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No triv, parla il cofondatore: subito la moratoria sulle trivelle.

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di Civismundi

Ha destato un vivo allarme nel mondo ambientalista la mancata proroga della moratoria del blocco alle trivellazioni per la ricerca e la coltivazione di idrocarburi nel mare e nel sottosuolo del nostro Paese. Il nostro giornale ha seguito da vicino lo scambio polemico tra i Verdi e il Movimento Cinque Stelle. Abbiamo pubblicato ieri il comunicato diffuso congiuntamente da venti associazioni siciliane. Oggi vogliamo parlarne con il co-portavoce del Coordinamento Nazionale No-Triv, Enrico Gagliano, attivista, cofondatore e Co-Portavoce del Coordinamento Nazionale No Triv.

Il Professor Gagliano si occupa di energia rinnovabile anche nella vita professionale, è infatti docente a contratto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Teramo (Master II Livello in Diritto dell’Energia e dell’Ambiente). “ Dal decreto “Milleproroghe” – gli chiediamo – approvato a fine dicembre dal governo, è scomparso l’articolo 20, presente nella bozza preparatoria, che prorogava il termine della moratoria, prefigurando perfino un blocco generalizzato di nuove attività e l’abbandono del Pitesai (il piano per individuare le aree idonee per destinarvi le attività di ricerca e di estrazione di petrolio e gas). Cosa c’è, secondo Lei, dietro questa sparizione?

La mancanza di condivisione – risponde Enrico Gagliano – di una misura così drastica da parte di tutte le forze che sostengono il Governo, evidentemente. La proposta veniva dal Ministro Patuanelli, appoggiato dal collega Costa, dopo mesi di silenzio sull’andamento dei lavori di preparazione del Piano per la Transizione Energetica delle Aree Idonee (Pitesai) e dopo le vane rassicurazioni della Sottosegretaria Moriani, datate 9 luglio 2020, che, in risposta ad un’interrogazione di alcuni deputati del M5S, aveva dichiarato che il Pitesai sarebbe stato sottoposto a Valutazione Ambientale Strategica nell’ottobre 2020 e cheil Ministero dello sviluppo economico, nell’ambito delle proprie competenze, dedicherà la dovuta attenzione affinché si raggiunga in tempi brevi l’atteso e importante obiettivo’.

Niente di più facile che, tenuto conto della complessità del Piano, Mise e Minambiente si siano letteralmente “incartati” e che per venir fuori da una situazione complicata Patuanelli abbia deciso di giocarsi la carta del blocco, ben sapendo che la proposta sarebbe stata accantonata e che avrebbe potuto rilanciare in un secondo round (proposta di legge?).

Nessun piano normativo organico

Le chiediamo allora, Professore, quali conseguenze può avere l’accantonamento della proproga? È giustificato l’allarme per una possibile ripresa delle trivellazioni? Mentre la scadenza del termine per redigere il “piano delle aree” è fissata nel 13 febbraio di quest’anno, la sospensione dei permessi di ricerca scadrà in agosto. Sarebbe, dunque, sufficiente prorogare, con un nuovo provvedimento, il termine di scadenza per l’adozione del piano da parte dei ministeri competenti (MISE e Ambiente) da febbraio ad agosto. C’è tutto il tempo. C’è anche la volontà politica?

Procediamo per ordine. – dice Gagliano – È esatto quanto Lei afferma: una cosa è il termine per l’adozione del Piano (13 febbraio 2021), altra cosa è il termine della sospensione dei procedimenti amministrativi, inclusi quelli di valutazione di impatto ambientale, relativi al conferimento di nuovi permessi di prospezione o di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi (13 agosto 2021).

Se sia sufficiente una proroga dei termini per l’adozione del Piano, o meno, dipende da quanto siano andati avanti i lavori di stesura del Pitesai. Non dimentichiamo i necessari passaggi della Valutazione Ambientale Strategica, prevista ma non avventa nell’ottobre 2020, e del passaggio in Conferenza Unificata. Nessuno sa dell’esistenza di un eventuale crono-programma dei lavori e se stato rispettato.

Sul ‘capitolo’ volontà politica ci sarebbe molto da dire. Due anni e due governi con maggioranze diverse non sono bastati per definire una quadro normativo certo ed organico delle attività estrattive nel nostro Paese: il Pitesai è solo un tassello di un mosaico che non si riesce a comporre da anni.

Le responsabilità sono di un Esecutivo ostaggio delle major fossili, di un Parlamento svuotato delle sue prerogative costituzionali, dei partiti che hanno perso consapevolezza del loro ruolo e forse anche di noi cittadini che disertiamo da troppo tempo i luoghi della politica”.

