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La 10 years challenge di Agi. Com'era il mondo e com'è

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Da qualche giorno i vostri contatti sui social network stanno riempiendo la vostra bacheca con fotografie che li ritraggono dieci anni fa. C’è chi, compiaciuto, constata di non essere poi invecchiato così male e chi filosofeggia mesto sull’inesorabile scorrere del tempo.

Si chiama ‘10 years challenge‘ il fenomeno che sta tenendo banco sulle bacheche di Facebook, Instagram e Twitter. E se allargassimo lo spettro all’attualità? Cosa è cambiato nel mondo in questi dieci anni e cosa è rimasto uguale? Quali legami si possono individuare tra cosa svetta sulle prime pagine oggi e cosa vi potevamo leggere nel gennaio 2009? Senza la pretesa di essere esaustivi, anche ad Agi raccogliamo la sfida.

L’inizio della grande crisi, che in Europa non è mai finita

Erano passati pochi mesi dal crac di Lehman Brothers, la miccia che innescò la più grave crisi finanziaria dai tempi della Grande Depressione. In Usa, dove c’è una banca centrale che può fare il prestatore di ultima istanza, il governo e la Federal Reserve avevano lanciato un’immane iniezione di liquidità che riuscì in tempi relativamente brevi a spegnere l’incendio. Per l’Europa ci sarebbe stato ancora invece da soffrire a lungo, a causa dell’eccesso di regole che ingessava la Bce e la cecità del partito dell’austerity a trazione tedesca, incapace di elaborare le necessarie politiche anticicliche.

Il rispetto dogmatico del rigore finanziario avrebbe trasformato la crisi del debito greca in una calamità in grado di mettere in pericolo l’esistenza stessa dell’euro. L’ondata sovranista che monta oggi in Europa è soprattutto la conseguenza di quelle scelte, o non scelte, che ancora causano squilibri nel vecchio continente.

Allora Reykjavik e oggi Parigi: mobilitazioni dal basso

Il fenomeno dei gilet gialli è solo l’ultimo tassello della rivolta dal basso che sta squassando l’Occidente. Dieci anni fa non si parlava ancora di “populismo” ma si registrò la prima significativa mobilitazione di popolo come conseguenza della crisi economica.

In Islanda iniziarono infatti le prime manifestazioni di piazza contro il governo e i banchieri che avevano affondato l’economia del Paese nordico con giochi disinvolti su quei “titoli tossici” diventati carta straccia. Il 26 gennaio 2009 sia l’esecutivo che il sistema creditizio di Reykjavik collassarono sotto il peso delle loro scelte. Il primo ministro Geir Haarde fu costretto alle dimissioni. Macron non ci pensa nemmeno. Ma le responsabilità del malessere della Francia non sono certo tutte sue.

Da Obama a Trump: qual è stato il vero cambiamento?

Il gennaio 2009 è anche il mese del giuramento di Barack Obama, il primo presidente di colore degli Stati Uniti. “Change”, cambiamento, fu la parola d’ordine della sua campagna elettorale. L’oppositore, John McCain, era il perfetto erede dell’establishment neo-con che aveva sostenuto George W. Bush negli interventi in Medio Oriente.

Obama ribatté con un progressivo disimpegno dagli scenari internazionali e con la green economy. Eppure, pragmatico com’era, proseguì e concluse il lavoro iniziato dalla precedente amministrazione per porre fine alla crisi. Più difficile fu tenere la barra dritta su un minore coinvolgimento delle truppe Usa, come dimostrò la vicenda libica.

Oggi alla Casa Bianca c’è Donald Trump, una figura di vera rottura che, col disimpegno dalla Siria e la richiesta di una riforma della Nato, è andato molto più oltre nel cercare di strappare agli Usa le mostrine di “poliziotto del mondo”. Il boom economico del quale gode ancora Washington è, però, in larga parte frutto del lavoro di Obama.

