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La pandemia ha stravolto il mito di New York

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AGI – Lunghe file di marciapiedi con vetrine spente, coperte da pannelli di legno o che mostrano interni vuoti e desolati. Park Avenue semideserta alle 7 di sera, così come la 41st Street o la 65th. E sulla Quinta Avenue, davanti all’incanto dei giochi di luce dei magazzini Saks, una trentina di persone riprende le tradizionali coreografie natalizie, ma poi giri l’angolo e non trovi più nessuno. Né luci, né vetrine accese, né persone con le mani occupate dalle buste dello shopping.

Se c’è una città forse cambiata per sempre in questo 2020 è la più iconica, New York: da città che non dorme mai, come cantava Frank Sinatra, la città che va a letto presto. La pandemia ha stravolto un tessuto urbano che aveva già mostrato segni di lacerazione negli ultimi tre anni.

Ma l’emergenza, la paura del contagio nella Grande Mela che, tra marzo e maggio, è stata il primo tragico focolaio mondiale, e il successivo isolamento, hanno accelerato questo processo di svuotamento che adesso appare evidente. Più di 110 mila persone avevano lasciato Manhattan in modo definitivo tra febbraio e luglio, e altrettante lo avrebbero fatto negli ultimi cinque mesi. In tutto il 2019, stando ai cambi di indirizzo registrati dalle Poste americane, erano state 53 mila.

Secondo uno studio di Descartes Labs, le persone che hanno lasciato New York sarebbero molte di più, circa 420 mila. In alcuni quartieri, come Upper East Side, West Village, Soho e Brooklyn Heights, si registra un calo dei residenti del 40 per cento. Questa è la città dove finora si sono registrati 417 mila contagi e 25 mila morti.

Con la chiusura dei locali dalle 10 di sera alle 5 di mattina, e il divieto a servire al chiuso, ristoranti e bar stanno cambiando la fisionomia di Manhattan: ovunque si trovano gazebo, tende di plastica, tendoni con riscaldamento annesso, tavoli avvolti da cellophane protettivi, che invadono i marciapiedi e rendono alcune zone una specie di Trastevere sull’East river, ma con temperature che presto saranno polari.

E con poca musica in giro. Il Village Vanguard, tempio del jazz nel Greenwich, dove sono passati Miles Davis, Bill Evans, John Coltraine e Carmen McRae, va avanti solo con i concerti in remoto a dieci dollari.Attraverso zoom vedi un totem come Kenny Barron suonare il pianoforte, poi senti applausi ovattati degli appassionati collegati da casa, e sullo schermo appare un gentile invito a fare una donazione per tenere in vita il tempio.

La chiusura di molti store potrebbe portare a un ulteriore cambiamento della Grande Mela: da Valentino a Hugo Boss si presenta il problema della sostenibilità di affitti che arrivano anche a un milione e mezzo di dollari al mese, per boutique che hanno visto dimezzato il flusso di clienti.

Le grandi proprietà dei centri commerciali e dei negozi del lusso stanno meditando di trasformare locali ormai disabitati in residence. Scelta che finirebbe per dare un altro colpo mortale a quella che una volta, e non solo nei romanzi pop di Jay McInerney, era per tutti la città d’acciaio dalle mille luci

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Fonte: estero agi


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