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Il risiko di Biden in Europa parte da BoJo 

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AGI – Parte da BoJo la prima missione all’estero di Joe Biden. Il 10 giugno (prima di presiedere il G-7 in calendario dall’11 al 13 giugno in Cornovaglia) vedrà il primo ministro britanno Boris Johnson “per confermare la duratura forza della ‘speciale relazione’ tra gli Stati Uniti e il Regno Unito”, sottolinea la portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki.

E poi il 13 giugno, prima del vertice Nato, sarà ricevuto nel castello di Windsor dalla regina Elisabetta II che in 70 anni di regno (il prossimo anno) ha incontrato tutti i presidenti americani tranne Lyndon Johnson.     

Prima di insediarsi alla presidenza, Biden aveva definito BoJo “un clone emotivo e fisico” di Donald Trump. BoJo non ama l’ideaologia dei dem americani, è agli antipodi della ‘cancel culture’ cha ha segnato una frattura profonda tra le due Americhe, Johnson è tradizione, è Impero, gioca sulla nostalgia dei ‘britons’ e su questo finora ha vinto tute la partite.

Biden è il democratico di lungo corso che si propone di rimettere l’America al centro delle relazioni internazionali (“Il viaggio sottolinea l’impegno dell’America per restaurare le nostre alleanze, rivitalizzare le relazioni transatlantiche, lavorare in stretta cooperazione con i nostri alleati e partner multilaterali per affrontare le sfide globali e proteggere gli interessi americani”). La ‘speciale relazione’ tra Washington e Londra è un matrimonio d’interesse. 

Il G-7 è un format insufficiente per il disegno del capo della Casa Bianca, vengono prima i rapporti bilaterali, oggi è il turno della coppia ‘BoJoe’, poi il pieno al summit in Cornovaglia, un saluto finale a Angela Merkel, una rassicurazione a Emmanuel Macron e un’attenzione al nuovo-vecchio arrivato Mario Draghi, l’uomo in rampa di lancio per diventare il punto di riferimento di una nuova leadership europea.

In mezzo, il diamante della Corona, la regina Elisabetta II, un secolo di storia, guerre, crisi, scandali, lutti, vittorie, sconfitte e l’assenza, per la prima volta, dell’uomo sempre un passo indietro, il principe Filippo di Edimburgo.

La strategia domina lo scenario. Il vertice Nato (il 14 giugno a Bruxelles) per Biden è la farina che serve a fare il pane, un’alleanza atlantica da schierare prima di tutto contro la Russia di Vladimir Putin nel tentativo di contenerla e spararla dalla Cina, l’affermazione del ruolo guida americano, senza le asprezze di Trump ma con un imperativo, la chiamata all’impegno contro l’alleanza tra Pechino e Mosca. Poi arrivano i dettagli, essenziali perché sono la politica delle nuove potenze emerse ed emergenti.

Prima di tutto la Turchia di Recep Tayyip Erdogan (che Biden vedrà il 14 giugno) con il suo espansionismo neo-ottomano, poi il paese che fa da cuscinetto tra l’Europa e il Cremlino, la Polonia. 

Su Questo spazio geografico corre la geopolitica e un gasdotto che divide Berlino e Washington, il Nord Stream 2, che porta il gas di Gazprom nelle case dei tedeschi. Il 15 giugno Biden partecipa al vertice Usa-Ue, preludio del nocciolo radioattivo della sua missione in Europa: Vladimir Putin.

Sulla scacchiera di Ginevra il 16 giugno c’è tutto l’arsenale che divide il Washington e Mosca. Un trattato dei missili a medio e lungo raggio da riscrivere, il controllo della proliferazione nucleare, i cyber-attacchi a aziende e istituzioni americane da parte di entità riconducibili alla Russia, la relazione troppo stretta tra lo zar del Cremlino e l’imperatore cinese Xi Jinping.

Separare la Russia e la Cina, a fasi alterne, è sempre stato il pallino della politica americana, il “Pivot to Asia” ha dominato la strategia del dipartimento di Stato. Fu Henry Kissinger insieme a Richard Nixon a inaugurarla con la diplomazia del ping pong.

Era la Cina di Mao Zedong, un paese molto diverso da quello attuale, era la Russia di Leonid Brezhnev, e c’era una guerra fredda letale, Altri tempi. La Cina era un pericolo ma non un avversario in grado di rivaleggiare per il primato mondiale.

Trump ha giocato la carta di Nixon al rovescio, avvicinandosi a Mosca in chiave anti-cinese. Il viaggio in Europa per Biden è fondamentale, avviene in un momento di riapertura dell’economia ma nello stesso tempo di arretramento della globalizzazione.

I cinesi si sono portati molto avanti nell’estrazione delle materie prime preziose per l’economia de 21esimo secolo. Al presidente americano serve un’alleanza forte per contrastare l’espansionismo di Pechino, serve l’Europa. 

L’Italia in questo risiko ha un’occasione unica, può influenzare gli equilibri nel Mediterraneo orientale dove è in corso un poker energetico di enorme importanza, i rapporti di Roma con l’Egitto sono un asset strategico, quelli con la Libia altrettanto.

Mario Draghi non a caso ha fatto la sua prima visita da premier all’estero in Libia e non a caso il primo ministro libico Abdelhamid Dabaiba era a Palazzo Chigi qualche giorno fa. C’è un triangolo tra Roma, Tripoli e il Cairo, Biden con ogni paese gioca le sue carte, è interessato a mettere un freno alla Russia, deve creare la condizioni per il negoziato tra Israele e i palestinesi per la soluzione dei due Stati, ha un problema con la Cina in Europa e in Africa. 

Ha bisogno dell’Unione, ha bisogno di chi è uscito dall’Unione e ha un compito difficilissimo, riunire l’Unione nel segno di una ritrovata alleanza atlantica. Ci riuscirà? 

Source: agiestero


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