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Il nuovo live acustico dei Negrita per tornare a suoni ‘antichi’

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AGI – “MTV Unplugged” non è un semplice format televisivo ma rappresenta una storia che ha caratterizzato in maniera significativa la storia della comunicazione musicale globale dagli anni ’90 in poi. L’idea del format nacque dai Bon Jovi che per stupire il proprio pubblico abituato ai loro show spettacolari, si presentano da soli con due chitarre acustiche. Il resto è storia, da lì si sono presentati tutti i più grandi della storia, nomi del calibro di Aerosmith, Alanis Morissette, Bob Dylan, The Cure, George Michael, Liam Gallagher, Mariah Carey, Neil Young, Nickelback, Oasis, Paul McCartney, Pearl Jam, R.E.M. (due volte), Ricky Martin e Shakira.

Il live “MTV Unplugged” è il più venduto della carriera di Eric Clapton, quello dei Nirvana è forse il più noto e farà letteralmente storia andandosi incastrare in maniera quasi poetica nel dramma vissuto ai tempi da Kurt Cobain. Il format ha toccato anche l’Italia, la prima ad esserne protagonista fu Giorgia nel 2005, due anni dopo toccò ad Alex Britti, oggi (anche se l’evento era programmato pochi giorni prima del lockdown totale) tocca ai Negrita.

Davvero un gran live, ma questo non stupisce, la dimensione acustica vi appartiene…

Pau: Si, ce la sappiamo maneggiare (e ride). Abbiamo avuto la fortuna di fare un tour semi-acustico nel 2013, con relativo disco, e a distanza di sette anni non ti dimentichi niente, parti privilegiato; quindi partendo da una base consolidata abbiamo tolto completamente i computer, abbiamo affrontato questo live in maniera totalmente anacronistica, da old school, un po’ perché è la nostra cifra stilistica da sempre e un po’ perché volevamo dimostrare che si può fare musica non necessariamente come la stanno facendo tutti oggi.

Una lezione per i musicisti di oggi…?

Pau: La contemporaneità un po’ l’abbiamo studiata, l’abbiamo affrontata musicalmente, ma in realtà la nostra matrice è altra. Io me la sono vissuta come un atto di ribellione, per dimostrare che certe emozioni le puoi veicolare solo attraverso certi metodi e usare batterie finte su delle basi con suoni sintetici, si, ottieni sicuramente un approccio affascinante, perché in questo momento l’orecchio medio è abituato a quel tipo di suono, ma sparisce completamente il gusto di certi suoni antichi, quelli legati all’analogico, che sia legno, ferro, corda di chitarra. E poi un altro elemento importante è la dinamica, questa sconosciuta, completamente sparita dai radar della musica contemporanea, invece in questo concerto la dinamica è tutto.

Drigo: Siamo certamente una band elettrica, su questo non c’è dubbio, gran parte dei pezzi della nostra carriera suonano e nascono con strumenti elettrici. È capitato più di una volta di comporre anche con strumenti acustici, specie quando siamo in tour, anche perché lo strumento acustico ti porta grande difficoltà nel momento in cui lo vuoi portare sul palco e lo vuoi amplificare. Ma noi siamo così “smanettoni” che se al posto della chitarra ci porti un filo di ferro ci attrezziamo per tirarci fuori un aeroplano, ecco che il focus va su questo, finisci per scoprire dei mondi…siamo fatti così.

Pau: …se ci regali delle scarpe, noi buttiamo le scarpe e suoniamo la scatola (e ride)

Drigo: …quindi presi in mano questi strumenti abbiamo scoperto delle sfumature che ci hanno accompagnato in un viaggio affascinante. Nelle ultime settimane siamo andati a rivederci il video e ci siamo accorti che non c’era davvero niente da ritoccare, siamo rimasti davvero soddisfatti. A questo punto della carriera un album come questo diventa un documento importantissimo.

