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La scissione di Di Maio: «Basta populismi»

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L’addio al Movimento dopo aver informato Mattarella L’atto d’accusa a Conte: ha picconato il Paese per qualche voto Dovevamo scegliere da che parte stare. Uno non vale uno
di Monica Guerzoni

L’esempio di Sassoli In questa guerra, l’Europa sia più solidale Ce lo ricordava David Sassoli, un esempio di pacatezza che deve esserci da guida Mattarella e i sindaci I primi interlocutori saranno i nostri sindaci, che come ci ha ricordato Mattarella sono i volti e le braccia della Repubblica italiana Il sostegno a Draghi L’operato del presidente del Consiglio deve essere motivo di orgoglio in tutto il mondo Lo sosterremo con lealtà e massimo impegno
Lo strappo arriva alle 21.45 di ieri. Luigi Di Maio lascia i 5 Stelle seguito da una sessantina tra senatori e deputati. E il Movimento non è più la prima forza politica in Parlamento, ora è la Lega ad avere più numeri. «Una scelta sofferta» ha detto il ministro degli Esteri che ha ammesso gli «errori fatti» ma ha cercato di guardare avanti: non possiamo pensare «di picconare la stabilità del governo solo per ragioni legate alla crisi di consenso, è da irresponsabili». Di Maio ha poi aggiunto che non formerà un nuovo partito, ma un progetto politico: «Insieme per il futuro». Dove «non ci sarà spazio per odio, sovranismi e populismi».
ROMA Sfoggia una cravatta azzurrina in perfetto stile draghiano e, forse come estrema sfida, una di quelle pochette che tanto piacciono a Giuseppe Conte, al quale ha appena portato via almeno un quarto di M5S. Ed è con evidente perfidia che il ministro degli Esteri, dal palchetto improvvisato nella saletta dell’hotel Bristol di piazza Barberini, si riprende quel che ritiene suo: «Oggi io e tanti altri lasciamo il Movimento, quella che da domani non sarà più la prima forza politica del Parlamento». Sono le nove e mezza della sera e l’annunciata conferenza stampa è in realtà un assolo, applauditissimo da una cinquantina di fuggiaschi. Il ministro degli Esteri non lo nomina, ma accusa il rivale ed ex premier Conte di aver «picconato» il governo e il Paese nello sforzo vano di «recuperare qualche voto nelle urne».
È scissione. Adesso Di Maio balla da solo, «scelta sofferta che mai avrei immaginato di dover fare». Dispensa rapidi sorrisi meno larghi del solito, deglutisce per l’emozione, loda il presidente del Consiglio: «Sono stato definito draghiano… Draghi non lo conoscevo, abbiamo lavorato insieme dossier delicati, è motivo di orgoglio per il nostro Paese in tutto il mondo, continueremo a sostenerlo con lealtà e massimo impegno». Fa il pieno di baci e di abbracci, poi scivola via tra le boiserie e gli specchi schivando i giornalisti, con il sollievo di chi aveva accumulato troppe pietruzze nelle scarpe. Basta con «le ambiguità, le tensioni, le turbolenze, gli attacchi», basta con gli scontri «alimentati per fini mediatici». Le accuse di questa «operazione verità» sono tutte per Conte. Di Maio gli rimprovera più volte «ambiguità» nella linea politica e l’ancoraggio a «vecchi modelli superati», gli rinfaccia di aver «messo in discussione il premier e il ministro degli Esteri», di aver provato a indebolire «per qualche voto» il governo e l’Italia: «È da irresponsabili. La guerra non è uno show, ma una cosa maledettamente atroce e vera. In questo momento storico sostenere valori atlantisti non può essere una colpa». Una randellata via l’altra, anche sotto la cintura: «Quando si riceve l’endorsement degli aggressori dell’Ucraina non si risponde con il silenzio, ma con l’indignazione». Applauso, il più lungo e sentito, mentre Di Maio insiste: «Davanti alle atrocità di Putin non potevamo continuare a mostrare incertezze, non potevamo stare dalla parte sbagliata della storia». Cita David Sassoli e omaggia Sergio Mattarella, che ieri sera ha informato dello strappo imminente.
L’inquilino della Farnesina spacca il Movimento di cui è stato leader e ne fonda uno nuovo, tutto suo. Ma non sarà un partito personale, promette: «Ci mettiamo in cammino, partiremo dalle zone d’Italia che hanno enormi problemi e dovrà essere un’onda. Non ci sarà spazio per i populismi, i sovranismi, gli estremismi, l’odio. Uno non vale uno». Del M5S non rinnega quasi nulla, ma prende distanza dagli «errori del passato». Prova a tenere assieme gli anni «intensi, ricchi di emozione, gioie, successi e anche grandi sofferenze» con il progetto ancora tutto da scrivere. I gruppi parlamentari sono pronti, i numeri crescono di ora in ora. Una cinquantina e più tra deputati e senatori e molti pezzi grossi, della storia del M5S e dell’esecutivo di unità nazionale. Hanno il trolley pronto l’ex ministro Spadafora, i viceministri Sileri e Castelli, i sottosegretari Di Stefano, Macina e Nesci. Carla Ruocco, presidente della Bicamerale sulle banche e, forse, anche Antonio Lombardo, che lascerebbe Coraggio Italia. Il nome della nuova creatura è «Insieme per il futuro» e pazienza se riecheggia la sfortunata avventura di Gianfranco Fini, Futuro e libertà. Per la Camera non ci sono problemi di numeri, né di regolamento, mentre al Senato servono dieci iscritti e anche un simbolo battezzato nelle urne: potrebbero offrirlo Bruno Tabacci, Beatrice Lorenzin o il Maie.
La raccolta firme tra i deputati e i senatori scatta a metà mattina, mentre a Palazzo Madama gli sherpa di Conte si affannano di lima sul testo della risoluzione da votare dopo le comunicazioni di Draghi. Il premier parla e Di Maio siede alla sua sinistra: immasu
gine plastica del sostegno di Draghi, che blinda il «suo» ministro. Il protagonista del giorno è lui, «Luigi», tornato leader due anni e mezzo dopo l’addio: era il 22 gennaio del 2020 e Di Maio, sul palco del Tempio di Adriano, dava le dimissioni da capo politico M5S sfilandosi simbolicamente la cravatta. Ora l’ex ragazzo cresciuto a Pomigliano d’Arco, classe 1986, la cravatta se la rimette e innesca un terremoto, destinato a cambiare il volto di partiti e schieramenti. E il governo? Draghi non prevede rimpasti.
Al Senato, durante le trattative sulla risoluzione, è girata più volte voce che Conte fosse pronto a ritirare la sua delegazione di ministri. Per Di Maio sarebbe stato impossibile restare alla Farnesina e ha giocato d’anticipo. D’altronde, anche se l’espulsione non è scattata, i contiani lo avevano messo alla porta. Prima l’esclusione dagli organismi più importanti del Movimento, poi il «ricatto» sul limite del secondo mandato, quindi gli schiaffi di Roberto Fico. L’ultima botta è arrivata dal fondatore. «Qualcuno non crede più nelle regole del gioco? Che lo dica con coraggio e senza espedienti» ha scritto Grillo sul blog e i contiani hanno letto il «verbo» come una difesa del loro leader: «La luce del sole è il miglior disinfettante». Meno criptico il benservito di Alessandro Di Battista, ormai fuori dal M5S: «La scissione di Di Maio? Ignobile tradimento».

Fonte: Corriere della Sera