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LA FESTA DELL’EUROPA

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Se, per gli Stati europei, la prospettiva è quella dell’Unione, bisogna proporre e realizzare in tempi ragionevoli la revisione dei trattati e il completamento dell’Europa politica federale e dei cittadini.

di Antonino Gulisano

Il 9 maggio si è celebrata, come ogni anno, la giornata europea o Festa dell’Europa. È stato commemorato Altiero Spinelli a Ventotene, ma è adesso il tempo di fare una approfondita analisi delle reali prospettive dell’Unione europea.

Molti i temi da analizzare, le domande da porsi: è sostenibile un’Unione europea germano-centrica? La concezione del liberismo globale finanziario porterà in prospettiva all’Europa sviluppo o depressione economica? Nel XXI secolo e dopo l’emergenza pandemica da Coronavirus c’è spazio per la solidarietà e il lavoro? Se, per gli Stati europei, la prospettiva è quella dell’Unione, bisogna proporre e realizzare in tempi ragionevoli la revisione dei trattati e il completamento dell’Europa politica federale e dei cittadini.

Ricordate il referendum greco proposto da Tsipras e vinto dal popolo greco? Quel referendum ha dato un messaggio di speranza nel cambiamento al popolo greco e europeo, quando si è appellato a vivere con dignità. Risuonano ancora le dichiarazioni dell’ex premier greco in quel giorno: oggi è stata vinta una battaglia tra la finanza dell’austerità imposta dalla “troika” e la dignità di ogni individuo di questa Europa. Il popolo europeo vuole vincere la “guerra” finale, creare gli Stati Uniti d’Europa. Vogliamo un’Europa federale e dei popoli e non dei finanzieri e della moneta Euro. Oggi abbiamo raggiunto un obiettivo, ci siamo ripresi la dignità di essere cittadini Europei e non morire sotto i colpi degli euro-finanzieri.

Tutti hanno definito folle e visionario Tsipras, ma alla fine aveva ragione.

Solo i folli cambiano il mondo. Questa citazione la dedichiamo a tutti coloro che vedono le cose in modo diverso: costoro non amano le regole e specie i regolamenti e non hanno alcun rispetto per lo status quo. Potete citarli, essere in disaccordo con loro, potete glorificarli o denigrarli ma l’unica cosa che non potete fare è ignorarli, perché riescono a cambiare l‘umanità, e mentre qualcuno potrebbe definirli folli, noi ne vediamo il genio… perché solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano davvero”.

Spinelli e i federalisti classici puntavano tutto sulla costituzione politica con il risultato di scatenare il fuoco di sbarramento degli Stati nazionali.

Quel progetto non ebbe il destino di cambiare il volto dell’Europa.

L’idea di Delors, quando nel 1984 diventa presidente della Commissione, è di utilizzare la moneta unica come strumento per l’integrazione politica europea. Delors rovescia il ragionamento di Spinelli: mentre i federalisti classici puntavano tutto sulla costituzione politica – con il risultato di scatenare il fuoco di sbarramento degli Stati nazionali – Delors considera che il modo migliore per avvicinare l’integrazione politica è di approfondire e rendere irreversibile l’integrazione economica e monetaria. Se Spinelli era un massimalista, Delors appare come un minimalista, perché parte dal basso, presenta i progressi nel processo integrativo come completamento del Mercato comune. Ma l’obiettivo è e resta identico: l’Europa unita.

Il progetto di integrazione europea era stata concepito a tre stadi, ciascuno dei quali esprime la spinta sufficiente per passare a quello successivo. Primo, l’Atto unico (1986), con la conseguente creazione del Mercato unico; secondo, la moneta unica, sancita dal Trattato di Maastricht (firmato l’11 dicembre 1991), da realizzare per tappe entro il 1999; terzo, l’integrazione politica europea, con una configurazione istituzionale ancora da definire, ma in qualche modo collocata a metà strada tra federalismo e confederalismo.

Lo scenario cambia completamente con il crollo del Muro di Berlino, che sconvolge gli equilibri mondiali. Già al Vertice straordinario di Parigi (novembre 1989) si delinea quello che sarà lo scambio geopolitico implicito nel Trattato di Maastricht: l’Europa dà via libera alla Germania per la riunificazione in tempi rapidi, ottenendo come contropartita l’europeizzazione del marco.

Di fatto la moneta unica (poi denominata euro) sarà il marco – nessuno ha interesse a che valga di meno – con la differenza che a governarlo non sarà la Bundesbank, composta solo da tedeschi, ma la Banca europea, del cui consiglio di amministrazione i tedeschi saranno solo una delle componenti.

Dal novembre 1989 fino alla notte di dicembre del 1991, quando nella cittadina olandese di Maastricht si vara il Trattato, la questione tedesca domina il tavolo ed è molto chiara: o la Germania resta in Occidente anche dopo essersi annessa la Rdt, oppure slitta verso il Centro e oscilla paurosamente fra noi e la Russia. Alla fine, la Germania accetta di integrarsi più strettamente in Europa, rinunciando persino alla sovranità sul marco a una data fissata (1° gennaio 1999), pur di garantirsi l’appoggio dei partner alla riunificazione.

Il liberismo finanziario si è imposto all’Europa con il metodo della “austerity” e la declinazione pratica “Denaro ricavato da denaro, con scommesse a rischio sulla perdita”. È il preludio al disastro planetario di oggi. Per sostenere gli investitori, le banche allora si tuffano nel mercato-truffa dei derivati: raccolgono denaro per garantire i rendimenti, ma senza copertura per gli ultimi sottoscrittori della “catena di Sant’Antonio”, tenuti buoni con la storiella della “fiducia” nell’imminente “ripresa”, sempre data per certa, ogni tre mesi, da «centri studi, economisti, osservatori, studiosi e ricercatori, tutti sui loro libri paga».

Il “quantitative easing” della BCE di Draghi, oggi premier del governo italiano, ovviamente non risolve la crisi economica perché «chi è ai vertici delle banche, e lo abbiamo visto anche al Monte dei Paschi, guadagna sulle perdite». Il profitto non deriva dalle performance economiche, come sarebbe logico, ma dal numero delle operazioni finanziarie speculative.

La scelta della Cina di puntare sul mercato interno può essere l’inizio della fine della globalizzazione, che è «il sistema che premia il produttore peggiore, quello che paga di meno il lavoro, quello che fa lavorare i bambini, quello che non rispetta l’ambiente né la salute». E naturalmente, prima di tutto serve il ritorno in campo, immediato, della vittima numero uno: lo Stato democratico sovrano. Imperativo categorico: sovranità finanziaria per sostenere la spesa pubblica, senza la quale il paese muore.

Forse l’emergenza della pandemia da Covid 19 porterà tutti gli Stati a ripensare la strategia della globalizzazione, non verso la finanza speculativa, ma verso nuovi investimenti di crescita di sviluppo reale. Il progetto del Recovery fund europeo next generation può rappresentare un primo passo verso lo sviluppo sostenibile in Europa.

In questa giornata di Festa dell’Europa verso quale Europa ci si incammina? Speriamo sia l’Europa dei cittadini, della democrazia e dello sviluppo. Lo scenario futuro è aperto.