Mosca contro Kiev: dalla guerra del gas alla guerra civile

Nel gennaio 2009 si consumò l’ennesimo atto della “guerra del gas” tra Russia e Ucraina. Incolpando Kiev di non pagare il dovuto, la Russia chiuse i rubinetti, com’era già successo in passato. A pagarne le conseguenze furono anche i clienti europei, che ricevono il gas naturale tramite i gasdotti che attraversano l’Ucraina, allora governata dall’europeista Viktor Yushchenko. L’anno dopo sarebbe salito al potere a Kiev un presidente filorusso, Viktor Yanukovic, che avrebbe riportato il Paese nell’orbita del Cremlino.

Oggi, a cinque anni dalla deposizione di Yanukovic e l’ascesa al potere di Poroshenko, l’Ucraina è tornata vicina al blocco Nato. E la guerra non è più economica ma è guerra vera, tra il governo centrale e le province separatiste filorusse dell’Est. 

Dieci anni fa la Siria era una “tigre araba”

A non cambiare mai è l’instabilità del Medio Oriente. Nel gennaio 2010 sono passati quasi sette anni dall’invasione statunitense dell’Iraq e Baghdad, dopo i violenti attentati del mese precedente, inizia ad incamminarsi verso un periodo di relativa stabilizzazione. Sul Paese straziato si sarebbe abbattuto pochi anni dopo il flagello dello Stato Islamico.

C’era invece una nazione araba che stava godendo di un boom economico incredibile, con un Pil triplicato in dieci anni e un tasso di disoccupazione dell’8%: la Siria. Oggi, dopo una devastante guerra civile, la Siria è in macerie.

Nella striscia di Gaza, con la “marcia del ritorno”, non si fermano gli scontri tra Hamas e le forze israeliane, che dieci anni fa conclusero l’operazione “Piombo fuso”, che costò 1.200 vittime palestinesi.

Buon compleanno, Bitcoin

Il 3 gennaio 2009 il misterioso Satoshi Nakamoto “minò” i primi Bitcoin e chiuse il “blocco numero 0”, il primo della catena che ancora oggi lega tutte le transazioni della criptovaluta più scambiata al mondo, che ha da poco festeggiato i primi dieci anni.

Il bilancio è difficile da tracciare. I massimi storici di appena alcuni mesi fa sono lontani, l’interesse della finanza tradizionale sembra scemato, così come la possibilità che Bitcoin diventi una moneta tout-court. Eppure quella delle criptovalute è una storia ancora tutta da scrivere: le possibili applicazioni future della tecnologia blockchain continuano a far discutere ed evocare scenari sempre nuovi. 

Da Benedetto a Francesco, equilibri che cambiano

Nel gennaio 2009 Papa Benedetto XVI revocò la scomunica ai quattro vescovi ultratradizionalisti ordinati illegittimamente da Marcel Lefebvre il 30 giugno 1988. L’atto del “perdono pontificio” suscitò l’ira della comunità ebraica per le dichiarazioni revisioniste fatte da uno di loro, il britannico Richard Williamson.

Oggi per l’ala più conservatrice del clero è invece il momento di tornare in trincea contro il nuovo pontefice, Francesco, anche con colpi bassi, come il memoriale di Viganò che lo accusa di aver coperto gli abusi sessuali commessi dall’arcivescovo statunitense McCarrick. Lo scontro tra sovranisti e globalisti è entrato anche in Vaticano.

Berlusconi, in campo allora come oggi

Nel gennaio 2009 in Italia Silvio Berlusconi era al governo per la quarta volta e incassava la fiducia su un decreto contenente le prime misure per contrastare la crisi finanziaria. Un’esperienza che si concluse bruscamente nel novembre 2011 con il Paese sull’orlo del default (e fu nondimeno il secondo esecutivo più longevo della storia della Repubblica). Fu l’ultima volta che il Cavaliere mise piede a Palazzo Chigi.

Oggi Forza Italia ha perso molti consensi e l’area del centrodestra ha trovato un nuovo leader in Matteo Salvini. Eppure il Cavaliere, ormai ottantaduenne, ad andare in pensione non pensa affatto e annuncia la propria candidatura alle elezioni europee.

Vedi: La 10 years challenge di Agi. Com'era il mondo e com'è
Fonte: estero agi


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