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L’allargamento della Nato: prospettive sull’ingresso di Svezia e Finlandia

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fonte@ ispionline.it/

 

La Nato ha attraversato negli ultimi trent’anni un profondo processo di trasformazione attraverso il quale ha aggiornato i suoi strumenti militari e la sua postura strategica. L’allargamento dell’alleanza e la fitta rete di partnership strategiche con paesi non membri è una delle dimensioni più rilevanti di questo processo di trasformazione successivo alla fine della guerra fredda. Il passaggio da 16 membri al momento del crollo del muro di Berlino agli attuali 30 è il segnale di un grande investimento nei processi di apertura e inclusione che hanno notevolmente ampliato l’orizzonte strategico della Nato.

L’aspetto più sorprendente delle politiche di allargamento così come sono emerse dalla metà degli anni Novanta è la straordinaria continuità con cui i vertici dell’alleanza – a partire dagli Stati Uniti – hanno attribuito un valore cruciale all’allargamento e lo hanno motivato per le stesse ragioni politiche e strategiche (la messa in sicurezza dei processi di democratizzazione dei paesi dell’ex blocco sovietico e dei paesi indipendenti dell’ex-Unione Sovietica; il consolidamento della sicurezza Europea e dell’ordine internazionale liberale). Dunque, nonostante le profonde crisi e le svolte nella politica internazionale degli ultimi tre decenni la politica dell’allargamento della Nato è rimasta sostanzialmente simile.

L’attuale crisi, esplosa con la guerra in Ucraina, ha ulteriormente confermato la persistenza dell’approccio all’allargamento abbracciato negli anni Novanta. La richiesta di adesione di Finlandia e Svezia, messa in agenda come conseguenza dell’aggressione russa dell’Ucraina, reagisce a una crisi contingente ma i principali indirizzi rimangono quelli di sempre: inclusione, allargamento del perimetro di sicurezza degli alleati e dei partner, offerta di garanzie di sicurezza credibili agli aspiranti membri.

Il 18 Maggio 2022 la Finlandia e la Svezia hanno congiuntamente consegnato la lettera di richiesta ufficiale di ingresso nell’Alleanza atlantica. I rispettivi ambasciatori alla Nato, Klaus Korhonen per la Finlandia e Axel Wernhoff per la Svezia, le hanno personalmente consegnate nelle mani del segretario Generale dell’alleanza Jens Stoltenberg nella sede del quartier generale di Bruxelles. La richiesta ufficiale ha immediatamente ricevuto l’apprezzamento più ampio, oltre che del segretario generale, di quasi tutti gli alleati (con l’eccezione della Turchia).

La prospettiva dell’ingresso dei due paesi, che insieme alla Norvegia (già paese membro) porterebbe tutta la penisola della Scandinavia dentro la Nato, ha rimesso in moto il processo di allargamento. Questo cambiamento è stato in larga misura inaspettato perché i due paesi fino a pochi mesi fa non erano considerati due potenziali alleati, il loro ingresso non era una priorità nelle agende politiche nazionali e più in generale negli ultimi anni – con le ammissioni di Georgia e Ucraina in stand-by e l’ingresso meno problematico ma più periferico della Bosnia Erzegovina – pochi si aspettavano un allargamento così significativo sotto il profilo geopolitico. Questa accelerazione è stata innescata naturalmente dall’aggressione della Russia contro l’Ucraina e dalla percezione dei due paesi scandinavi che la guerra attuale sia il segnale di una politica più assertiva da parte di Putin, se non addirittura di un più ampio progetto espansionistico della Federazione Russa.

Prima di concentrarsi sui due casi specifici, sulle similarità e sulle differenze fra i due paesi nei confronti della Nato, vale la pena di notare gli aspetti che distinguono la loro ammissione rispetto ai round di allargamento avvenuti fra il 1999 e il 2020:

