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La storia dell’aborto

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Florynce Kennedy fonte @ cultura.tiscali.it/
L’aborto è sempre esistito, nessun divieto può infatti fermare la volontà di una donna di non continuare una gravidanza. Obbligare una donna attraverso la coercizione riproduttiva, ossia quell’insieme dei comportamenti che interferiscono con l’autonomia decisionale di una persona di sesso femminile a proposito della sua salute riproduttiva, non è possibile al punto che essa intraprenderà pratiche non sicure e pericolose per la sua salute fisica pur di raggiungere il risultato che si era prefissata. Se non lo farà per paura o perché le sarà impedito anche una interruzione clandestina, le conseguenze psichiche saranno devastanti quanto l’aver subito uno stupro. In quanto come lo stupro la persona subisce un abuso fisico. Una vita che cresce dentro un corpo deve essere voluta, non può essere imposta senza conseguenze.
Abbiamo prove che le interruzioni di gravidanza venivano praticate già molto prima della nascita di Cristo. In quei secoli in cui ovviamente la medicina si basava solo sulla osservazione ed esperienza empirica relativa all’efficacia di alcune erbe medicinali, attraverso utensili appuntiti e con la banale pratica della pressione addominale. Non sempre però questi metodi naif funzionavano.
Una di queste prove ci arriva attraverso una testimonianza artistica, la più antica in assoluto di un aborto volontario. Risale a dodici secoli prima di Cristo. Si tratta di un bassorilievo in Cambogia. La prima invece testimonianza scritta è riconducibile all’Antico Egitto, 1550 a.C.. Parliamo del famoso Papiro Ebers, conservato oggi nelle sale della biblioteca dell’Università di Lipsia. All’aborto è dedicato un intero capitolo. Forse la prima enciclopedia medica dove possiamo leggere come all’epoca si tentava di curare un tumore. Sorprendente la parte sulla ginecologia e i metodi contraccettivi.
Le civiltà greche e romane risultano sempre molto emancipate e infatti consideravano l’aborto normale. Ma ecco che scorgiamo già qui le basi della socetà patriarcale, a un patto. Serviva l’autorizzazione del marito.
Anche in questo caso venivano praticati con metodi molto semplici, composti di erbe e i soliti massacranti massaggi addominali fino alla morte del feto.
Nell’alto medioevo il tema dell’aborto inizia a fare passi indietro, ma nessuna norma ne sanciva l’illegalità. Riappare ufficialmente nel Rinascimento, sul finire del Cinquecento, quando la Chiesa prese per la prima volta una posizione.
L’inferno per le donne inizia con Papa Sisto V che definì l’aborto una pratica omicida.
Per la prima volta nella storia fu proibito (a tutti i cristiani). Da quel momento, per cinque secoli fino a oggi la religione cattolica farà una guerra spietata all’autonomia riproduttiva delle donne.
Sarà dunque il cristianesimo che per primo equiparerà l’aborto all’omicidio, ma ci vorranno secoli per codificare il momento in cui avviene l’animazione del feto.
Ma i veri passi indietro arrivano in epoca più recente. Papa Sisto V risultò infatti più moderno e razionale dei suoi successori, infatti considerava la pratica un peccato (che andava punito con una penitenza), ma badate bene, diventava un assassinio solo nel caso in cui il feto fosse “animato”.
Questa distinzione viene cancellata nel 1869 con Papa Pio IX. Per lui l’anima esiste sin dal momento del concepimento.
E la tradizione islamica? Ha sempre permesso l’aborto fino un certo momento della gestazione, ossia fino al momento in cui si reputa che l’anima entri nel feto. Per alcuni teologi musulmani si tratta di 40 giorni dal concepimento per altri 120. Ma nella pratica l’aborto è in gran parte limitato o più spesso vietato negli Stati islamici.
Torniamo a noi, tra Sei e Settecento il feto diventa affare di Stato. Possiamo affermare che dopo il 1789, in pieno illuminismo entra nella sfera pubblica. Cosa significa questo? Che lo Stato privilegia la vita del futuro cittadino, lavoratore e soldato, rispetto a quella della madre. La legge da quel momento in poi in molti Paesi europei e negli Stati Uniti punirà severamente la donna.
Sarà il movimento femminista a cambiare nuovamente le cose.
Nel Novecento le donne acquistano più consapevolezza e autonomia e dunque si assiste finalmente alla nascita di un serio dibattito sul tema. Arrivano le prime legalizzazioni.
L’Unione Sovietica (primissima a regolamentarlo subito dopo la Rivoluzione d’ottobre) rende possibile l’interruzione volontaria di gravidanza nel 1920. Ma con Stalin, tra il 1936 e il 1955 l’aborto torna nuovamente illegale, eccetto che per i casi indicati medicalmente. Il motivo era la paura di avere un calo delle nascite e dunque un calo delle popolazione.
