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La Casa dei Pesci, un format di bellezza e sostenibilità

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Agi – Quella di Paolo il pescatore di Talamone è una piccola, grande storia che dimostra come la bellezza può davvero salvare il mondo – in questo caso, un tratto di mare della costa Toscana lungo 20 miglia a nord dell’Argentario, di fronte al Parco dell’Uccellina – creando sviluppo, cultura, economia. Persino un ‘format di sostenibilità’ replicabile altrove.

La piccola, grande storia di Paolo Fanciulli è già nota al grande pubblico, grazie ad articoli e reportage realizzati da importanti media internazionali negli ultimi anni, ma forse non ancora abbastanza da consentire alla Casa dei Pesci di aprire ‘filiali’ in altre zone del litorale italiano, europeo, perché no, mondiale. Anche per questo due giornalisti, Ilaria De Bernardis e Marco Santarelli, hanno deciso di raccontarla in un libro pubblicato in questi giorni dall’editore Palombi (l’edizione inglese vedrà la luce dopo l’estate). Centosessanta pagine ricche di foto e carte marine, che sono, alla fine, un interessantissimo manuale di ecologia. La storia di Paolo il pescatore potrebbe essere imitata centinaia di volte e aiutare piccole e grandi realtà locali legate al mare e alla pesca a sopravvivere grazie a un sano marketing.

La storia è questa: Paolo è un pescatore che da 40 anni combatte la pesca a strascico che già dagli Anni Ottanta minaccia quel tratto di costa (come tanti altri in Italia). La pesca a strascico sotto costa è illegale, ma per decenni è stata perpetrata grazie alla compiacenza di istituzioni e forze dell’ordine non severissime, diciamo così, nel reprimerla. La pesca con questo tipo di reti distrugge la flora marina. Le reti non sono ferme, ma vengono tirate dai pescherecci per chilometri di mare. Lo strascico consente bottini più consistenti rispetto a una rete ferma, ma devasta il territorio sottomarino, strappando piante e coralli. Fatta sotto costa porta nel giro di poco tempo alla distruzione dell’habitat dei pesci. In particolare, distrugge la posidonia, pianta fondamentale dell’ambiente sottomarino del Mediterraneo. Pescare a strascico è come dar fuoco a un bosco per catturare una lepre, spiega Paolo Fanciulli. “Quel giorno forse la lepre la prendi, ma il giorno dopo? Dietro di te non resta nulla”.

Anni di battaglie a fianco del Wwf guidato da Fulco Pratesi, di denunce cadute nel nulla e di minacce subite dai pescatori di frodo. Ancora oggi Paolo Fanciulli vende il suo pesce al dettaglio, all’arrivo in porto, porta a porta. Ma per lui i grandi mercati locali sono inaccessibili, è visto come un nemico dai ‘cartelli’ che contano. Oggi forse più di venti o trenta anni fa. E questo perché il pescatore di Talamone dal 2012 riesce a far parlare di sé sui media internazionali per la sua intuizione favolosa, raccontata anche dal New York Times e dalla Bbc, dal Guardian e da Suddeutsche Zeitung. Già da qualche anno, grazie alla sua tenacia e a quella del Wwf, la Regione aveva finanziato la messa in mare dei dissuasori, blocchi di cemento armato legati tra loro da cavi d’acciaio, armi formidabili contro le reti a strascico.

L’idea di Fanciulli fu però geniale: coinvolgere grandi scultori del marmo per realizzare opere d’arte da calare in mare. Così da creare un museo sottomarino unico al mondo, in grado di tenere lontano i diabolici tramagli dello strascico, consentire alla posidonia di ricrescere, a cernie e aragoste di tornare, offrendo ai turisti di tutto il mondo uno spettacolo imperdibile. All’appello hanno risposto in questi anni una ventina di grandi artisti e oggi nel mare di Talamone le sculture di marmo posate sul fondale sono già 39. Il progetto è arrivare a 100 e tutelare per sempre questo tratto di costa, oggi più pescoso e in equilibrio che mai. La pesca legale è salva, il turismo costiero ha trovato un nuovo presidio di bellezza e ricchezza.

Ma questa storia non finisce qui. Con i proventi del loro libro, De Bernardis e Santarelli provano ora a finanziare la Onlus di Paolo Fanciulli, la Casa dei Pesci, con una speranza: contribuire a fare del museo sottomarino di Talamone un format culturale esportabile. Quante istituzioni locali, quante aziende private potrebbero valutare un sostegno alla realizzazione di queste sculture amiche del mare in altre aree? Quanti artisti potrebbero proporsi per salvare ‘il proprio mare’, magari dall’altra parte del Pianeta?  Una piccola, grande storia di civiltà, quella di Paolo il pescatore. Ancora tutta da scrivere.

Source: agi


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