Pau: Nei periodi di grandi creatività riarrangiavamo anche due/tre pezzi al giorno, ridando freschezza a brani di qualche decennio prima a volte e alla fine in alcuni casi preferisco gli ultimi arrangiamenti a quelli originali…pensa te com’è strana la vita…

Effettivamente è una bellissima sorpresa ascoltare alcuni dei brani più belli del vostro repertorio riproposti in maniera così fresca…

Pau: Io mi metto nei panni dei fan, perché sono fan anch’io di altri artisti. Il fan è quasi sempre conservatore, se gli cambi delle cose quei tasselli mentali che ha messo in fila non tornano più e a primo ascolto c’è il rifiuto. Invece queste nuove versioni, sarà che le abbiamo fatte col cuore pulsante in mano, ma probabilmente nemmeno i fans hanno reagito bene. Alcuni sono dei nostalgici del pogo, del casino, del bordello, quindi preferiscono l’elettrico, ma quelli con la mentalità più aperta hanno apprezzato tantissimo queste rivisitazioni e questi nuovi abiti che abbiamo messo addosso ai nostri brani.

Quando vi hanno fatto la proposta avete riflettuto sui precedenti Mtv Unplugged?

Drugo: Quando noi abbiamo cominciato eravamo inequivocabilmente ispirati alla formula Mtv Unplugged, perché ci sono dei precedenti che sono leggendari: Nirvana, Eri Clapton, Neil Young…se si pensa a quando Mtv ha messo in onda questo format, ai tempi era il canale televisivo più guardato dai giovani in tutto il mondo, Mtv era lo stato dell’arte su quello che era la musica, era il presente proiettato al futuro. Questo Mtv Unplugged, all’inizio degli anni ’90, è stato fondamentale, provenendo tra l’altro dagli anni ’80, dove si faceva largo uso dei sintetizzatori, hanno saputo interpretare lo spirito del momento e prevedere quello che sarebbe successo, negli anni ’90 infatti la musica è tornata ad essere suonata, i contenuti più impegnati…

Pau: Noi siamo nati parallelamente all’epopea di Mtv, qualcuno addirittura condannava il canale come “fine della musica”. Poi ovviamente la musica sa riciclarsi, però gli unplugged sono diventati subito qualcosa per noi di molto familiare; quando abbiamo pensato al nostro, a quello che avevamo per le mani, abbiamo capito di essere in grado di replicare l’atmosfera di Mtv, anche se non eravamo in uno studio con la gente seduta attorno a noi.

Drugo: Doveva esserci in realtà, poi per i motivi che sappiamo non è stato possibile…

Pau: Si, il live era programmato al teatro del verme di Milano, poi si è chiuso tutto e quando abbiamo ripreso le alternative erano il Castello Sforzesco di Milano o l’Anfiteatro Romano di Arezzo.

E voi a quel punto avete deciso di giocarvela in casa…

Pau: Per noi suonare davanti al nostro pubblico, alle persone con cui siamo cresciuti, era piuttosto significativo. Nessuno è profeta in patria, noi lo sappiamo benissimo, l’abbiamo vissuto sulla nostra pelle, però poi nel corso degli anni ci siamo riavvicinati all’identità cittadina. Con questo unplugged abbiamo ristabilito un’unione definitiva con la città e siamo riusciti a portare il concept dell’unplugged fuori da uno studio, abbiamo piegato il format al nostro volere, ma senza rovinarlo.

Nel live ospitate tre featuring, quando hai presentato Agnelli hai parlato del suo ruolo a X-Factor…voi fareste i giudici a X-Factor?

Pau: A me l’hanno chiesto, però non è la nostra ambizione massima fare il giudice a X-Factor. Già quelli che giudicano di default non mi affascinano tantissimo, mi piace più essere uno studente, ho ancora la voglia di imparare, poco di insegnare. Ci ritroviamo ad insegnare quando saliamo sul palco, perché ce ne rendiamo conto, qualche anno fa eravamo la band italiana con più cover band, anni fa abbiamo fatto un concorso in cui abbiamo selezionato la tribute band ufficiale che potesse portare il nostro nome. Un anno c’erano circa 25 band che suonavano il nostro repertorio con il nome mutuato da una canzone, tipo i “Magnolia”, gli “Angelo ribelle”. A me invece fa piacere che lo faccia Manuel il giudice a X-Factor perché l’ho sempre stimato come musicista, come testa pensante, non me lo sarei mai aspettato che il reuccio dell’indie diventasse una delle colonne portanti di un talent che è tutto tranne che indie. Però alla fine le cose tornano, il successo che hanno i Maneskin passa anche dalle lezioni di Manuel Agnelli a X-Factor. Io sono molto contento per lui, perché l’indie è un po’ un vicolo cieco e un personaggio, un autore, come Manuel si meritava molto di più.

