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La pubblicità sessista offende tutti. Ce ne parla Annamaria Arlotta, da anni impegnata in questa battaglia

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di Rosanna La Malfa

Combatti da anni la pubblicità sessista. Raccontaci di te e del tuo impegno.

Nel 2011 ho fondato il gruppo di donne e uomini contrari alla pubblicità sessista, una pagina intesa non solo come punto di riferimento sulla tematica e come raccolta di esempi, ma di trampolino per chiunque voglia protestare insieme ad altri presso le aziende. La nostra opposizione riguarda sia l’uso della donna sessualizzata per promuovere prodotti, servizi o eventi, sia i casi di sessismo meno appariscenti. Consideriamo sessisti ad esempio: i riferimenti ai gusti della donna quando è presentata come superficiale o sciocca, fissata con la cura del corpo, lo shopping e l’abbigliamento; le ambizioni dei bambini, ad esempio esploratori se maschi e ballerine se femmine; la ridicolizzazione della donna, con oggetti in testa o davanti al volto, ad esempio insalata o spaghetti al posto dei capelli, cosa che non accade se ad essere mostrato è un uomo. Negli spot televisivi la donna è casalinga, non la si vede né al lavoro né al volante, a meno che non porti i bambini dietro. Se è da sola è perché è una sex object, altrimenti è con un uomo, con le amiche o con i bambini. I suoi ruoli sono quelli, stereotipati, del passato, e la donna moderna è negata. Inizialmente abbiamo tentato la strada delle segnalazioni all’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (Iap) ma i risultati sono stati deludenti, perché solo una minima parte delle nostre segnalazioni sono risultate in azioni di contrasto da parte dell’ente. La protesta diretta, sule pagine facebook delle aziende, dà migliori risultati.

Nel caso di cartelloni a volte contattiamo figure politiche del luogo per chiedere che vengano oscurati o rimossi, cosa che a volte avviene. La nostra attività comprende anche periodiche lettere collettive ad aziende: l’ultima, alla Carpisa, con 500 firme.


Donne, oggetti senza cervello. Come vedi l’Italia sotto questo punto di vista?

A giudicare dalla pubblicità, male. Le donne non sono rappresentate soltanto come oggetti di piacere, sciocchine, ma spesso anche senza testa, solo pezzi di corpo. O viste di spalle, o con occhiali scuri…qualsiasi cosa pur di non mostrarne volto ed espressione. Ho scritto un articolo per Il Manifesto, intitolato “Un prodotto chiamato donna, il corpo acefalo della pubblicità”, anche per mettere in risalto la cattiva abitudine di mostrare pezzi di corpo femminili, con slogan che riconducevano alla mercificazione della Donna. L’articolo è visionabile sul nostro gruppo Facebook.

 


I brand adottano pubblicità diverse da nazione a nazione? Se sì, qualche esempio?

Sì. Anche le multinazionali, come la Muller e la Cif, adottano strategie diverse. Ecco degli esempi: la Muller Inghilterra mostra donne e uomini di varia età e diverse corporature, senza nessuna sessualizzazione ma con un’idea creativa dietro alla pubblicità.  L’Italia è ferma all’amore con il sapore


Molti lamentano, siano essi uomini o donne, che chi taccia una pubblicità di sessismo, manchi di ironia. Come rispondi?

Rispondo che è difficile vedere ironia in due hamburger o due bocce da bowling sovrapposte ai seni di un pezzo di corpo femminile. E dico loro che difendere il sessismo tirando fuori l’ironia è la scusa più usata, insieme al concetto di goliardia, e che, chissà perché, è sempre applicata a donne, sessualizzate, e mai a uomini.


Giovani, belle, oche versus Adulte, brutte, intelligenti. Lo sfatiamo questo mito?

Per le aziende che vogliono promuovere abbigliamento, accessori, cosmetici e cura del corpo è importante che le donne appaiano superficiali e le modelle belle e giovani, per far immedesimare le potenziali acquirenti e far credere loro che con quell’acquisto diventeranno come loro.  In generale, poi, l’immagine della donna leggera e spensierata piace ai pubblicitari, perché riflette un sentire molto comune, cioè che la donna di oggi sia problematica e impegnativa, e che dovrebbe essere “neutralizzata” riconducendola ai ruoli del passato.