  • A differenza dei paesi dell’Europa dell’est entrati di recente nella Nato, Finlandia e Svezia sono due paesi stabili dal punto di vista politico-istituzionale, le loro credenziali democratiche sono solidissime, non hanno attraversato processi di transizione politica problematici nella loro storia recente e non sono scossi da conflitti interni. Il loro ingresso dunque non riguarda la messa in sicurezza degli assetti politici interni con un forte ancoraggio internazionale all’Alleanza atlantica, è piuttosto il frutto di una scelta strategica autonoma e di una scelta di campo deliberata.
  • Finlandia e Svezia non sono paesi che appartenevano all’ex blocco sovietico e al Patto di Varsavia. Al contrario, già dai tempi della guerra fredda – al di là delle loro politiche di non-allineamento – entrambi hanno gravitato nell’orbita geopolitica occidentale e sono paesi membri dell’Unione europea. Dunque, il loro ingresso non è il frutto di un ribaltamento degli allineamenti internazionali. Per la Nato non si tratta infatti di una ammissione di paesi ex-nemici ma del consolidamento di una lunga storia di rapporti di vicinanza politica e cooperazione.
  • L’ingresso nella Nato di Finlandia e Svezia, rispetto agli allargamenti recenti, rappresenta una direzione di espansione differente dal punto di vista geopolitico. Non si tratta di una espansione verso est ma verso nord. L’inclusione dei due paesi ha il significato di far rientrare nella Nato il cosiddetto High North (l’Alto Nord) che – rispetto all’Europa dell’est – risulta più periferico ma ha una importanza cruciale, soprattutto in prospettiva, per la regione dell’Artico. Una regione che, in conseguenza dei cambiamenti climatici e la crescente navigabilità, si è rivelata un’arena di nuove competizioni internazionali.
  • Infine, Finlandia e Svezia, a differenza dei paesi entrati nella Nato negli ultimi venticinque anni, si distinguono per un settore della sicurezza e un livello delle forze armate efficienti, ben organizzate e tecnologicamente avanzate. L’ingresso dei due paesi pertanto può contare su una capacità di integrazione nei sistemi militari dell’Alleanza e un grado di interoperabilità con le forze Nato molto elevati.

I nuovi ingressi messi in agenda a maggio rappresentano dunque un tipo di allargamento di natura diversa rispetto al passato recente. La richiesta dei due paesi di entrare nell’Alleanza congiuntamente risponde – oltre che a ragioni politiche di reciproco rafforzamento e di allargamento del consenso nelle opinioni pubbliche nazionali – anche alla volontà di sottolineare le differenze e la qualità del tipo di allargamento che si profila per la Nato. Sulla base di queste premesse si ritiene infatti che il processo di ammissione per i due paesi scandinavi si possa concludere più velocemente che in passato (l’ultimo ingresso della Macedonia ha richiesto circa due anni ma per Finlandia e Svezia si prevedono tempi più brevi).

Finlandia e Svezia, nella loro decisione di entrare nell’Alleanza atlantica, presentano alcune significative somiglianze e alcune differenze. I due paesi sono simili sotto diversi punti di vista (posizionamento geopolitico, cultura politica, vicinanza all’Occidente, grado di sviluppo socio-economico) ma gli aspetti che li accomunano di più in vista del loro ingresso nella Nato sono in particolare due: la loro storia di neutralità e la loro cooperazione con l’Alleanza nel periodo successivo alla fine della guerra fredda.

Entrambi i paesi, con la loro formale richiesta di ingresso nella Nato, hanno posto fine a una lunga tradizione di non-allineamento dal secondo dopo guerra in poi (nel caso della Svezia la politica della neutralità dura da oltre duecento anni ed è divenuta infatti parte costitutiva della sua stessa identità nazionale). Il non-allineamento durante la guerra fredda e nel periodo post-bipolare è stato il frutto di un approccio strategico teso a mantenere un rapporto cooperativo e una formale equidistanza fra blocco occidentale e blocco comunista prima e fra Occidente e Russia poi. Seppur con sensibilità diverse, Finlandia e Svezia hanno inteso il non-allineamento come precondizione per mantenere rapporti amichevoli ed evitare dispute con la Federazione Russa. A questa scelta politica strategica si è accompagnato un vasto consenso popolare a favore della neutralità e al non ingresso nell’Alleanza atlantica. Fino a pochi anni fa, secondo diverse indagini demoscopiche, la maggioranza dei finlandesi e degli svedesi erano contrari all’ingresso del loro paese nella Nato – gli orientamenti dell’opinione pubblica sono parzialmente cambiati con la guerra in Georgia del 2008, con la crisi in Ucraina e l’annessione russa della Crimea nel 2014 e ancor di più con l’attuale guerra in Ucraina. Sotto questo profilo, per la politica estera e di sicurezza dei due paesi la prospettiva di ingresso nella Nato rappresenta una radicale discontinuità, una rivoluzione copernicana rispetto al ruolo e al grado di coinvolgimento negli affari internazionali che diventare paesi Nato comporta.

