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Il "Piano Marshall" e i suoi emuli. Le storie di soccorso economico

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L’Europa ora promette a mezza bocca di rivedere l’applicazione del Patto di Stabilità. Chissà che vuol dire. Per parlare di solidarietà non pare poi molto, ma tant’è: prendiamolo come una promessa di revisione di quel rigorismo che ora sta divenendo cosa comune accusare anche del coronavirus. Coraggio, veniamo a salvarvi. Soccorso inatteso, esterno, salvifico e magari anche qualche volta immeritato.

Ma chi, stretto in un assedio, avvinto da un nemico invisibile, non si attaccherebbe all’ultima, la più estrema delle virtù? Quella che persino San Paolo mette talvolta in aperto conflitto con se stessa, teorizzando una “spes contra spem” che sa, ancor prima che di contraddizione in termini, di corto circuito dell’intelletto. Certo che è così, e ci mancherebbe altro. Solo il giusto, diceva Paolo di Tarso citando Abramo, ha fede incrollabile, più forte della più razionale delle disperazioni. E fu così che anche Indiana Jones si lanciò nel vuoto spiccando un “leap of faith”. Non solo non si schiantò in fondo al crepaccio, ma ebbe in premio nientemeno che il Graal.

Anche perché ci sono volte in cui il soccorso, effettivamente, arriva, e allora è festa grande e memorabile. Spesso in tale caso non poche sono le conseguenze positive, che durano a lungo; il problema è semmai che di giusti in giro ce ne sono pochi, ed anche di Indiana Jones. Al massimo c’è qualche audace. Facciamocelo bastare. Se manca anche l’audacia, infatti, la sconfitta è certa. Costantinopoli venne cinta d’assedio dai turchi per quasi un anno intero, dal Corno d’Oro al Mar di Marmara. A meno di un miglio marino c’era una città che avrebbe potuto salvarla: Galata, abitata dai mercanti pisani e genovesi. Vale a dire: quelle locuste marine che dall’Italia si erano già succhiate il meglio dell’Impero d’Oriente, accumulando enormi crediti in oro e inestinguibili debiti in riconoscenza.

Costantino XII pregò in tutti i modi che varcassero quell’esiguo braccio di mare, e venissero a combattere nel nome dell’unica fede. Ma i pusillanimi nicchiarono, tergiversarono, traccheggiarono e non si decisero nascondendosi dietro il Credo di Nicea. Pare si fossero già messi d’accordo con Mehmet II, il terribile figlio di Murad.

Per il Paleologo non ci fu scampo, però anche i pisani e i genovesi alla fine ebbero di che pentirsene. La lezione non venne comunque assorbita e introiettata: la commedia degli errori andò in scena quasi tale e quale un secolo dopo a Famagosta, per la disperazione dei veneziani. Sì, perchè il peggior nemico delle grandi imprese, o delle avventure più generose, è il tarlo che suggerisce agli orecchi piccolo borghesi se valga davvero la pena di morire per Danzica. Il fatto è che se la si lascia morire, poi si muore anche noi. Ma lo si capisce quando è troppo tardi.

Nella Seconda Guerra Mondiale questo fu l’errore originale, ma anche qui la lezione non venne mica capita almeno sulle prime. Roma, infatti, cacciato il Duce e fuggito il Re, era schiacciata dai nazisti. Una sola cosa a ricordare: la razzia del ghetto. Nel gennaio del 1944 gli Alleati sbarcarono ad Anzio. E lì restarono. “Doveva essere un gatto selvaggio invece è una balena spiaggiata” ammise Churchill parlando del corpo di spedizione. Sui muri di Roma qualcuno scrisse: “Coraggio angloamericani, stiamo venendo a salvarvi”. Meno male che non si perde mai la voglia di scherzare.

Anche per questo, o magari perché nel frattempo si era imparato a salvare il soldato Ryan, che dopo la fine del conflitto si decise di cambiare radicalmente atteggiamento. Una vera e propria rivoluzione: non solo non si puniva più lo sconfitto (eppure Germania, Italia e Giappone avevano parecchio sulla coscienza), ma anzi lo si aiutava a rimettersi in piedi. Paradosso nel paradosso, a voler più di tutti questa rotazione copernicana fu un militare, e per di più americano. Cioè: sulla carta proprio colui dal quale non te lo aspetteresti mai.

Ma George Marshall, maresciallo di nome e generale di professione, aveva capito l’affare consistente nell’estendere la democrazia rinsaldando le economie dei paesi europei, anche quelli che erano sulla lista dei punibili. Creò un programma di aiuti internazionali, una commissione ad hoc (l’Ocse, che ancora adesso dà i voti ai governi) ed una “lista della spesa”. Ti servono i trattori? Eccoteli. Fondi per il manifatturiero? Non c’è problema. Risultato finale: un’Europa più sana e più bella. Un alleato affidabile, un mercato di milione di persone. Per dirla all’americana, un win-win game. è vero, Danzica continuò a soffocare per altri quarant’anni, ma alla fine arrivò pur sempre un Lech Walesa.

