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La corsa al Quirinale. Più ombre che luci

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di Augusto Lucchese

L’ormai prossima elezione del nuovo Presidente della Repubblica (il Presidente della Camera, Roberto Fico, ha comunicato che la convocazione del Parlamento in seduta comune sarà diramata il 4 gennaio 2022, è dunque da presumere che le votazioni avranno inizio attorno al 24 gennaio) ha determinato parecchi ambigui risvolti e diverse prese di posizione.

Il rabberciato e per molti versi scadente mondo politico di casa nostra è entrato in piena fibrillazione. Tanto tuonò che piovve. Le dighe si sono aperte e il dirompente corso del fiume di illazioni, di fantapolitica, di ambizioni, di pretese, di rivalse, di calcoli edonistici, ha rotto gli argini ed è tracimato creando, peraltro, un ansioso stato di reciproca diffidenza fra i vari schieramenti. Nel dare fiato ai soliti tromboni della quotidiana diatriba partitica, non s’è tenuto conto che la Nazione è ancora al centro del guado di una sorta di fiume in piena che, in forza della sua travolgente corrente, riporta quotidianamente in superficie le varie pressanti e gravi emergenze (sanitarie, economiche, produttive, sociali, ecologiche, ecc.) che affliggono il Paese.

Il Governo in carica, oltretutto, pur se investito da un ultra pesante carico di impegni assunti con l’Europa, di problematiche inerenti le necessarie auspicate “riforme”, di necessarie misure per la tenuta economica, produttiva e occupazionale, oltre che di emergenziali interventi sul territorio in dipendenza della pandemia da Coronavirus e dei sempre più frequenti e micidiali scompensi meteorologici, è tenuto in vita da una maggioranza “arcobaleno” litigiosa, prepotente, ricattatoria. Prevale quindi, a fronte della inderogabilità di una sufficiente e valida azione di governo, la tattica del compromesso, del vivi e lascia vivere, della irresolutezza rispetto ai problemi di base.

La complessiva situazione, tuttavia, anche se da tempo immemorabile ci si è abituati alla illogicità di un distorto modo di intendere la dinamica della vita politica, lascia trasparire una palese mancanza di senso di responsabilità soggettiva e di gruppo da parte di chi, più o meno coscienziosamente, tira le fila dei vari centri di comando dei partiti.

La pericolosità del momento è peraltro aggravata dall’assurdo “frazionamento” del quadro partitico, in gran parte composto da modesti e personalistici agglomerati di scissionisti, di transfughi, di velleitari soloni solitari, di inguaribili individualisti, di precari e impreparati “portavoce“, meglio definibili come “portaborse” o “portaacqua”. I mass-media e le agenzie informative (pur se spesso e volentieri inattendibili) che proliferano mediante uno scorretto uso della fitta rete di smartphone, elargiscono quotidianamente, a profusione, l’ampia dimostrazione di quanto sia precipitato in basso l’ambiente partitico prevalentemente e perennemente a caccia di consensi elettorali.

A rafforzare le tensioni dei vari gruppi, l’un contro l’altro armati, si innesca, per scadenza del “settennato”, la spinosa esigenza di eleggere un nuovo Capo dello Stato. In base alle precise norme contenute nella Carta Costituzionale (parte seconda, articoli 83, 84 e 85) il Presidente della Repubblica, come è noto, viene eletto dal Parlamento in seduta congiunta, cui s’assommano tre delegati per ogni Regione e uno per la Valle d’Aosta. In totale, in atto: 630 deputati, 315 senatori, 58 delegati regionali. Sono altresì da aggiungere i sei “senatori a vita”, ove siano in grado di essere presenti. In totale 1.009 aventi diritto al voto. Le votazioni avverranno a fine gennaio 2022 secondo il prescritto iter che prevede, a scrutinio segreto, tre prime votazioni a maggioranza dei due terzi dei presenti e le successive a maggioranza del 50% + uno degli stessi, sino all’ottenimento del “quorum” su uno dei soggetti votati.

Senza volere minimamente profanare lo spirito e il significato di un tale importantissimo e fondamentale adempimento costituzionale, la procedura di cui sopra sembra alquanto accostabile allo svolgimento di una lotteria più o meno preordinata e pilotata. Non sarebbe meglio che la massima autorità della Nazione fosse appannaggio di una meditata scelta operata dal “popolo”, piuttosto che dal gioco incrociato di pochi uomini legati a filo doppio al controverso “modus operandi” dei partiti?

