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Jovanotti, Marracash e le le altre uscite della settimana

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AGI – Jovanotti regala ai suoi fans questa coinvolgente esplosione di colori; Marracash sforna un disco intimo e straziante, dimostrando non solo di essere a ben ragione considerato il primo della classe rap italiana, ma anche che il rap può essere qualcosa in più che un esercizio di stile. Mobrici mette giù un disco eccezionale, così come il nuovo pezzo di Giancane, che firma la sigla della serie di Zerocalcare. Male gli ex X-Factor Casadilego e Vergo, benissimo Carucci e Trabace. Chicca della settimana: il disco di Lamine.

Jovanotti – “Il boom”

Un canovaccio di colori, di suoni, di parole, come un quadro di Pollock in musica. Dentro questo brano, magistralmente prodotto dal maestro Rick Rubin, ritroviamo il Jovanotti che si diverte ancora a sperimentare con la musica non solo in termini di accordi, melodie, generi, ma proprio di concetto. Altro che “Ragazzo fortunato”, Jovanotti è un ragazzo, anche oggi che si porta con una scioltezza invidiabile i suoi 55 anni, bravo, soprattutto bravo. Non si è mai accomodato su una hit, non ha mai concesso contentini al proprio pubblico, che magari se ne sarebbe anche saziato, colmo d’amore per lui com’è giusto che sia; ma ha invece sempre portato avanti una sorta di filosofia sciamanico/musicale, Jovanotti, anche in questa nuova “Il boom”, con le sue canzoni tenta sempre di migliorare un pezzettino di mondo, anche solo pochi centimetri di mondo, pochi istanti di mondo, anche quando quelle canzoni sono state concepite magari solo per farci ballare, come condivisione del proprio mai smarrito divertimento.

Marracash – “Noi, loro, gli altri”

Diremmo “torna Marracash” se non fosse che non l’abbiamo mai sentito distante, assente, e non solo perché nel valzer dei featuring nei dischi rap ce lo siamo ritrovati in ben più di un’occasione, ma soprattutto perché Marracash rimane lì nel cielo, stella cometa di un’intera scena che guarda a lui, a ben ragione, come modello. In questo “Noi, loro, gli altri” il rapper si denuda in maniera totale, mostra le proprie cicatrici senza vergogna, ma soprattutto fa a pezzi la retorica machista che ha infettato tutta una nuova generazione di rapper che aprono la bocca, le danno fiato, ma non esce nulla. Anzi, al contrario, Marracash canta le proprie malinconie, le proprie incertezze, la propria visione lucidamente sconfortante ma estremamente poetica della vita.

Quella che propone in realtà è proprio una celebrazione, che a tratti sa quasi di liturgico, della propria anima; rap orchestrale, magistrale, definitivo, un passo più avanti questo disco c’è un abisso pop, una serie di suoni e parole rigettati in mare come fossero da buttare, il nulla. “Noi, loro, gli altri” è semplicemente e meravigliosamente straziante e Marracash ha un’idea di musica che rappresenta l’avanguardia del rap, sotto ogni punto di vista, soprattutto contenutistico. È il primo ad aver capito che i giochi di parole tipici del genere celano una potenza enorme, devastante, catastrofica; il primo a crescere, a farsi grande, a mettere da parte i duelli all’ultimo style, a considerare la musica il punto di arrivo a qualcosa e non il mezzo per arrivare a qualcosa, a sentire bruciare dentro la necessità di maturare, di fare i conti con se stesso, di risolversi in qualche modo. Il primo. Punto.

 

Mobrici – “Anche le scimmie cadono dagli alberi”

Non poteva esserci esordio solista migliore per Mobrici, non solo perché questo suo “Anche le scimmie cadono dagli alberi”, elogio all’imperfezione umana di matrice giapponese, è un bellissimo disco, ma perché l’ei fu Canova di suo non ci mette solo cognome e faccia in copertina, fuori, ma, dentro, tutta una condensa di dubbi, incertezze, paure, disavventure, il proprio passato, il futuro che vorrebbe e la forma dell’amore che desidera.