Rkomi invece?

Drigo: è stata un’idea della nostra casa discografica, che è la stessa. Ci hanno proposto questo crossover tra la nuova generazione e la nostra, lui è partito come producer facendo musica elaborata, digitale, poi nell’estate scorsa aveva voglia di fare musica suonata e così abbiamo fatto questo duetto con lui ben volentieri.

Pau: Si, è un ragazzino con delle aspirazioni che ci piacciono.

Qualcosa di decisamente più profondo vi lega invece a Piero Pelù, l’altro vostro ospite…

Drigo: Con Piero abbiamo condiviso la prima parte della nostra carriera, noi siamo nati registrando i primi due album nello stesso studio, abbiamo aperto loro concerti in tour europei che sono stati indimenticabili. Francia, Belgio, Svizzera…in luoghi simbolo del live in Europa. Ascoltarli in Italia dava una sensazione, quelli erano gli anni di maggior successo dei Litfiba, ma vederli all’estero ti faceva capire che rientravano in un bouquet di artisti clamorosi, europei, che hanno avuto meno successo di artisti americani ma niente avevano da invidiare a livello artistico. In quei concerti emergeva il carattere istrionico di Piero, la band aveva lo stesso peso specifico dei Mano Negra.

Pau: Piero con i Litfiba è stato fondamentale per noi, ci ha dato una gran dose di fiducia, abbiamo scoperto che in italiano si poteva fare il rock. Quando hanno fatto “Istambul” capivi che erano qualcosa di speciale. Quindi avere sul palco Piero, che è di una generazione sopra di noi, noi siamo i fratellini, è stato come chiudere un cerchio.

Mac: Senza i Litfiba probabilmente la nostra storia sarebbe diversa.

Avete nominato i Maneskin…

Drigo: Io personalmente sono felicissimo per loro, dei ragazzi di 20 anni che hanno questa possibilità, questo successo…che è dovuto molto ad una questione estetica, perché sono veramente fortissimi da quel punto di vista.

Pau: eh…il rock è quello.

Drigo:…ma sono bravi anche a suonare. Non so che hanno fatto durante il lockdown, magari si sono ritirati a studiare, ma sono diventati pazzeschi, ho visto dei live e suonano, tanto di cappello.

Mac: Una band di ragazzi talentuosi che sono diventati la new big thing a livello internazionale, sono passati davanti a Coldplay, Foo Fighters e altre band clamorose…

Pau: Potrebbero anche fare da apripista per altre band italiane…non ci spero molto, perché è il loro modo di apparire che li sta aiutando molto. Ma io sono italiano e sono felice che qualcuno si accorga che si può fare musica anche fuori dall’ambiente anglosassone.

Drigo: poi li trovo perfettamente a loro agio nel ruolo di rockstar internazionali.

E poi, appunto, suonano…

Mac: Esatto, io sono amico di tantissime persone che hanno negozi di strumenti musicali e tutti mi dicono che da quando i Maneskin hanno vinto Sanremo, l’Eurovision etc etc…stanno vendendo così tante chitarre e alle ragazze i bassi….c’è quasi qualcosa di sociologico dietro il fatto che una band italiano, voce, chitarra, basso e batteria sta avendo questo successo.

Pau: …senza basi

Drigo: …e cantano benissimo in inglese.

In questi due anni vi siete fatti un’idea della considerazione che le istituzioni hanno di voi come lavoratori?

Pau: Niente di nuovo all’orizzonte, eravamo invisibili e siamo rimasti invisibili.

Drigo: è buffo che a marzo sono venuti da noi a chiederci di diffondere il messaggio sull’utilizzo delle mascherine, poi una volta fatto quello…

Mac: …nel momento in cui c’è da fare beneficienza siamo i primi ad essere chiamati, quando i lavoratori dello spettacolo hanno perso il lavoro non è successo niente. Non è per fare polemica ma è la realtà che abbiamo visto.

Pau: Se vuoi una sicurezza, nella vita puoi considera che la politica non cambia mai: era deprimente prima, è deprimente oggi e continuerà ad essere deprimente anche domani.

Source: agi


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