Tornando al complicato “rebus” della elezione del nuovo Capo dello Stato, non va trascurato, altresì, un importante aspetto della complessiva situazione che va delineandosi.

Taluni schieramenti hanno più volte ribadito che la “vexata quaestio” va affrontata solo dopo il definitivo varo della “legge di bilancio” da approvare entro il 31 dicembre per non incorrere nel pericolo del “bilancio provvisorio”, cosa che nuocerebbe notevolmente alla vita economica del Paese e apporterebbe seri intralci circa l’ottenimento dei saputi finanziamenti europei provenienti dal dispositivo per la ripresa e la resilienza, il cosiddetto “Next Generation EU (NGEU)”.

Altri raggruppamenti agitano viceversa, strumentalmente o meno, le acque per cercare di portare avanti una linea d’azione volta a perseguire l’elezione, presumibilmente dopo la terza votazione, di un personaggio “di parte” da loro fortemente sostenuto. Non occorre specificare di quale settore trattasi e, tanto meno è il caso di fare nomi. Da parecchie settimane, del resto, la notizia è rimbombata su tutte le reti d’informazione e sulla carta stampata.

Ma il palese controsenso di tale “sponsorizzata” candidatura sta nel fatto che l’identikit ideale del nuovo Presidente della Repubblica (vedi caso approntato da esponenti dello stesso settore) prescrive irreprensibilità, vocazione “super partes”, strenua osservanza dei dettami costituzionali, energia operativa, apprezzamento internazionale. Esso, quindi, mal s’addice, sotto parecchi aspetti e per pregresse circostanze, con il “personaggio” posto in lizza. Che poi una primaria esponente del detto “raggruppamento” fosse giunta ad affermare (forse un “lapsus feudiano”?) che il nuovo Capo dello Stato deve avere le caratteristiche preminenti di “un patriota”, serve solo a fare dubitare che la scelta di cui sopra sia confacente a tale definizione.

A prescindere dalla opportunità di rimandare a scuola la ben nota arringatrice di cui sopra, al fine di meglio apprendere il significato di taluni termini usati con palese disinvoltura, emerge la triste constatazione che la stessa non s’è ancora accorta di come e quanto, ormai da tempo, si fosse esaurito il filone degli storici “patrioti”. Fatte le debite eccezioni, infatti, oggi sembra essere prevalente, al loro posto, un folto stuolo di uomini di parte, arrivisti, individualisti assetati di potere e di ricchezza, talvolta ingordi approfittatori, poco o nulla portatori di autentici e profondi sentimenti patriottici.

Per altro verso, stante che non sembra opportuno e salutare, in questo delicato momento, tirare per la giacchetta l’esimio terapeuta Mario Draghi per indurlo a traslocare da Palazzo Ghigi al Quirinale, non sarebbe accettabile qualsivoglia manovra settoriale volta ad insediare nel più alto organo istituzionale dello Stato un “personaggio” diffusamente ritenuto non adeguato a tale incarico.

Da un punto di vista del tutto avulso dall’odierno schieramento partitico, oltre che critico nei confronti dei consueti sotterranei sommovimenti di collaterali “centri di potere” (più o meno operanti alla luce del sole), sembra illogico tentare d’imporre scelte sbagliate alla stragrande maggioranza di quella stessa popolazione che il nuovo Capo dello Stato sarebbe chiamato a rappresentare, invece, nella sua totalità e multiformità, ivi compresa quella notevolissima massa di cittadini che da tempo disertano le urne in quanto stanchi dell’increscioso andazzo della odierna dubitevole politica.

Piuttosto che correre incontro a soluzioni ambigue e di parte, di fatto non facilmente assimilabili, non sarebbe meglio riconfermare nella pienezza delle sue funzioni l’attuale Presidente, almeno sino alle elezioni politiche del 2023?

Non è pensabile che lo stesso eminentissimo On. Mattarella, in coerenza e armonia con il suo acclarato senso di responsabilità, non sia conscio dell’attuale stato di cose e non possa condividere la necessità di evitare, in questo particolare momento, rischiosi scossoni all’apparato istituzionale.