La scarsa credibilità di un ministro

Come giudica le recenti dichiarazioni del ministro Patuanelli, che dice di voler “superare l’idea” del PiTESAI, cioè della mappa delle aree idonee agli impianti di ricerca di idrocarburi, per vietarli dovunque? È una buona notizia?

Sul punto il Ministro Patuanelli non è credibile – sostiene il Professor Gagliano – tant’è che ne abbiamo chiesto le dimissioni: può un Ministro che non è stato in grado di far rispettare la scadenza del Pitesai, riuscire a mettere d’accordo le composite forze che sostengono il governo su una proposta molto più di rottura rispetto al Pitesai? Ne dubito fortemente.

Ricordo le prese di posizione ufficiali del suo Ministero sulla disapplicazione delle sospensioni e perfino del Pitesai alle Regioni a Stato Speciale; quindi, in particolare alla Sicilia in cui la Regione ha accolto nuove istanze di ricerca idrocarburi in Val di Noto.

Anche sul sistema perverso delle proroghe automatiche delle concessioni a estrarre il Ministro non ha assunto alcuna iniziativa politica. Clamoroso il caso della “Concessione Val d’Agri”, scaduta il 26 ottobre 2019, dove Eni oggi continua a estrarre 65 mila barili di petrolio al giorno nonostante il MISE non abbia ancora accolto l’istanza presentata un anno e mezzo fa”.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza

Qual’è, chiediamo, la sua opinione sul PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) che ha sollevato molte proteste, soprattutto in relazione al CCS, Carbon Capture and Storage, dell’ENI a Ravenna”?

Siamo già alla terza bozza del Next Generation Italia – ci dice Gagliano – Il nome del Piano da quasi 210 Miliardi di euro lascerebbe intendere che si tratta di un qualcosa pensato e scritto per le generazioni future. Non è così. Malgrado le correzioni apportate, risultano inadeguate le risorse destinate al Welfare (sanità, scuola, lavoro, inclusione sociale).

Gli stessi fondi destinati alla Mission Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica’ sono stati ridotti di 7 miliardi rispetto a quelli ipotizzati nella prima bozza del Recovery Fund.

La ciliegina sulla torta sono proprio i 6,3 miliardi di euro destinati a finanziare i progetti su CCS e raffinerie inseriti nel Piano, vere e proprie elargizioni a favore di realtà che vantano fatturati stratosferici, che godono di ingenti sussidi ambientalmente dannosi e che hanno già messo le mani sui fondi della transizione energetica: lo dimostra il fatto che il Governo ha scelto manager di Eni e Confindustria per gestire i negoziati del G20.

Se aggiungiamo i 2 miliardi destinati alla filiera dell’idrogeno, controllata dai petrolieri e la totale assenza di risorse per le bonifiche nei SIN (es.: Gela, Milazzo, Priolo, ecc.), il quadro si tinge di nero.

L’illusione dell’autosufficienza energetica

L’estrazione di idrocarburi sul territorio nazionale potrebbe portare il Paese verso l’indipendenza energetica?

Le dimensioni dell’indipendenza – Enrico Gagliano non ha esitazioni – e della sicurezza energetica non sono condizionati dalla impossibilità di estrarre idrocarburi ‘nazionali’ e questo per una serie di ragioni. La Strategia Energetica Nazionale (SEN) 2017 va in altra direzione, tant’è che in essa, a differenza della SEN 2013, degli idrocarburi nazionali non v’è traccia: l’apporto delle produzioni ‘nazionali’ alla domanda interna di energia sarebbe in singola cifra percentuale.

In secondo luogo, una volta estratti gli idrocarburi, poi trasformati e resi disponibili per il mercato globale, non hanno nazionalità: dopo aver versato allo Stato canoni concessori e royalties tra le più basse al mondo, chi li estrae può farne ciò che meglio crede.

Per alleggerire il peso economico dell’import e creare anche nuovo lavoro esistono rimedi più efficaci: ridurre gli sprechi, efficientare ed incrementare la produzione e l’autoconsumo da rinnovabile”.

Il ruolo dei sindacati

Gli interessi petroliferi nel Mediterraneo sono ingentissimi, nel 2018 hanno sviluppato tre miliardi di euro di valore aggiunto, con trentamila addetti. La posizione dei sindacati è molto delicata e appare sostanzialmente contraria alla fine delle ricerche petrolifere, come ne valuta il ruolo e come si potrebbe evolvere?

