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Italiani popolo di 'formiche' ma con il coronavirus salvare i risparmi si fa dura

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Italiani popolo di ‘formiche’, ma senza entrate, congelate dalla quarantena, la loro capacità di resistere rischia di essere messa a dura prova. I dati sulla ricchezza delle famiglie della Banca d’Italia testimoniano che a fine 2017 quella netta era pari a 9.743 miliardi di euro, 8 volte il reddito disponibile. Per 5.246 miliardi di euro costituita dal valore degli immobili, per 4.374 miliardi da attività finanziarie e per 926 milioni da passività. Un dato superiore a quello della media degli altri Paesi Ocse e che potrebbe rappresentare oggi un ‘cuscinetto di sicurezza’ per affrontare la terza grande recessione del millennio. 

A differenza di quanto accaduto nel 2008, dopo la grande crisi finanziaria, e nel 2011, con quella dei debiti sovrani, gli italiani arrivano però all’appuntamento con l’emergenza coronavirus dopo aver dato fondo a buona parte del loro ‘tesoretto’. Alla fine del 2018, la ricchezza finanziaria delle famiglie tricolori, sottolinea il Censis, era ancora dello 0,4% inferiore a quella detenuta nel 2008. “Molta la ricchezza ereditata dal passato, poca la nuova aggiunta di recente”, commenta il Centro studi.

Gli esperti non si sbilanciano su quale atteggiamento assumeranno le famiglie italiane per assorbire questa nuova ‘botta’, anche se quanto accaduto in passato può fornire qualche indicazione. “Dopo le crisi del 2008 e del 2011”, osserva Giorgio Di Giorgio, titolare della cattedra di Economia monetaria alla Luiss, “si è registrato un drastico calo degli investimenti in reddito fisso, complice il calo dei rendimenti, e un’impennata della liquidità”. Ai ‘Bot people’ si sono sostituiti i ‘cash people’: circa un terzo della ricchezza finanziaria complessiva è attualmente composto da conti correnti e circolante.

La nuova crisi, aggiunge, “potrebbe rendere ancor più forte la necessità di stare liquidi. L’emergenza potrebbe comportare riallocazioni importanti sul mercato del lavoro. Lo shutdown pesa sulle imprese, soprattutto su quelle più piccole, che potrebbero finire per non riaprire più. I lavoratori meno protetti potrebbero essere spinti a liquidare le loro posizioni più rischiose, anche rimettendoci, per costituirsi un ‘buffer’ che consenta loro di far fronte alla perdita di reddito disponibile“.

Il punto cruciale è però quanto possa durare la resistenza. “I poveri”, osserva Di Giorgio, “sono già in difficoltà e a breve lo saranno tutti quelli che lavoravano a giornata, in nero, nei ristoranti, nei bar, nei negozi. L’impatto della crisi sulla riduzione della ricchezza dipende soprattutto dal mercato azionario, ma anche con un calo del 30 per cento, in media, dato il peso di azioni e fondi nei portafogli, sarebbe non superiore a un 8-10 per cento. Cifra importante”, conclude l’economista, “ma secondaria rispetto alla ‘fame’ diffusa che mi aspetto a breve se non si riaprono le attività o non si riuscirà a trasferire soldi alle famiglie entro 10 giorni“. (AGI)

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Fonte: economia agi


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