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La rete internazionale jihadista dietro la strage di cattolici in Sri Lanka 

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Gli attentati di Pasqua, che hanno causato almeno 290 morti e 500 feriti in Sri Lanka, sono opera di sette kamikaze di un gruppo jihadista locale, dietro i quali c’è però una rete internazionale senza la quale non sarebbero stati possibili. Lo ha riferito il governo dell’isola, che ha accusato il gruppo jihadista locale National Thowheed Jamath (Ntj), ha annunciato l’arresto di 24 persone e ha ripristinato il coprifuoco notturno dalle 20.00 alle 4.00.

Ma il giorno dopo gli attentati, la tensione rimane altissima: la polizia ha trovato 87 detonatori nascosti nella stazione principale degli autobus a Colombo e un ordigno nei pressi della chiesa di Sant’Antonio a Colombo, uno degli obiettivi dei sanguinosi attacchi, che è esplosa mentre gli artificieri cercavano di disinnescarlo. Poche ore prima, nella serata di domenica, una bomba artigianale era stata trovata e disinnescata vicino all’aeroporto internazionale di Colombo.

Per ora sono stati identificati i corpi di sette kamikaze, mentre l’Interpol ha inviato un team di esperti per aiutare nelle indagini. Il giorno dopo gli attentati però appare sempre più evidente che si sia trattato di una strage annunciata, che peraltro non è stata ancora rivendicata: il governo ha confermato che le autorità erano state avvertite più volte da un’intelligence straniera e avevano, non solo il nome del gruppo, ma persino i nomi dei sospettati.

Ma le informazioni non furono condivise: il premier Ranil Wickremesinghe ha denunciato che lui ed altri ministri non furono avvertiti nè informati dell’allerta; e ha ordinato un’indagine per accertare eventuali falle nei meccanismi della sicurezza, della quale è responsabile il presidente, Maithripala Sirisena.

Tra i due c’è una vecchia ruggine politica che mesi fa aveva portato il Paese sull’orlo della crisi istituzionale. Gli avvertimenti degli 007 erano stati numerosi, l’ultimo dei quali dieci minuti prima delle sei esplosioni simultanee. L’11 aprile, il ‘numero 2’ della polizia, Priyalal Dissanayake, inviò un memorandum avvertendo i ministeri e i dipartimenti che il gruppo progettava “attacchi”.

Il documento era chiaro: “Vogliamo richiamare l’attenzione perché il servizio di intelligence dello Stato ha ricevuto informazioni sugli attacchi pianificati dal gruppo guidato da Mohomod Saharan”, l’Ntj. Ma le informazioni non furono condivise: il premier e il suo gabinetto non furono informati perché non erano neppure invitati alle riunioni del consiglio di sicurezza nazionale, guidate dal presidente.

Nel frattempo, decine di famiglie si affollano nell’obitorio principale di Colombo per identificare i morti. La stragrande maggioranza delle vittime erano cingalesi, ma ci sono anche più di una trentina di stranieri. Sono morti anche tre dei quattro figli del patron danese del colosso dello shopping online, Asos. Qualche giorno prima degli attentati, uno dei ragazzi, Alma aveva scattato una foto dei tre fratelli -Astrid, Agnes e Alfred- a bordo piscina. Non è chiaro chi, dei quattro, sia morto.

Vedi: La rete internazionale jihadista dietro la strage di cattolici in Sri Lanka 
Fonte: estero agi


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