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La senatrice dem che vuole battere Trump per salvare il capitalismo Usa

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Senatrice del New England più liberal, proveniente dalla classe operaia dell’Oklahoma (quella che due anni fa ha votato per Donald Trump, ma prima è stata per decenni terreno di coltura di sindacati e democrats), professoressa ad Harvard, Elizabeth Warren è così tendente a sinistra che lo stesso Trump non la considera un competitor pericoloso per le presidenziali del 2020. Infatti si limita a dileggiarla chiamandola Pocahontas per via del sangue nativo americano che, in piccola quantità, le scorre nelle vene. Eppure lei si prepara alla sorpresa, perché da sinistra ha intenzione di scalare il centro dell’elettorato e con esso la Casa Bianca. Come fece, nell’ormai lontano 1992, un certo Bill Clinton: anche lui partito con il crisma del sessantottino, e del donnaiolo, ma capace di prendere tutti controbalzo.

Bill Clinton – lo scrivono gli storici – da sinistra si spostò a destra, soprattutto dopo la bocciatura della sua riforma del sistema sanitario. Elizabeth Warren ha semmai compiuto il percorso all’inverso, se è vero come è vero che negli anni ’90, per un breve periodo, fu addirittura iscritta al Grand Old Party. Ne fuggì all’epoca di Newt Gingrich, ma il dato resta e non viene smentito dalla diretta interessata. La quale oggi si definisce “capitalista fino al midollo” e promette di salvare il capitalismo sfrenato da se stesso e dai suoi figlioli degeneri.

Del resto non il solo Clinton fece la giravolta da un partito all’altro: Ronald Reagan partì da sindacalista e democratico, finì repubblicano ed amico della Thatcher. Ma, soprattutto, finì alla Casa Bianca. E questo cancella tutto il resto.

Le gioie della “predistribuzione”

Una cosa è certa: la Warren si presenta alla corsa partendo dalla corsia più a sinistra. La maniera migliore per essere accusata dai repubblicani (e da qualche rivale del suo stesso partito), di essere la classica “tax-and-spend democrat”. Vale a dire una buona solo ad alzare le tasse per aumentare la spesa pubblica. E qui arriva la prima “nuova idea” dell’aspirante candidata. Il problema, sostiene, è andare oltre il concetto di redistribuzione della ricchezza tanto classico ai socialdemocratici europei e alla sinistra americana. Qui si tratta di “predistribuire”, agire cioè preventivamente, non sul prelievo fiscale, ma sulle regole che stanno a monte. Allo scopo di dare un sostegno al ceto medio impoverito ed alle famiglie in potenziale – o effettiva – difficoltà.

La “Trappola del doppio stipendio”

L’idea è stata maturata dalla sua autrice nel corso dei suoi studi ad Harvard. La Warren si pose, all’epoca, il problema del tasso – altissimo – di fallimenti tra le famiglie del ceto medio in cui entravano, ogni mese, due stipendi invece di uno. Sulla carta una situazione invidiabile. Concluse che quelle famiglie finivano vittime di un eccesso di fiducia nelle proprie possibilità finanziarie e, al tempo stesso, di un sistema di erogazione del prestito fatto apposta per spennarle.

In altre parole: tendevano a prendere a prestito troppo, per assicurare un futuro migliore ai figli, e alla fine restavano spogliate anche della casa. Quella stessa casa che avevano comprato nei quartieri alti con un mutuo apparentemente vantaggioso, per poter mandare i figli nelle scuole dei quartieri alti ed aumentare le loro chances di finire a Georgetown, o a Yale.

“Nessuno permetterebbe la messa in commercio di un tostapane che ha due possibilità su dieci di prendere fuoco e ridurti la casa in cenere”, scriveva all’epoca Warren nel suo “The Two-Income Trap”. Eppure le ipoteche erogate dalle banche, libere di agire senza regolamentazioni, avevano proprio quella percentuale di possibilità di ridurre in cenere una famiglia.

Si noti: il libro è del 2003: cinque anni prima della crisi dei mutui subprime. Da allora la senatrice ha proposto una lunga serie di interventi per regolare il mercato finanziario, tagliare le unghie alle corporation, limitare le pressioni delle lobby.

La patrimoniale (proprio quella)

Altra testata d’angolo del pensiero economico di Elizabeth Warren è l‘imposizione di una patrimoniale. Un progetto che nemmeno nella vecchia Europa statalista e decadente (agli occhi dell’americano medio) nessuno ha il coraggio di accarezzare. Ad esserne toccati sarebbero i ricchi le cui fortune superano i 50 milioni di dollari. L’introito previsto nell’arco di 10 anni sarebbe di 2,75 triliardi di dollari (a scriverlo per esteso ci vorrebbe un’intera riga).

La cifra è stata messa a punto da un gruppo di consiglieri economici che Warren ha in comune con Thomas Piketty, economista francese che fece scalpore con le sue tesi ben poco amate dai mercati finanziari. Divenuto presidente francese, Francois Hollande sette anni fa cercò di applicare il concetto alla realtà, ma dovette tornare su suoi passi.

La compartecipazione degli operai alla gestione della fabbrica

Il modello a cui si rifà Warren in tema di relazioni industriali è invece quello tedesco. In Germania la pace sociale è assicurata attraverso, tra l’altro, la possibilità che hanno i lavoratori di eleggere i propri rappresentanti direttamente nel consiglio di amministrazione dell’azienda. In America sarebbe una rivoluzione copernicana.

Mantenere l’Obamacare. Anzi, allargarlo a tutti per tutto

Se Trump tenta, con scarsi risultati, di cancellare la riforma sanitaria fatta approvare da Barack Obama, Elizabeth Warren preme per sostenere l’Obamacare a partire dalla regolamentazione del mercato delle assicurazioni. Oltre a questo intende varare una serie di provvedimenti per togliere la ruggine all’imbalsamato mercato dei medicinali, gravato da troppe posizioni di privilegio. Ed intanto è coautrice di un disegno di legge per l’estensione a tutti, ma proprio tutti, gli americani delle garanzie dell’Obamacare. Detto per inciso: l’altro firmatario si chiama Bernie Sanders.

La prima casa, ancora lei

Se il sogno del ceto medio americano è una casa con il giardino e il cane, Elizabeth Warren vuole realizzarlo per tutti. Questa volta l’obiettivo non sono solo i falchi deli mercati finanziari, ma anche le stesse amministrazioni delle città americane. La senatrice intende fare in modo che siano costrette a cancellare le norme restrittive in vigore in molte metropoli grandi e piccole, in materia di sussidi e aiuti per l’acquisto della prima abitazione. In cambio prevede la creazione preventiva di un fondo federale di 10 miliardi di dollari cui potrebbero attingere, per non sentire troppo i morsi della generosità.

E come si potrebbe chiamare un’idea del genere, se non predistribuzione della ricchezza? I repubblicani sono avvertiti: una loro ex potrebbe dare loro un grande dispiacere.

Vedi: La senatrice dem che vuole battere Trump per salvare il capitalismo Usa
Fonte: estero agi


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