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L’amore per la Costituzione, principi di solidarietà e formazione: parla con QdC Emilio Castorina, docente di Diritto Costituzionale

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di Rosanna La Malfa


Lei è Professore di Diritto costituzionale nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Catania. Quanta passione per la Costituzione?

Una passione che è nata in me già da quando ero studente nella nostra Università e ascoltavo le lezioni di grandi Maestri. Poi, ho avuto la fortuna di potermi dedicare alla ricerca e, allora, la Costituzione è divenuta oggetto dei miei studi. Mi interesso particolarmente delle sue trasformazioni, soprattutto alla luce dell’integrazione europea già da quando, appena laureato, mi recai all’estero usufruendo di una borsa di studio dell’allora Ministero della pubblica istruzione. Quando, nel 1989, cadde il Muro di Berlino, mi trovavo in Germania a studiare i fondamenti dell’istituto della cittadinanza. Un giorno, nei pressi della Porta di Brandeburgo, lo ricordo sempre ai miei studenti, con le mie mani e con l’aiuto di un piccolo martello riuscii a prelevare alcuni frammenti di quel muro che conservo ancora tra i miei ricordi più cari. Con quegli aridi frammenti di cemento tra le mani, capii veramente il valore della Costituzione: è un “bene” che appartiene a ciascuno di noi e rappresenta la negazione dell’egoismo e dei totalitarismi e, soprattutto oggi nella sua applicazione democratica e sociale, rimane una imprescindibile garanzia dei diritti fondamentali della persona umana.

Co-fondatore e componente del Comitato Scientifico del Centro di Diritto Costituzionale Europeo e Comparato – ECONET, al quale afferiscono numerose Università europee. In cosa consiste?

È un esempio di “rete” tra colleghi e tra Atenei. Il Centro promuove momenti di riflessione e d’incontro tra studiosi, i quali, al di là delle singole occasioni congressuali, danno vita, di fatto, a una “rete” di relazioni umane e collaborazioni scientifiche stabili. La “rete” è, al tempo stesso, collegamento scientifico e metodo di ricerca in sinergia; essa offre notevoli opportunità per mantenere vivo un dibattito, critico e costruttivo, tra esperienze e culture giuridiche diverse attraverso iniziative che possono, pertanto, avvalersi di una “piattaforma comune” per lo scambio di conoscenze e di modelli anche d’intervento operativo. Tra le occasioni più significative, ricordo una Summer School, apertasi a Catania e conclusasi a Mosca, nella Università MGIMO, dove abbiamo portato nostri studenti. Il Centro è per me una occasione assai importante dal punto di vista scientifico: vorrei solo ricordare un grande costituzionalista polacco che all’inizio di quest’anno ci ha lasciati improvvisamente e che ha costituito il costante punto di riferimento per le iniziative di ECONET, Bogus Banaszak, professore a Breslavia e anche fondatore di una nuova Facoltà di Giurisprudenza. Era un uomo assai impegnato negli studi. Da Lui ho imparato molte cose, ma soprattutto una: l’importanza di “dovere ascoltare tutti”, senza arroganza e presupponenza, e questo atteggiamento per Lui era una dote fondamentale per uno studioso. Purtroppo, oggi, il mondo universitario non offre tantissimi esempi di questo modello. Dovrebbero essere incentivati la ricerca in team e gli studi comparatistici nelle varie discipline; invece, molto spesso rimaniamo isolati e prevale la ricerca individuale.

Le è stata attribuita (nell’anno 2014) dalla Commissione Europea, a seguito di bando di concorso, la Cattedra Jean Monnet in materia di Pubblici servizi e diritti fondamentali nel quadro del costituzionalismo europeo. In pratica, di cosa si occupa?

La Cattedra ha il compito di promuovere attraverso l’insegnamento universitario i “valori” di riferimento dell’integrazione europea. Sono convinto che i servizi d’interesse generale sono strumentali non solo all’edificazione dello statuto della cittadinanza europea, ma anche per la definizione delle connotazioni istituzionali e, per così dire, “di regime” dell’ordinamento sovranazionale. Se si guarda alla dimensione soggettiva dell’integrazione, non si può non osservare come l’attuale sviluppo della “cittadinanza europea” non riflette una condizione di uguale fruizione non solo dei diritti fondamentali di prima generazione (non sono, infatti, infrequenti i casi in cui le istituzioni di governo europeo si allertano nei confronti di acclarate violazioni, a livello nazionale, dei principi dello Stato di diritto), ma neppure di quelli fondati sul principio di uguaglianza sostanziale, i quali non presentano parità di standard territoriali soprattutto nell’accesso a servizi di carattere sociale e solidaristico, che rimangono diversamente calibrati all’interno dei singoli Stati membri. Certo è che difetta nell’attuale stadio dell’integrazione l’accreditamento di una connotazione territoriale europea di segno sostanziale, intesa non solo come la metaforica “somma” dei territori materiali degli Stati, ma come spazio effettivo di condivisione di “diritti comuni”. Il territorio dell’Unione non offre ancora uno “spazio” caratterizzato da omogeneità nell’attuazione dei valori costituzionali di riferimento. Se, da un lato, il diritto della concorrenza reputa prevalente la soddisfazione delle libertà economiche in regime di libero mercato, dall’altro vi è da chiedersi se non si avverta il bisogno di un “diritto pubblico dell’economia” (questione che ha costituito, per altro, argomento di vivace dibattito in occasione del Convegno italo-francese, tenutosi presso il Dipartimento di Giurisprudenza di Catania) e, quindi, di uno spazio che accolga principi e regole volti alla tutela e alla garanzia dei diritti sociali secondo logiche di giustizia sostanziale e solidaristiche, proprie dello Stato sociale e sulle quali puntare per immettere nuova linfa al processo costituente dell’Unione.