Tutto il se stesso del quale dispone insomma, ogni singolo angoletto di umanità, utilizzando una poesia che ti annienta, ti imbambola, ti obbliga alla riflessione. Anche a te è successo quello che è successo a lui, anche tu hai incontrato quella persona, poi l’hai abbandonata per strada e ora non sai più nemmeno dove sta, anche tu hai amato, hai sofferto, hai fatto l’amore senza amore, stando dall’una o dall’altra parte della barricata; e allora capisci che Mobrici in realtà non canta l’amore, ma usa l’amore come mezzo per raccontare se stesso e la propria esistenza, che lo utilizza come unità di misura, come metafora, nemmeno tanto velata, per provare a spiegare i meccanismi di questo motore che ci spinge come palline impazzite da un lato all’altro della vita, rimbalzandoci addosso con un senso che non capiremo mai.

Anna – “Balaklub – What Up”

È un incontro felice quello tra ANNA, la giovanissima rapper che ha conquistato le attenzioni della scena italiana (e non solo) con la sua “Bando” l’anno scorso, e Young Miles, che si è occupato della produzione di questo suo nuovo singolo. Se da un lato dobbiamo allertarvi sul fatto che anche le rapper donna, chissà poi per quale motivo, si stanno avventurando sempre di più in questo immaginario da Bronx farlocco, vagamente black, sicuramente ridicolo; dall’altro non possiamo fare a meno di constatare quanto l’idea di buttare il rap su beat abbastanza spinti, anche se vecchia come il cucco, comunque risulti estremamente funzionante. “BALAKLUB” non stimola quella fascinazione globalmente scattata per “Bando”, ma forse solo perché “Bando” spingeva di più. Speriamo che nelle prossime puntate, oltre a farci ballare, si spinga anche a dirci qualcosa che non sia una parodia italiota di un film di Spike Lee, perché altrimenti sai che noia.

Giancane – “Strappati lungo i bordi”

Brano che apre la (semi)omonima serie animata firmata da Zerocalcare e che meglio non poteva disegnare i contorni di questa comune nostalgia che poi il fumettista romano mette sul video. Perché in fondo la poetica di Giancane e quella di Zerocalcare si incastrano perfettamente, entrambi celebrano e al tempo stesso dissacrano la nostra umanità, specificatamente italiana, specificatamente romana se vogliamo. Giancane lo ha sempre fatto nella sua carriera, con pezzi come “Ipocondria” e “Vecchi di merda”, che lo hanno reso a ben ragione una star dentro i confini del raccordo anulare; oggi però, forse trascinato dalla bella ed estenuante nostalgia di Zerocalcare, estenuante proprio perché a prodotti di un certo tipo non ci siamo abituati, si supera, “Strappati lungo i bordi” è probabilmente il suo miglior pezzo, la naturalezza con la quale ci mette su carta, su musica, stracciandoci poi, appunto, non “lungo i bordi” ma proprio la testa, risulta a tratti disarmante, meravigliosamente disturbante.

È una ballad dagli intenti quasi punk, un pugno allo stomaco, una birra scesa male, che c’ha il sapore della strada, come se te la fossi ciucciata direttamente da dentro una buca sulla Prenestina; ed è proprio per questo meravigliosa, perché unisce con una linea, seppur sghemba, l’epica alla normalità, rendendoci tutti eroi delle nostre vite.

Maurizio Carucci – “Sto bene”

Si può avere paura di stare bene? Chiaro, è una cosa comune a tutti i timorosi, in generale, che avendo paura di stare male sviluppano anche un certo timore nello stare bene, in quanto sanno benissimo che lo stare bene finisce e, solitamente, anche troppo presto. Non ricordiamo però di canzoni che fossero riuscite ad inquadrare per bene questa sensazione di disagio perenne, quella necessità di camminare rasenti ai muri per evitare cattive sorprese rendendosi perfettamente conto di quanto questo sia sciocco, inutile, quanto sia una debolezza che potremmo risparmiare alla nostra già martoriata esistenza. Carucci, cantante degli Ex-Otago in missione discografica esplorativa solitaria, ci riesce e bene con il romanticismo che contraddistingue da sempre il suo scrivere.

Young Signorino – “Domani piangerò ancora”

Un viaggio nella malinconia di un artista decisamente originale, unico, del nostro panorama musicale. Un ragazzo che ha capito di conservare dentro una ricchezza, anche se purtroppo un po’ cupa, un po’ oscura, e di regalarcela. Questo EP è molto piacevole all’ascolto ma serve prepararsi ad una passeggiata in luoghi della mente malconci, efferati, quegli angoli bui che nascondiamo tutti da qualche parte e che vorremmo dimenticarci di avere e che Young Signorino, con la poetica e l’idea di musica che preferisce, invece, ci canta. Non sarà sempre tutto perfetto, tutto pulito, tutto in ordine, tutto lineare, ma è tutto sempre molto onesto.

