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Il segreto ecosostenibile delle pecore di North Ronaldsay

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AGI – Nella lotta al riscaldamento globale ogni strumento è degno di attenzione, soprattutto se ecologico: gli scienziati sono ora al lavoro sulla dieta alimentare a base di alghe seguita da secoli dalle pecore scozzesi autoctone, che comporta un basso tasso di emissioni di metano.

Come noto, proprio questo tipo di emissioni di origine animale è responsabile di un’importante quota della crisi climatica. È quindi considerato un modello di allevamento sostenibile quello che nel lontano 1832 sull’isola North Ronaldsay, nell’arcipelago scozzese delle Orcadi, è nato come un esperimento azzardato, anche se in realtà le origini di questa specie risalgono probabilmente ad almeno 5 mila anni fa.

In base alla documentazione a disposizione, 200 anni fa i residenti hanno costruito una diga di 20 km intorno all’intera remota isola scozzese per tenere le pecore lontane dai loro preziosi terreni agricoli, innovando in materia di allevamento di ruminanti con una dieta a base di alghe. L’esperimento ha funzionato.

Costretta a vivere sulla battigia, l’ormai rara razza di pecore primitive dell’isola si è adattata a vivere quasi interamente senza erba. L’unico altro animale al mondo in grado di nutrirsi con i prodotti del mare è un’iguana delle isole Galapagos. “Erano abbastanza resistenti non solo per sopravvivere, ma per prosperare con quella dieta”, ha detto al Financial Times Michael Scott, impiegato della North Ronaldsay Sheep Court, l’ente che dal 19 secolo gestisce il gregge.

L’impresa sta ora attirando l’attenzione sulla popolazione lanosa di questa isola verde ma battuta dal vento all’estremità settentrionale dell’arcipelago delle Orcadi. Sfortunatamente per la scienza, nessuno è ancora stato in grado di misurare la produzione di metano delle pecore di North Ronaldsay.

In effetti analizzare le emissioni dei ruminanti non è mai un compito facile, a maggior ragione quando gli animali in questione sono quasi selvaggi, capaci di saltare su rocce scivolose; soprattutto, non amano essere rinchiusi. Ciononostante, negli ultimi dieci anni, gli scienziati dell’alimentazione sono diventati sempre più interessati all’uso delle alghe nei mangimi per il bestiame, in particolare per il loro potenziale di ridurre le emissioni degli animali del potente gas serra metano.

La dieta unica della pecora North Ronaldsay ha attirato per primo l’interesse del James Hutton Institute, un ente scozzese di ricerca alimentare. “Ci siamo quasi tutti ispirati al fatto che le pecore ovviamente stanno bene, quindi ci devono essere cose buone nelle alghe”, ha sottolineato Gordon McDougall, capo del gruppo di biochimica delle piante dell’istituto.

L’ente sta collaborando con Davidsons Animal Feeds, un importante produttore scozzese, per cercare di stabilire se gli integratori a base di alghe per altre pecore o bovini sono in grado di ridurre il metano che emettono durante la digestione dell’erba e di altri mangimi. I dati disponibili mostrano che alcune delle alghe originarie nell’area possono ridurre le emissioni.

Anche in Irlanda, l’autorità per l’agricoltura e lo sviluppo alimentare Teagasc sta effettuando prove di alimentazione di alghe su pecore e bovini per provare ad ottenere la riduzione del metano emesso dagli animali allevati per l’alimentazione umana. Uno studio dell’Università della California, pubblicato lo scorso marzo, ha rilevato che gli integratori dell’alga rossa Asparagopsis riducono il metano intestinale di oltre l’80% nei manzi. Se da un lato c’è un interesse sempre maggiore per le pecore mangia-alghe scozzesi, dall’altro a North Ronaldsay ci sono sempre meno isolani a poter prendersene cura, o meglio a mantenere il muro di protezione sulla riva.

Quella diga ha il più alto livello di protezione edile esistente in Scozia e per evitare il suo crollo la popolazione ha dovuto reclutare un guardiano part-time. Oltre a rappresentare un esempio più unico che raro di allevamento ecosostenibile, il montone di North Ronaldsay è molto apprezzato dai buongustai per il sapore della sua carne, derivante da una dieta esclusivamente a base di alghe e dal suo habitat in riva al mare, ma anche per la sua lana caldissima.

L’ovino selvatico, dalla testa piccola e dal peso che difficilmente supera i 25 chili, riesce a resistere al clima rigido degli inverni locali grazie allo strato superficiale di lana spessa e molto folta e a quello più interno morbido e molto fine. La tosatura viene effettuata esclusivamente a mano in modo da lasciare all’animale uno strato di lana di 3-5 centimetri, molto ricco di lanolina, che lo mantiene al caldo.

Source: agi


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