Seguiranno Islanda e Svezia e dopo la Seconda guerra mondiale: in Ungheria, Polonia, Bulgaria, Cecoslovacchia, Inghilterra e Iugoslavia.
E la Germania nazista? Nel 1935 viene approvata una legge che permetteva aborti per le donne ritenute “ereditariamente malate”. La politica di controllo delle nascite si basava sulla dottrina eugenetica. Alle donne di ‘razza’ tedesca era vietato. Come vedete in entrambi i regimi è lo Stato che decide quando si può e quando no sotto un’ottica di controllo della popolazione. Va quindi ricordato che anche quando è concesso non si tratta di un diritto individuale.
Dobbiamo aspettare gli anni ’60 per vedere questa pratica trasformarsi in un diritto della persona. Il Regno Unito emanò nel 1967 l’Abortion Act che rendeva legale gratuito e praticabile all’interno del servizio sanitario nazionale l’aborto, quando c’era il il rischio di danno fisico o mentale per la gestante, in caso di feto al di sotto delle 28 settimane, o nel caso in cui il nascituro avesse probabilità di aver contratto patologie fisiche o mentali.
Come scritto sopra l’aborto viene legalizzato in Ungheria, Polonia, Bulgaria e Romania nel 1956, in Cecoslovacchia nel 1957, in Yugoslavia nel 1970. La Polonia oggi invece vede un sostanziale divieto che sta mobilitando da mesi le donne in piazza e che non ha permesso a molte donne ucraine violentate in guerra e rifugiate nel Paese europeo di accedere all’interruzione di gravidanza. Questo fa capire molto bene come questo diritto non vada mai dato per scontato e a step temporanei ci venga dato e tolto. Perché il corpo della donna risulta ancora un corpo politico.
E in Cina? L’autorizzazione ad aborto e contraccezione arriva nel 1957. Anche in questo caso si tratta di una scelta politica. Troppa popolazione era dunque necessario controllare le nascite. Ma questo ha comportato un forte squilibrio nella composizione della popolazione. In Cina oggi ci sono 50 milioni di uomini in più rispetto alle donne.
In Italia finalmente nel 1978 arrivava la legge 194, ovvero la legge sull’aborto. La famosa legge 194, che da allora consente alla donna di poter ricorrere alla interruzione volontaria di gravidanza in una struttura pubblica convenzionata con la Regione di appartenenza. Non fu certo una conquista indolore e facile. Anni di lotte e un referendum nel 1975. Ma soprattutto il compromesso dell’obiezione di coscienza che ancora oggi di fatto in molte regioni limita l’accesso alla pratica. Ricordiamo che solo “ieri”, prima del 1978, l’aborto nel nostro Paese era considerato reato dal codice penale italiano, che lo puniva con la reclusione da due a cinque anni, comminati sia all’esecutore dell’aborto che alla donna stessa.
Negli Stati Uniti la prima legge che tratta l’interruzione di gravidanza è del 1967 ed è del Colorado. Depenalizza l’aborto in caso di: stupro, incesto, o possibile disabilità della donna. Seguiranno: California, Oregon e Carolina del Nord. Nel 1970 le Hawaii divennero il primo stato americano a legalizzare l’aborto su richiesta della donna.
Ma la svolta arriva a livello federale nel 1973, in seguito al processo “Roe contro Wade”.
Prima di questa famosa sentenza l’aborto era disciplinato da ciascuno stato dell’unione, con legge propria.
Prima del 1973 in 30 Stati era una reato sempre, in 13 era legale nei seguenti casi: pericolo per la donna, stupro, incesto o malformazioni fetali. In 3 stati era legale in caso di stupro o di pericolo per la donna. Solo in quattro Stati unico requisito legale era la richiesta della donna.
Norma Mc Corvey, alias Jane Roe (nome scelto a fini processuali per tutelarne la privacy), aveva vissuto un’adolescenza difficile, e si era sposata a 16 anni con un uomo violento, dal quale aveva avuto due figlie. Mentre è incinta del terzo figlio, viene contattata da alcune avvocatesse, che la convincono a portare il caso in tribunale, per affermare il suo diritto ad abortire.
La sentenza Roe contro Wade ha influenzato la politica nazionale statunitense, dividendo gran parte del paese tra pro-Roe (per la libertà di abortire) e pro-Wade (per il diritto alla vita) e ispirando gruppi di attivisti su entrambi i fronti e ha condizionato le leggi di 46 Stati.
Il 25 giugno del 2022 la Corte Suprema, composta da giudici repubblicani, stralcia questa sentenza cancellando di fatto il diritto all’aborto per milioni e milioni di donne americane.
Ora vi è più chiaro capire che nessun diritto soprattutto un diritto che interesse noi donne può essere mai dato per acquisito e scontato?