Il secondo aspetto che accomuna Finlandia e Svezia e che rafforza l’idea che sia un ingresso congiunto e non occasionalmente coincidente riguarda la cooperazione militare pregressa con la Nato. A partire dagli anni Novanta entrambi i paesi hanno avviato un processo di ammodernamento e trasformazione delle loro politiche di sicurezza e delle strutture di difesa che hanno reso la cooperazione militare con gli Stati Uniti (sul piano bilaterale) e con la Nato (sul piano multilaterale) sempre più facile. A dispetto della politica ufficiale di non-allineamento militare, la collaborazione con la Nato è andata progressivamente crescendo dalla fine della guerra fredda in poi. Finlandia e Svezia sono stati membri della Partnership for Peace della Nato fin dal suo lancio nel 1994. Entrambi hanno partecipato alle missioni di peace keeping della Nato nei Balcani e in Afghanistan: ad esempio la Finlandia in Kosovo ha assunto il ruolo di framework nation nella missione KFOR, il ruolo più alto per un paese non membro; similmente la Svezia è stato l’unico paese europeo non membro della Nato a guidare un PRT (Provincial Reconstruction Team) nella missione ISAF in Afghanistan. Inoltre, fra le varie iniziative di cooperazione individuali, Finlandia e Svezia hanno preso parte al Planning and Review Process (PARP), un programma attraverso cui la Nato individua degli standard di capacità militari e li condivide con i partner non membri che vi partecipano. Il PARP ha rappresentato un foro entro cui la Nato e i due paesi hanno condiviso modelli di pianificazione comune, sviluppo di strutture militari simili, percorsi di socializzazione e familiarizzazione fra ufficiali ed establishment del comparto difesa della Nato e dei partner, standard operativi condivisi.

Questi due elementi in comune a Finlandia e Svezia – percorso di trasformazione del settore difesa simile e storia di non-allineamento – hanno concorso a rafforzare la prospettiva di un ingresso congiunto nella Nato. Questa unità di intenti, più specificamente la prospettiva di entrare nell’Alleanza necessariamente insieme, è stata a sua volta consolidata, da un lato, dall’idea che entrando in blocco il passaggio sarebbe stato più accettabile e meno traumatico per entrambi i paesi ma, dall’altro, anche dalla consapevolezza che la Finlandia non avrebbe accettato il solo ingresso della Svezia (che l’avrebbe ridotta al ruolo problematico di unico stato cuscinetto fra Nato e Federazione Russa) e l’ingresso della sola Finlandia avrebbe creato una discontinuità territoriale fra i membri della Nato che avrebbe creato un anomalo isolamento della Svezia (oltre che difficoltà alle linee di contatto e approvvigionamento fra paesi membri). Per queste ragioni Finlandia e Svezia, benché non allineati e non paesi membri della Nato, sono stati definiti ‘alleati virtuali’.

Al di là di questi elementi comuni, Finlandia e Svezia presentano alcune differenze che tuttavia non sembrano avere un impatto significativo sulla decisione di ingresso congiunto nella Nato. In primo luogo, venendo da una lunga tradizione di non allineamento, entrambi temono le reazioni della Russia alla loro decisione di entrare nella Nato, nondimeno i timori della Finlandia sono superiori rispetto a quelli della Svezia. La prima condivide con la Russia una frontiera di oltre 1.300 Km, ha un’esposizione commerciale (come partner di primo piano negli scambi con la Russia oltre a dipendere dalle forniture di gas russo), vari decenni di non-allineamento non hanno cancellato il ricordo dell’invasione sovietica del 1939-40, infine la Finlandia è più esposta alla competizione sull’Artico e alle contromisure che Mosca potrà prendere in reazione all’ingresso nella Nato rispetto a quanto lo sia la Svezia. Quest’ultima non confina territorialmente con la Russia, ha una esposizione economico-commerciale inferiore, una storia di pace e neutralità straordinariamente più lunga (nella percezione collettiva un’aggressione russa è avvertita come largamente più improbabile rispetto a ciò che avviene per i finlandesi) e anche sul piano geopolitico è meno esposta (il più grande timore della Svezia in caso di scontro con la Russia è l’ipotesi di un attacco all’isola di Gotland dall’enclave di Kaliningrad che darebbe alla Russia un vantaggio nel controllo del Mar Baltico).