Glielo chiesi tempo fa. Qual è il miglior sistema legislativo?

È una domanda suggestiva; purtroppo, ad essa non può darsi una risposta risolutiva. I sistemi giuridici sono fortemente radicati nella cultura e nei costumi di ogni popolo. È migliore il sistema che si fonda sull’autorità della legge votata dai Parlamenti, in base al principio maggioritario, o quello che, invece, è retto dalla legge divina? Le esperienze, al riguardo, sono molteplici e assai diverse fra loro. Per quel che concerne, più da vicino, il mondo occidentale, i principi che reggono la convivenza civile devono la loro esistenza a una matrice comune: il costituzionalismo, che, a sua volta, si esprime e si è sviluppato sull’idea forte che qualsiasi potere esercitato dagli uomini su altri uomini deve essere “limitato” e non “assoluto”. I principi del costituzionalismo sono ormai fortemente radicati negli ordinamenti giuridici occidentali: separazione dei poteri, garanzia delle libertà individuali, principio rappresentativo, sovranità della Costituzione. È utopico immaginare che un popolo possa effettivamente reggersi deliberando direttamente. La tentazione di affidare qualsiasi decisione pubblica al web, alla c.d. democrazia della rete, è, per un verso, assolutamente utopica se la si immagine priva dei partiti politici e, per altro verso, è anche deleteria per una ragione assai semplice: nessuna voce dissenziente avrebbe più alcun peso, le minoranze sarebbero, letteralmente, fagocitate dalle maggioranze risultanti dal “voto elettronico”, il dibattito pubblico sarebbe finito, prevarrebbe la dittatura di una “maggioranza elettronica”, in definitiva, autoreferenziale e irresponsabile.

Giustizia e giustizialismo. Differenze e Le chiedo un’opinione.

La “giustizia” è un valore. Il “giustizialismo” è la convinzione di chi ritiene che sia necessario “ottenere giustizia” magari anche a costo di fare a meno di tutte le necessarie garanzie, purché la punizione giunga rapida, sia esemplare e severa. La Costituzione parla chiaro: l’art. 24, secondo comma, esige che “La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”; “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva” (art. 27, comma 2); “La giustizia è amministrata in nome del popolo” (art. 101, comma 1); “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge” (art. 111, comma 1), ecc. Io propendo per la Giustizia: è equo giudicare un comportamento altrui con un voto popolare, senza consentire all’incolpato di proferire parola a sua difesa? È equo pronunciare “sentenze definitive” attraverso i mezzi di stampa, sbattendo in prima pagina soltanto chi è reputato colpevole, senza alcun accertamento giudiziario? È prevalente la libertà di manifestazione del pensiero, pur costituzionalmente garantita all’art. 21 della Costituzione, sul diritto all’onore e alla reputazione personale, prima che sia applicata la legge da parte del Giudice? Il giornalista o il politico può sostituirsi al Giudice nell’assolvere o nel condannare? Non credo che su queste evidenze si possa essere in disaccordo, a meno di considerare superato ogni significato dello Stato di diritto.

Cosa pensa delle tante persone che arrivano da altre parti del mondo, da guerre e povertà, che hanno messo in crisi il sistema accoglienza?

Sono molto impressionato e rattristato, al tempo stesso, da questo fenomeno. A differenza del rifugiato o del richiedente asilo, che nel paese d’origine è perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche, il migrante economico lascia il proprio paese perché aspira a condizioni di vita migliori. Non voglio immaginare che dietro agli sbarchi sulle coste siciliane vi siano interessi poco trasparenti: non ho evidenze per dirlo. Resta il fatto. A questo, qualsiasi ordinamento civile – fondato sul principio di solidarietà – deve dare una risposta chiara. Ritengo che la Sicilia sia “territorio d’Europa” e che, pertanto, la risposta deve provenire anche dall’Europa. E questo è un campo – ove non venga in gioco una richiesta d’asilo che la nostra Costituzione considera un diritto immediatamente efficace e vincolante per l’ordinamento interno, a mente dell’art. 10, comma terzo – in cui (e non entro minimamente in alcuna valutazione politica) l’Unione europea può sperimentare la sua propensione o attitudine a voler diventare davvero molto di più che una unione prettamente economica.

Creare una nuova coscienza civile nei confronti del bene pubblico. Da dove cominciamo?

È un segnale incoraggiante constatare che, negli ultimi tempi, la scuola è il luogo in cui si parla sempre più frequentemente del significato e dei contenuti della Costituzione. Ma – come già ammonì acutamente Calamandrei – finché ci saranno ostacoli alla dignità dell’uomo, la Carta sarà incompiuta e, allora, auspico un ritorno alla politica con la “P” maiuscola.

Lei è anche un Avvocato. Ai tanti studenti che ci leggono e che un giorno diventeranno Avvocati, cosa vuole comunicare?

Guardi, io credo che il futuro dell’Avvocatura stia nella qualificazione culturale del professionista. Alla base di tale professione vi deve essere comunque una solida formazione teorica che consiste, innanzitutto, nella appropriata conoscenza degli istituti giuridici: il buon avvocato è quello che si affida all’argomentazione giuridica, che sa usare i criteri legali dell’interpretazione, che scrive in lingua italiana corretta e che non improvvisa disquisizioni unicamente fondate sulla retorica o peggio sull’aggressività verbale. La formazione prima di tutto, anche mediante una Scuola Forense che avvii alle questioni pratiche, ma senz’altro nell’ottica di ciò che si richiede a un giurista europeo, guardando anche fuori dai confini nazionali.

 


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