 

Se le donne non sono giovani, belle e accondiscendenti, sono isteriche e violente come in diversi spot pubblicitari. Un buon esempio è questa pubblicità del 2014:

https://www.youtube.com/watch?v=8GBc3nAjsnw


Il lavoro nel gruppo “La pubblicità sessista offende tutti”, con più di 10.000 iscritti, è solido e costante. Avete ottenuto risultati con le denunce?

Sì, i risultati ci sono, e ultimamente il ritmo dei successi è aumentato. A volte bastano una decina o più di commenti critici sulle pagine facebook delle aziende, sotto la foto o il video che giudichiamo sessista, per far rimuovere l’immagine dalla loro pagina. Poche volte i titolari comprendono cosa sia il sessismo, la maggior parte esprime sorpresa perché convinti che nessuno avrebbe reagito, ma molti sostituiscono o modificano comunque le foto. E’ bello quando invece alcuni capiscono che la nostra critica non proviene da moralismo ma dalla volontà di difendere la dignità della donna, ridotta a sex object,  e anche dell’uomo, trattato da allupato perenne, al quale ci si rivolge non passando per il cervello ma per i genitali. Quando si tratta di cartelloni per la strada, questi vengono tolti o oscurati solo se il Comune dove si trovano interviene, di sua iniziativa o in seguito alla segnalazione di semplici cittadini o di figure politiche locali. Tra i file del gruppo ce n’è uno che si intitola “I nostri successi” dove si possono leggere i dettagli. Sono convinta che il metodo della protesta diretta sia destinato a acquistare sempre maggiore  peso. Il Fertility Day fu annullato a seguito della forte reazione di tanti sui social, e arriverà il giorno in cui la pubblicità sessista non sarà più tollerata o considerata politically correct, come già succede in diversi  Paesi nordeuropei dove non c’è stato bisogni di leggi speciali perché ciò accadesse.


Radici e possibili soluzioni al problema. Siamo ottimisti?

Le radici del sessismo, che si esprime in televisione, sulla stampa e in pubblicità, e spunta fuori dagli occasionali commenti dei politici, risiedono a mio parere nel perdurare della mentalità contadina, che vede nella donna il lato utile: fonte di piacere, nutrice, cuoca e casalinga. Questa visione è condivisa da molte donne, che vedono se stesse “con occhi di maschio”. Come ha detto la grande giornalista Dacia Maraini, il conflitto sulla pubblicità sessista non è uno di genere, ma di culture. Naturalmente c’è anche il timore di perdere dei privilegi, e mi sembra che in Italia ci sia molta paura della donna nuova. Ma già tra i giovani si vedono grandi cambiamenti. Quando, nel 2015, la Procter&Gamble  fece una pubblicità dei pannolini Huggies che diceva “Lei penserà a farsi bella, lui a fare goal. Lei cercherà tenerezza, lui avventure. Lei si farà correre dietro, lui invece ti cercherà. Così piccoli e già così diversi” l’azienda fu subissata di critiche da parte sia di madri che di padri, tanto che fu costretta a modificare il suo costoso spot.

I casi di pubblicità sessiste più eclatanti, che coniugano volgarità e squallidi doppi sensi a sfondo sessuale, vengono discussi sui quotidiani e su diversi siti di informazione online.  L’attenzione e la sensibilità al tema continuano a crescere, e lo scandalo delle molestie può rappresentare, tra le altre cose, un segnale che non si può continuare a usare le donne come semplici strumenti di promozione per vendere prodotti e modificate a piacimento come se fossero oggetti modellabili, come si vede in questo esempio di prodotto antimuffa che ha dell’assurdo:

Come in passato alcune campagne hanno portato a grandi cambiamenti, ad esempio si è smesso di usare le pellicce degli animali, sarà la consapevolezza del danno che la pubblicità sessista fa, influenzando negativamente l’immaginario collettivo nella visione dei rapporti di genere, che porterà al cambiamento.


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