si atteggia rispetto al cambiamento dei dati reali. I dati reali più rilevanti in questo momento sono i seguenti. Un Paese aggressore, più di tre volte più grande dell’aggredito, invade un altro Paese, indipendente da trent’anni. Il Paese aggredito non ha una lunga tradizione statale ma, come mettono in luce alcuni studi recenti, una forte tradizione comunitaria; questo è dimostrato dal fatto che la reazione all’aggressione ha mobilitato un’intera nazione. Vi è una nazione in armi che si sta difendendo nei confronti dell’esercito dell’aggressore. Il secondo elemento fondamentale, al di là degli atteggiamenti delle forze politiche, è costituito dalla condanna che questo comportamento della Federazione russa ha avuto. Si sono espressi diversi organi. L’assemblea delle Nazioni unite. La Corte internazionale di giustizia. Il Consiglio d’Europa. La Corte penale internazionale. Il Parlamento europeo. Eurojust (l’agenzia dell’Unione europea per la cooperazione giudiziaria penale). L’Assemblea delle Nazioni unite, con una forte maggioranza di 141 voti a favore su 193 Paesi, ha duramente condannato l’invasione. Altrettanto ha fatto il Parlamento europeo. La Corte internazionale di giustizia ha avviato una procedura, su iniziativa della Stato ucraino, per violazione della convenzione del 1948 che proibisce e sanziona il genocidio, ordinando l’interruzione delle operazioni militari. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha adottato anch’essa un provvedimento cautelare. La Corte penale internazionale, ad opera del suo procuratore, ha aperto un’inchiesta. Eurojust sta raccogliendo gli elementi che possono servire a definire le violazioni del diritto…
E per quanto riguarda il nostro ordinamento?
Quanto al diritto interno, l’intervento italiano ha il suo fondamento nella legge del 2000 che regola le gravi crisi internazionali e stabilisce le azioni dello Stato italiano in quanto appartenente ad organizzazioni internazionali. L’intervento specifico è legittimato dal decreto legge 14 del 2022, convertito in legge dal Parlamento. Non bisogna dimenticare le norme del 1990 e del 2016, che prevedono la partecipazione a missioni internazionali e l’invio di “assetti militari”. Se si legge tutto l’articolo 11 della Costituzione, ci si rende conto che la partecipazione a organizzazioni internazionali che mirano ad assicurare la pace richiede allo Stato italiano di non astenersi, ma di partecipare alle operazioni militari, che possono essere di vario tipo: basta pensare a quelle di “peace-keeping”, di “peace-building” e di “peace-enforcing”. I precedenti sono quelli relativi alla prima guerra del Golfo del 1990, all’intervento in Afghanistan nel 2001 e in Libia del 2011. Ci si deve rammaricare della cessazione della missione Osce, cioè dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea, iniziata nel 2014 e finita il 31 Marzo del 2022, perché i Paesi parte dell’Osce non si sono messi d’accordo sulla prosecuzione della missione che sarebbe stata importante come osservatorio sul terreno.

Fonte: IL RIFORMISTA