In secondo luogo, la preparazione e lo strumento militare finlandesi sono superiori a quelli della Svezia. In ragione di quanto sottolineato appena sopra, la Finlandia non ha mai abbandonato la leva obbligatoria, ha continuato a investire molto e in modo efficiente sulle sue capacità di difesa (può contare su una forza militare attivabile in tempo di guerra che può raggiungere le 280.000 unità). Inoltre, la Finlandia negli ultimi due decenni ha efficacemente ammodernato le proprie forze armate, fa affidamento su capacità militari di primo livello dal punto di vista tecnologico e ha investito molto negli ultimi anni in nuove dotazioni militari (a Dicembre 2021 ha acquistato 64 caccia F 35 Lightining II dagli USA). Questo distingue l’ingresso nella Nato della Finlandia da tutti gli altri: lo strumento militare che porta nell’Alleanza è un contributo notevole. Infatti, l’adesione finlandese è percepita dalla Nato come particolarmente attrattiva perché il paese è senz’altro classificato come un security provider piuttosto che come security consumer (quindi un ‘produttore’ piuttosto che un ‘consumatore’ di sicurezza).

La Svezia, ancorché abbia riformato e ammodernato il proprio settore difesa, presenta un potenziale militare, in termini comparativi con la Finlandia, inferiore. Coerentemente con una più lunga tradizione di neutralità e una cultura antibellicista, oltre che con una percezione più attenuata delle minacce alla sicurezza nazionale poste dalla Russia, la Svezia non ha investito nelle forze armate quanto ha fatto la Finlandia. Può contare su una forza attiva di circa 60.000 unità – che prevede secondo le dichiarazioni del governo delle ultime settimane di portare a 90.000 entro il 2025. Fermo restando il grosso investimento nella trasformazione del suo strumento militare e il livello di interoperabilità con le missioni Nato, a cui si è accennato più sopra, la Svezia offre alla Nato un contributo significativo ma non paragonabile a quello finlandese.

Infine, a distinguere i due paesi è una volontà politica parzialmente diversa. L’ingresso nella Nato in Svezia è stato osteggiato a lungo sia a livello politico sia a livello di opinione pubblica, non a caso la sua richiesta di ingresso e i tempi brevissimi in cui è maturata ha sorpreso molti alleati della Nato. Nel paese l’ingresso nella Nato non ha mai goduto di un consenso popolare maggioritario e anche i principali partiti politici (eccetto il Partito Liberale, comunque di piccole dimensioni) ha mai sostenuto l’adesione alla Nato come priorità nel breve periodo. Anche quando la Svezia ha partecipato alle missioni Nato lo ha fatto sottolineando il mandato dell’Onu (in Afghanistan e nei Balcani), motivando il suo impegno militare più come contributo all’intervento collettivo della comunità internazionale piuttosto che come partecipazione alla missione Nato. Più in generale, in Svezia è spesso prevalso un orientamento contrario a politiche che mettessero a repentaglio la neutralità e comportassero il coinvolgimento del paese in conflitti provocati da altri e in cui la sicurezza nazionale non fosse in gioco – la Nato e l’Alleanza con gli Stati Uniti sono state prevalentemente interpretate in questa luce.

Nel caso della Finlandia invece la vicinanza alla Nato è stata più solida, il dibattito interno ha riguardato l’opportunità o meno di entrare formalmente nell’alleanza (mettendo a repentaglio il non-allineamento) ma la necessità per il paese di stabilire una cooperazione militare intensa con la Nato non è mai stata messa in discussione. In un sondaggio di febbraio 2022, per la prima volta la maggioranza dei finlandesi ha espresso parere favorevole all’ingresso nella Nato (53% contro il 28% dei contrari). In termini comparativi, la motivazione finlandese è decisamente più marcata. Inoltre, la Finlandia – a differenza della Svezia – ha sempre investito molto sulla propria difesa autonoma, dunque la Nato rappresenta un rafforzamento di quest’ultima piuttosto che un rischio di intrappolamento nelle politiche dell’Alleanza. Il presidente Sauli Niinistö, non sorprendentemente, ha rigettato fermamente l’idea di una “finlandizzazione”[3] dell’Ucraina, sottolineando con forza che le politiche di non-allineamento del paese non hanno mai significato né l’abdicazione al ruolo internazionale autonomo del proprio paese né la negazione della sua piena sovranità e nemmeno il disinvestimento nella difesa nazionale.