Certamente meglio questo di quello che era accaduto dopo il 1918: i due piani di aiuti alla Germania bloccati da Francia e Belgio, ed annessa ascesa hitleriana al potere. Per non parlare degli aiuti a pioggia dati all’Urss di Lenin dopo il fallimento della Nep. Era nato così l’Occidente: atlantico, coeso, reattivo. I sovietici pensarono ad un certo punto di annettere tutta Berlino al loro impero, soffocando i settori francese, britannico e americano appena unificati.

Gli occidentali attuarono un ponte aereo che durò più di un anno, sfamando letteralmente i berlinesi (dell’ovest ma anche dell’est: all’epoca non c’era ancora il Muro) e restituendo di fatto la Germania al novero delle nazioni sorelle. A Tempelhof – che ora una miope politica di cancellazione dei ricordi urbanistici del passato ha voluto mortificare – ogni giorno arrivavano e partivano decine e decine di voli militari, gli unici collegamenti tra Berlino e il mondo non comunista.

Logico, alla fine, che la Germania sia divenuta membro affidabile della Nato e poi, una volta riunificata, non abbia voluto mollare l’Unione europea. Se esistono i semi dell’odio, esistono anche quelli della stima, se proprio non è il caso di parlare di amicizia. Il modello inventato da quel generale americano divenuto segretario di Stato fu di tale successo che da allora di Piano Marshall per qualcuno si sente parlare in modo ricorrente. Andando a memoria: per l’ex Urss, per il Medioriente, per l’Africa, per il Sahel, per i Territori Palestinesi, per il Libano, per l’ex Jugoslavia per le energie alternative per il Sud per il Nord per tutto. La via dell’inferno è immancabilmente lastricata di buone intenzioni.

Chi ci provò sul serio fu John Fitzgerald Kennedy, che guardava all’America Latina con la promessa di non usare più la politica del Grosso Bastone. Convocò tutti a Punta del Este, in Uruguay, e lanciò per bocca del fratello Bob la Alianza para el Progreso. Forse fu colpa di Dallas, forse fu colpa del Vietnam, però non se ne fece molto. E ci fu chi capì che il destino ognuno se lo deve creare con le proprie mani. La più spettacolare operazione di recupero di un popolo assediato, da allora, fu attuata dagli israeliani.

Nel 1985 l’Etiopia era sconvolta da una delle più gravi carestie del XX Secolo e dall’operato del regime comunista di Menghistu. Tra le principali vittime del’una e dell’altro gli ebrei etiopi chiamati Falascia: la tredicesima tribù d’Israele, che la tradizione vuole discenda direttamente da un amore al limite del codice tra Salomone e la Regina di Saba. In ottomila scapparono quell’anno in Sudan, ad assiepare i campi profughi che oggi ospitano i migranti che vorrebbero l’Europa.

Ogni notte, per diversi mesi e nel segreto più assoluto, il Mossad li divise in gruppi e li caricò di nascosto sugli aerei della El Al. Quei figli di Israele dalla pelle scura arrivarono così alla spicciolata nella Terra Promessa da cui la Regina di Saba era ripartita trenta secoli prima, portando dentro di sè il frutto di un amore per la sapienza ma anche per il sapiente. Non tutto fu epopea e non tutto fu gloria, ma l’Operazione Mosè resta una delle azioni più clamorose di uno stato che, con le sue azioni clamorose, più di una volta ha preso il Mondo alla sprovvista.

Quando, in quello stesso lasso di tempo, gli americani cercarono prima di guidare un’operazione internazionale di aiuti a Eritrea ed Etiopia, e poi di ridare la speranza ad una Somalia da allora rimasta un buco nero, collezionarono solo brutte figure, o almeno risultati molto al di sotto delle attese. Non si può essere leader senza essere generosi, e la generosità la si riconosce se non c’è in ogni sacco di riso o di farina la scritta “Usa Aid” nemmeno fosse un spot pubblicitario.

La cifra della Presidenza Clinton la dette l’idea di mandare a Mogadiscio prima le telecamere della Cnn, poi i marines: avrebbe dovuto essere un Combat Film extra lusso, fu invece una fastidiosa operazione malriuscita di marketing. Altro che Piano Marshall. Altro che audacia: nemmeno quella. Certe cose, anche per essere solamente pensate, richiedono tutti gli assunti del teorema del Perozzi: fantasia, intuizione, rapidità nell’esecuzione.

E se è vero quel che diceva Mitterrand, e cioè che l’Europa dopo la sua generazione sarebbe stata un’Europa di ragionieri, non c’è molto da sperare. O meglio, c’è solo da immaginare che un modello economico e politico arrivato stremato all’appuntamento con il coronavirus trovi dentro di sè le energie per uno scatto di giovinezza, come ai tempi di De Gasperi e Schuman. Spes contra spem. 

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Fonte: cronaca agi


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