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La mattanza dei cristiani in Nigeria

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AGI – L’ultimo si chiamava John Mark. Il suo corpo è stato ritrovato tre giorni fa, nella foresta. Era stato rapito lì vicino. L’altro sacerdote che era con lui in canonica è stato fortunato: Denatus Cleopas è riuscito a fuggire poche ore dopo il sequestro. Tra poco tornerà alla chiesa di Cristo Re, nel Kaduna.

I funerali di Padre Mark invece li hanno celebrati nella Cattedrale di San Pietro della diocesi di Kafanchan. “Mentre sollecitiamo preghiere per il riposo del nostro caro fratello sacerdote e la consolazione di Dio sui suoi parenti stretti, desideriamo umilmente invitare tutti ad astenersi dal farsi giustizia da soli” ha sottolineato padre Okolo, nell’omelia. Perché il rischio è doppio: la persecuzione, la reazione.

Anche nello Stato di Edo nei giorni scorsi sono stati rapiti altri due sacerdoti nigeriani, p. Peter Udo e p. Philemon Oboh. Un altro prete nigeriano è stato rapito nella mattinata del 4 luglio, a Zambina, ancora nello Stato nord-orientale di Kaduna. Uno stillicidio, che rischia di trasformarsi in una mattanza.

Sempre agli inizi del mese, poi, la polizia nigeriana ha liberato un missionario italiano, Luigi Brena, 64 anni, dei padri somaschi: era stato rapito a Ogunwenyi, nell’area del governo locale sud-occidentale di Ovia. Oare che dietro vi possa essere in più di un caso la criminalità, illusa magari da forme di quella che nell’interno della Nigeria possono essere scambiate per forme di ricchezza: un pozzo artesiano, una scuola di mattoni.

Ma è chiaro che la prova sia dura, per la Chiesa cattolica, e che dietro non possono esserci solo bande di briganti e tagliagole. La pressione degli estremisti islamici si va facendo più forte, la Grande Guerra dell’Africa qualcuno la combatte anche invocando, chissà con quale legittimità, il nome di Allah.

Ricorda Aiuto alla Chiesa che Soffrre che nello Stato nigeriano di Benue, nei soli mesi di maggio e giugno, almeno 68 cristiani sono stati uccisi e molti sono stati rapiti. Ben 1,5 milioni di persone sono state costrette a lasciare le loro case.

Alla radice del problema ci sono i persistenti attacchi dei terroristi islamici della tribù Fulani ai danni di comunità agricole, in gran parte cristiane, residenti nella Nigeria centrale.

I conflitti tra pastori nomadi e contadini stanziali risalgono a secoli fa, ma negli ultimi anni l’afflusso di moderne armi da fuoco ha reso le aggressioni molto più distruttive.

La dimensione religiosa aggrava la situazione, in un Paese diviso equamente tra un sud a maggioranza cristiana e un nord a maggioranza musulmana, e in cui la maggior parte dei combattimenti si svolge nella regione centrale, dove si trovano le terre più fertili. Secondo Mons. Wilfred Chikpa Anagbe, vescovo di Makurdi, una delle diocesi di Benue, i terroristi si travestono da pastori nomadi per nascondere il vero scopo dei loro attacchi, che è quello di espellere i cristiani dalle loro terre.

La situazione ha causato “una grave e insostenibile carenza di cibo“, racconta mons. Chikpa Anagbe ad Aiuto alla Chiesa che Soffre. “Lo Stato di Benue è noto per essere il ‘paniere alimentare’ della nazione, ma il terrorismo ne ha intaccato l’approvvigionamento”.

Di conseguenza, i contadini, che prima potevano sostenere loro stessi e le rispettive famiglie, ora sopravvivono grazie alla carità. “Questa precarietà fa sì che molti vivano in condizioni incompatibili con la dignità umana, spesso dipendenti dalle razioni alimentari fornite da persone la cui condizione economica non è affatto migliore”, dice monsignor Anagbe.

Makurdi ospita attualmente l’80% degli sfollati presenti nello stato di Benue e, nonostante le difficoltà finanziarie, la diocesi fa di tutto per alleviare le sofferenze, fornendo cibo e beni di prima necessità.

La diocesi assegna anche borse di studio a decine di bambini sfollati, affinché non vengano privati dell’istruzione. L’instabilità della regione rende tuttavia molto gravoso il lavoro, e per questo “da qualche anno non ho potuto svolgere attività pastorali in alcune parti della mia diocesi”, aggiunge il prelato. Nonostante tutto, “non abbiamo trascurato la cura pastorale che queste persone meritano.

C’è una parrocchia, in una delle zone di insediamento degli sfollati, che si prende cura dei loro bisogni spirituali”, conclude il vescovo, aggiungendo che spera di acquistare una clinica mobile per soddisfare i bisogni sanitari.

I problemi con gli estremisti in Nigeria si trascinano da diversi anni, e per questo la Chiesa si è lamentata per l’inerzia del governo.

Secondo l’arcivescovo Anagbe, “l’entità delle uccisioni e delle distruzioni arbitrarie da parte di queste milizie jihadiste Fulani non fa che consolidare un’agenda politica, ormai palese, di espulsione delle comunità cristiane dalla Nigeria“, con conseguente sequestro delle loro terre. “È rivelatore che l’attuale governo nigeriano continui a non fare nulla di fronte a questi attacchi persistenti”.

“È davvero triste – si legge in un comunicato dell’Associazione dei sacerdoti cattolici diocesani nigeriani – che nel corso delle loro consuete attività pastorali, i sacerdoti stiano diventando una specie in via di estinzione”.

Anche secondo l’Associazione, più volte e a vari livelli, è stato chiesto aiuto al governo, tuttavia “è chiaro alla nazione che il governo ha fallito nel suo dovere primario di tutelare la vita dei cittadini nigeriani”.

I sacerdoti rifiutano esplicitamente qualsiasi risposta che implichi la forza o la violenza, spiegando di non essere “terroristi o una compagnia di guerra”, mettendo in dubbio l’utilità della partecipazione dei sacerdoti alle proteste di piazza e appellandosi a quella che, a loro dire, dovrebbe essere la prima arma di un uomo di Dio: “Il nostro cammino ministeriale consiste nell’annuncio della Parola di Dio e nella celebrazione dell’Eucaristia come memoria di Cristo e della sua missione sulla terra.

Ciò implica che portiamo con noi i libri sacri e non le armi. Cristo non ci ha mai incoraggiato a prendere le armi contro nessuno o a compiere azioni di vendetta”. Ma quello della vendetta è un rischio che, di giorno in giorno, si fa sempre più concreto.