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In Serie A sono finiti i capitani-bandiera? 

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Dovremmo sempre guardare ai ragazzi. Nello sport giovanile, il capitano è ancora il capitano: chi porta la fascia la merita, se l’è conquistata, ha qualche qualità e qualche onere in più. Eppure, pressato proprio dalle responsabilità, frenato dal ruolo nell’ennesimo rinnovo contrattuale, Mauro Icardi, si autodegrada.

Straniero fra gli stranieri

“E’ uno straniero fra gli stranieri”, protesta qualcuno puntando il dito contro l’identità italica perduta del nostro calcio e masticando la parola “mercenario”. Ma non si può mai generalizzare, e tantomeno pensare che un argentino sia meno capitano di uno slovacco, come Marek  Hamsik, il capitano che ha lasciato Napoli in lacrime, dopo dodici anni di amore con la città, col pubblico, coi compagni, persino col presidente Aurelio De Laurentiis. Che lo acquistò per 5,5 milioni di euro dal Brescia a diciannove anni e lo ha rivenduto ai cinesi per 20 a trentuno. “Le porte per lui resteranno sempre aperte”, dice il patron. “C’è solo un  capitano”, grida il popolo, ricordando i 116 gol (miglior marcatore azzurro, persino di Maradona) e le 512 presenze (meglio anche di Bruscolotti).

L’esempio di Totti

Dopo il mitico Francesco Totti alla Roma, il capocannoniere dell’anno scorso all’Inter, Icardi: Luciano Spalletti si sta facendo la fama di ammazza-capitani. Ma è proprio l’emblema del calcio moderno: non guarda in faccia a nessuno, non fa sconti al passato e alla personalità, analizza solo i responsi numerici, mette in campo gli undici più funzionali. E il capitano, almeno come figura romantica, l’eroe di un tempo che fu, che ci ricorda i Rivera e i Mazzola, i Maldini e i Baresi, evapora, insieme a quell’altra parola arcaica, “bandiera”. Dove sono infatti questi personaggi legati ormai solo alle collezioni di figurine Panini di un’altra generazione? 

Giovani capitani (non tanto giovani)

Daniele De Rossi è sicuramente uno che ci tiene al ruolo, va fiero della sua esperienza giallorossa –  l’unica in carriera – dalle giovanili alla famosa fascia di capitano. Ma è classe ’83. Così come Giorgio Chiellini, classe ’84, che l’ha ereditata dall’emigrante Buffon e non ha certo paura del ruolo, peraltro alla Juventus. Come Sergio Pellissier (classe ’79) che, dal 2002, gioca al Chievo, e come Senad Lulic, il bosniaco della Lazio (classe 86). Tutti fulgidi esempi di massimo impegno per compagni e tifosi. Elementi da moltiplicare al quadrato per un sardo doc come Marco Sau, peraltro classe ’87, che ha fatto esperienza nel continente ma è tornato a casa, ed è orgogliosissimo della fascia nel Cagliari, bandiera della bandiera di quella magnifica isola.

Magari, fra i giovani, Andrea Belotti (classe ‘93), responsabilizzato dal Torino, è uno di quelli che più accetta la sfida della fascia di capitano. Ma una star più giovane, come Federico Chiesa, classe ’97, che pure è l’immagine della Fiorentina di oggi, mette subito le mani avanti: “Diventare una bandiera come Antognoni?  Credo che nel calcio attuale sia complicato”. Chissà, magari ci ripenserà, ma la fascia di capitano del povero Davide Astori gli pesa troppo anche solo come idea.

Vedi: In Serie A sono finiti i capitani-bandiera? 
Fonte: estero agi


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