Questa la risposta: “Se per sindacati intendiamo quelli maggioritari, concordo con Lei. Soprattutto quelli dei settori interessati da un’eventuale moratoria sono storicamente avversi a qualsiasi provvedimento che vada nella direzione di una limitazione dell’impiego delle fonti fossili: si è già verificato col Referendum No Triv del 2016 e con il Milleproroghe 2019 (quello del Pitesai, per intenderci).

A differenza dei sindacati francesi e danesi, ad esempio, quelli italiani sembrano essersi arroccati sulla difesa di interessi corporativi mentre in realtà potrebbero essere protagonisti di una grande stagione di cambiamento per la conversione ecologica del sistema produttivo, la sola in grado di restituire dignità al lavoro e di mettere in secondo piano i profitti delle major del gas e del petrolio.

Edison lascia il passo ad Energean

Edison, il colosso francese delle ricerche di idrocarburi, ha deciso di vendere i suoi titoli minerari italiani alla società inglese Energean, la quale ha dichiarato che la produzione partirà nell’ultimo trimestre del 2021. Come valuta quest’operazione?

Edison – risponde Enrico Gagliano – ha deciso da tempo di dismettere le attività E&P per concentrarsi su settori ritenuti più strategici e più coerenti con i processi di trasformazione/transizione in atto nel mondo dell’energia. Ad un operatore che esce dal settore ne subentra purtroppo un altro.

L’esordio dell’AD di Energean è fedele ad un copione ricattatorio visto e rivisto (‘… però poi il Governo italiano deve essere chiaro: deve consentirci l’investimento sui giacimenti in modo da permettere la sicurezza dei posti di lavoro … se il Governo non ci consentirà di investire, non possiamo garantire nulla’), con l’aggravante determinata dall’ambizione di Energean di diventare il primo produttore indipendente di gas nel Mediterraneo.

L’acquisizione delle attività di E&P di Edison porta nuova linfa a progetti come “Rospo Mare”, nell’offshore medio-adriatico, “Vega” e “Ibleo Area” nel Canale di Sicilia.

Lo scenario in assenza della moratoria

Un’ultima domanda: se la moratoria non venisse prorogata, da agosto potrebbero essere molti (forse una novantina) i permessi per le trivellazioni, sia in mare che sulla terraferma. Sarebbe interessato l’intero territorio nazionale, ma le regioni più a rischio sono la Sicilia e quelle che si affacciano sull’Adriatico e lo Ionio, davanti alle cui coste le ricerche potrebbero spaziare per migliaia di chilometri quadrati. Quali sarebbero le situazioni più critiche? Cosa rischia, in particolare, la Sicilia?

E l’ultima, esauriente risposta: “In assenza di moratoria, il 13 agosto 2021 verrebbe meno la sospensione dei procedimenti amministrativi, inclusi quelli di valutazione di impatto ambientale, relativi al conferimento di nuovi permessi di prospezione o di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi

Parto dall’Adriatico e dalle due istanze di permessi di prospezione della Spectrum Geo’ Ltd per circa 30.000 kmq, che hanno già avuto il benestare del Ministero dell’Ambiente, oltre a 16 potenziali nuovi titoli per la ricerca.

In aggiunta a quelli esistenti, ulteriori potenziali tre permessi di ricerca li avremmo nel Golfo di Taranto ed uno nel canale d’Otranto.

Per quanto riguarda la terra ferma è particolarmente critica la situazione della Basilicata, con le sue 17 istanze di ricerca oggi in stand-by, il cui territorio, con i nuovi permessi sarebbe per il 65% interessato da servitù petrolifere, Val d’Agri e Tempa Rossa comprese.

Sempre restando su terraferma, sono ben 7 le istanze per ricerca che riguardano l’Abruzzo.

La questione “nuove trivelle” non interesserebbe soltanto le Regioni del Centro-Sud: sono 16 le istanze bloccate dal Milleproroghe 2019, i cui procedimenti potrebbero essere riavviati dal 12 settembre 2021.

La situazione della Sicilia merita un ragionamento a parte. Per la terra ferma, la sospensione dei procedimenti amministrativi delle istanze per la ricerca di gas e petrolio non c’è mai stata: ce lo ricorda quanto sta accadendo in Val di Noto. Per il MISE di Patuanelli, la Regione Siciliana può fare ciò che meglio crede.

Nel Canale di Sicilia riprenderebbero il loro cammino i procedimenti di quattro istanze, di cui due di Eni/Energean.

In tutti i casi parliamo di progetti il cui sviluppo sarebbe in chiaro e netto contrasto con il perseguimento dell’obiettivo “decarbonizzazione” condiviso dai Piani dell’Unione Europea e dei Paesi membri, Italia compresa”.

Molto bene, Professore, abbiamo le idee più chiare dopo aver parlato con Lei e per questo la ringraziamo molto.