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Il mistero della mail del Comune di Bergamo che autorizzò i funerali vietati  

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AGI – Il 12 marzo 2020, nel momento più violento del contagio, la funzionaria del Comune di Bergamo Valentina Nembrini scriveva in una mail letta dall’AGI e indirizzata ai rappresentanti di otto agenzie delle pompe funebri che sarebbero stati “accolti nei cimiteri cittadini funerali con presenza massima di 10 persone”.

Il testo della mail del Comune

Una disposizione, almeno a livello lessicale, non conforme al Dpcm dell’8 marzo nel quale si prescriveva che dovevano essere “sospese le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelli funebri”. La corrispondenza sarà depositata dai legali dei familiari delle vittime nella causa civile in corso davanti al Tribunale di Roma.

“La presente per comunicarvi – questo il testo completo firmato dalla rappresentante della Direzione Concessioni e Servizi Cimiteriali – che domenica 15 marzo i cimiteri cittadini rimarranno aperti solo per garantire sia il ricevimento delle salme da collocare temporaneamente in camera mortuaria/chiesa di Ognissanti, in attesa di cremazione, sia per l’esecuzione di funerali, mediante tumulazione o inumazione. Si ricorda che verranno accolti funerali, con presenza massima di 10 persone”.

Il Comune di Bergamo nega che si celebrarono i funerali

“Non intendevamo funerali – è l’interpretazione dall’entourage del sindaco Giorgio Gori che sembra alludere a un errore nell’utilizzo delle parole – ma semplicemente l’accompagnamento del morto alla tumulazione da parte dei familiari. Non un rito, non un funerale, al massimo c’era un prete che recitava una breve preghiera”.

In ogni caso, dal Comune fanno sapere che nella pratica il dpcm non venne violato. Nella circolare ministeriale diffusa in quelle ore, si imponeva di limitare il più possibile gli assembramenti nei cimiteri, tanto che la maggior parte dei sindaci lombardi diede il permesso di entrarci solo “ai familiari più stretti”.

“Nell’arco di qualche settimana – riferiscono dal Comune di Bergamo – anche noi abbiamo diminuito il numero di persone, fino ad arrivare a sette”.

La disperazione degli operatori delle pompe funebri

Sempre dagli scambi di mail visionati, risulta che il 14 marzo alcune agenzie di pompe funebri chiedevano alla Regione Lombardia e alla Protezione Civile “dei dispositivi di protezione individuale in quanto le scorte sono ormai terminate e i fornitori non possono rifornirci in quanto la nostra categoria di pompe funebri è rimasta esclusa dal Dpcm”.

Dopo avere fatto presente che “alcune delle imprese hanno già chiuso perché sono tutti malati” e che “la categoria è allo stremo perché i decessi sono impossibili da gestire” viene proposta “l’autorizzazione al trasporto massivo delle salme fino a un massimo di 4 alla volta” che però non venne accolta dalle istituzioni.

“Limitare al minimo la presenza a un numero massimo di 3-5 persone avrebbe potuto soddisfare le esigenze di sicurezza e la possibilità di un estremo saluto – dice l’avvocato Consuelo Locati, a capo del team legale impegnato nella causa civile contro Governo e Regione Lombardia -. Soprattutto a Bergamo, dopo le campagne volte a sostenere che il Covid era poco più di una banale influenza e che la città non si sarebbe dovuta fermare. Quanto ai documenti sulle pompe funebri, emerge la disperazione che hanno vissuto gli operatori in quei giorni, costretti a lavorare in situazioni di assoluta mancanza di sicurezza per loro e per gli altri”.
Source: agi


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