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Il quarto potere al tempo dei social

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di Antonello Longo
direttore@quotidianocontribuenti.com

La Corte di Cassazione ha definitivamente assolto dall’accusa di diffamazione nei confronti della Fininvest il procuratore aggiunto di Firenze, Luca Tescaroli, il giornalista Ferruccio Pinotti e la casa editrice Rcs Libri, che nel libro “Colletti sporchi”, pubblicato nel 2008, hanno in sintesi accusato la holding familiare di Silvio Berlusconi di avere finanziato la mafia.
La trama descritta nel libro, dal significativo sottotitolo “finanzieri collusi, giudici corrotti, imprenditori e politici a libro paga dei boss”, segnala, con anni di anticipo, “l’invisibile anello di congiunzione tra Stato e mafia”.
La Suprema corte, confermando i giudizi di primo e secondo grado, non ha ravvisato l’intenzione diffamatoria, ma riconosciuto il legittimo esercizio del diritto di cronaca e d’inchiesta, nelle ricostruzioni dei “versamenti periodici di somme a titolo di contributo effettuati a ‘cosa nostra’ da persone fisiche appartenenti al gruppo Fininvest” o nel “coinvolgimento di Fininvest nel riciclaggio di denaro di provenienza mafiosa”, parlando senza mezzi termini di “fatti esposti in modo veritiero e senza travisamenti”.
Essendo stati tali fatti riconosciuti come veritieri, oltre ad una riflessione sulla nascita e lo sviluppo storico della cosiddetta “seconda Repubblica”, è bene anche considerare gli effetti che la corazzata mediatica di Berlusconi ha prodotto e continua ad esercitare in termini di orientamento dell’opinione pubblica e la sua influenza sull’abito culturale di molti italiani.
Il ruolo della libera stampa è vitale per la democraticità del sistema, per questo va stigmatizzato un atteggiamento tra i più ricorrenti nelle vicende che in questa fase della vita italiana, per motivi diversi, riempiono le piazze di manifestanti come da tempo non si vedeva, quello di mettere in discussione il lavoro d’informazione che quotidianamente svolgono i giornalisti, accusati di parzialità e, secondo i punti di vista, di farsi strumento delle menzogne del potere o di offrire una visibilità eccessiva ad opinioni largamente minoritarie nel Paese. Senza contare l’esercizio del classico “cui prodest”, dove la destra pensa sempre che si voglia favorire la sinistra e viceversa.
Spingendo un po’ oltre la nostra riflessione, i giornalisti fanno il loro mestiere, il più delle volte, con onestà intellettuale e con una ricerca sincera della verità dei fatti. Essi tuttavia fanno parte di un sottosistema, il mondo della comunicazione, nel quale i fatti si possono leggere e interpretare in molti modi. C’è poco da fare, gli editori di parte ingaggiano direttori di parte che a loro volta assumono giornalisti di parte i quali, giocoforza, in buona o in cattiva fede, vedono il mondo solo dalla loro parte (o la parte di mondo che desiderano vedere). I prodotti giornalistici apertamente di parte, come i giornali e le televisioni della sfera berlusconiana, attraggono in prevalenza lettori e spettatori già orientati.
Ora, la propaganda politica è una cosa, la realtà un’altra, ma non sempre è facile distinguere la realtà dalla propaganda. Il lettore che cerca nell’informazione cosiddetta indipendente la possibilità di avere una visione oggettiva delle cose, si trova di fronte ad un’interazione più complessa, a strumenti di persuasione più sottili. “Se non state attenti – diceva Malcom X – i media vi faranno odiare le persone che vengono oppresse e amare quelle che opprimono” (per capire bene il senso di quest’osservazione basta pensare al modo trattare il fenomeno delle migrazioni).
I giornali e le TV, si sa, sono aziende che appartengono a concentrazioni di capitale interessate allo sviluppo dei loro affari “a tutto campo”. La presenza nel mondo dell’informazione e dell’editoria è, per questi gruppi, un investimento strategico, soprattutto in due direzioni: prima di tutto la possibilità di influenzare con l’abile uso delle notizie l’andamento dei mercati finanziari, e poi il rapporto di interdipendenza che, attraverso i media, si determina nei confronti del mondo politico.
Un investimento, beninteso, che gli imprenditori si guardano bene dal fare di tasca propria e per il quale, pertanto, sono decisivi il favore delle banche (non a caso sempre più presenti nel capitale delle telecomunicazioni) e l’oligopolio della pubblicità. Elementi, questi ultimi, per ottenere il mantenimento dei quali non serve l’obiettività, la ricerca della verità. Serve il governo.
Per questo motivo, a dispetto della concorrenza, qualunque sia il canale televisivo o la testata giornalistica, il “taglio” delle notizie, più o meno, è (o sembra) sempre lo stesso.
Per il cittadino comune, anche quando la propaganda politica è ingannevole (in modo grossolano, come avviene sempre più spesso), è difficile, praticamente impossibile, non farsi influenzare. Se gli interessi delle concentrazioni di capitale e quelli del governo o di una delle parti politiche contendenti coincidono, l’opinione pubblica sarà indirizzata verso il sostegno a tali posizioni non sempre attraverso linguaggi espliciti, ma con messaggi subliminali trasmessi con criteri rigorosamente scientifici, che non sono limitati all’informazione ma estesi anche all’intrattenimento.
Facebook e gli altri social networks, che appaiono in teoria spazi liberi di espressione delle opinioni, riflettono in modo impressionante come il mondo mediatico detti “l’agenda del pensiero” delle persone. Come difendersi? Mah… non fermandosi mai a leggere o ad ascoltare una sola fonte, potenziando al massimo possibile il proprio bagaglio culturale, sviluppando lo spirito critico, rifiutando il conformismo come abito mentale, pure se ciò ha un prezzo.
Ma potrebbe anche bastare stare un po’ meno davanti alla TV e frequentare un po’ di più la propria comunità.