Cicco Sanchez feat. Casadilego – “Ora o mai più”

Brano che si fa ascoltare ma che resta sempre lì dov’è. Niente di nuovo sotto il cielo per quel che riguarda il sound, rap poppizzato che negli ultimi due anni stiamo ascoltando in tutte le salse, nemmeno il testo è granché illuminante, questa ripresa dell’”Odi et amo” è snervante, noiosa, trita e ritrita, nonché anche vagamente fraintesa; roba che tra “Ora o mai più” sceglieremmo senz’altro “mai più”. La vincitrice dell’ultima edizione di X-Factor sta proprio vagando senza meta in un deserto discografico, la piazzano un po’ ovunque a fare la Mara Sattei con le sembianze di Billie Eilish, ma risulta sempre evidentemente spaesata. Non ne mettiamo in dubbio il talento, sarebbe ingeneroso, ma c’è da lavorare sul carattere, sulla strada da intraprendere con questo progetto, perché quella che sta camminando al momento non porta da nessuna parte.

Populous feat. Vergo – “Demone”

E si che ritenevamo Populous anche uno bravo, questa “Demone” è una sorta di sbavatura inutile in una discografia di tutto rispetto. Sarà forse la vicinanza a Vergo, per chi non se lo ricordasse, ex concorrente di X-Factor, autore del capolavoro al contrario che è “Bomba”, una robaccia che abbiamo dovuto pagare un’intera equipe di psicologi per dimenticarcene. Questa “Demone” racchiude una tempesta di brutture che non si sa nemmeno da che lato guardarla, come quando Fantozzi mostra ai colleghi la foto della nipotina appena nata; fosse possibile televotarli fuori da Spotify, nonostante avversi per principio alla pratica del televoto, avremmo già il telefono in mano.

Angelo Trabace – “Sbarco”

Un attimo di quiete in questo universo trafficato come il raccordo anulare. Angelo Trabace lo conosciamo come pianista che ha collaborato con artisti del calibro di Dimartino, Vasco Brondi o Francesco Bianconi, ma non è mai stato un mero esecutore, anzi, ha sempre approcciato ogni progetto con il tocco e la verve dell’autore vero e proprio. Questa “Sbarco” è una melodia ricca di guizzi, così come ci ha sempre abituati, ma si spinge anche oltre, in una terra dove non c’è nemmeno bisogno di parole, come uno sbarco, appunto, con gli occhi invasi dalla bellezza. Grazie.

Sgrò – “Macedonia”

Ritorno alle sonorità da indipendenti veri, a quel sound trascinante, a quella poetica fresca e diretta, fatta di immagini che si materializzano davanti agli occhi, ma perfino con un filo di struttura in più. Una “Macedonia” in effetti, di colori, parole e, soprattutto, storie, che Sgrò, che è un ottimo cantautore, impreziosisce con un timbro accattivante dalla sfumature estremamente eteree. Il quotidiano mescolato tra le nuvole, una ricetta musicale gourmet, per palati fini ma anche per chi, semplicemente, ha fame di roba buona. Bravo.

Scrima – “Generazioninsta”

Dipinto divertente che pone un accento sulle sconcezze di una generazione evidentemente perduta tra le onde di questa social(ità) che ogni giorno ci priva di un pezzettino di realtà. Bene.

Lamine – “Da soli mai”

Disco eccezionale, da mestierante vera, dove i lampi, i guizzi, le impennate spericolate, si alternano ad una precisione nella produzione che appare quasi maniacale, certamente contemporanea, sottile e allo stesso tempo intensa. A tenere in piedi lo scheletro del disco una voce calda e sensuale, eppure alle volte quasi distaccata, una di quelle voci che hanno la straordinaria capacità di stare allo stesso tempo dentro e fuori il brano. Non un pezzo di questo disco d’esordio ha una nota fuori posto, un neo, un inciampo, una leggera flessione, mai. È un disco perfetto e Lamine è un fenomeno vero.

Varisco – “Bambino”

Una storia d’amore drammaticamente vissuta dall’adulto e sbugiardata dalla semplicità del parlato di un bambino, idea illuminante. Il pezzo (d’esordio) di Varisco ha un’anima decisamente blues ma sono azzeccate, notevoli, le infiltrazioni elettroniche che alla fine rendono il prodotto decisamente accessibile, eccentrico, quasi pop, ok, ma raffinato, intrigante, avvolgente. Ottimo inizio, welcome to the jungle.

Source: agi


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