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“Il mal di pancia di Mohamed”

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di Alessandro Scuderi

La lotta al terrorismo, alla stregua di una qualsiasi forma di criminalità, non può prescindere dalla conoscenza del contesto, con annessi e connessi. Non si può immaginare una efficace forma di contrasto se non si è in grado di riconoscerne le sfaccettature, le origini e le varie forme del fenomeno criminale. Ne consegue che il contrasto e l’opera repressiva non può fare a meno di sapere interpretare i caratteri culturali dell’universo Islam. Perché Islam? Perchè nell’immaginario collettivo è tale religione che incarna lo spettro terroristico al meglio delle sue potenzialità. Su tali argomentazioni, se vorrete, potremo addentrarci prossimamente; adesso vorrei solo cercare di illustrare, a mio modesto parere, come affrontare il problema terroristico islamico, evidenziando le problematiche interne.

Alla morte di Maometto, nel 632, l’Islam si riconosceva in un solo fondamento di credenze ed anche le pratiche di culto non erano ben definite, così come alcune istituzioni fondamentali, come quella del Califfato. Dopo la morte di Maometto si dovette affrontare il problema della successione a capo della comunità religiosa. Una parte dei credenti riconosceva in Alì (cugino di Maometto) il naturale successore, ma la maggioranza della comunità riteneva che non ci fosse stata alcuna designazione da parte del Profeta e pertanto il successore doveva essere eletto come “primo Califfo”. Si succedettero quattro Califfi dal 632 al 664 (ovvero in 32 anni). L’ultimo di essi fu il predetto Alì e con la sua ascesa al titolo iniziarono i contrasti violenti in seno all’Islam, poiché ritenuto responsabile della morte del suo predecessore (Othman). Si creò, dunque, una profonda spaccatura tra i sostenitori di Alì (sciiti dal nome di Shi at Alì – Partito di Alì)) ed i suoi oppositori Sunniti (dalla parola Sunna che è l’insieme degli atti e dei detti di Maometto). Ebbero la meglio i Sunniti che stabilirono la loro roccaforte a Damasco.

Sostanzialmente la differenza tra le due fazioni è di mera questione politica e permane ancora oggi in tutta la sua violenza. Ciascuno indica se stesso come autentico cultore della fede islamica. Va precisato che i Sunniti, oggi, sono la stragrande maggioranza dei musulmani; per essi manca l’idea di mediazione tra l’uomo e Dio e non riconoscono un vero e proprio clero (vedi la figura dell’Imam). Per gli sciiti, invece, all’Imam sono riconosciuti i privilegi dell’infallibilità e della diretta intercessione presso Dio. Esistono, infine, altre correnti interne alle due formazioni religiose, che fomentano ancora di più, se possibile, le incrinature tra Sciiti e Sunniti.

Al fine di semplificare ulteriormente le due identità di cui sopra, si illustrerà di seguito una sorta di appartenenza relativa agli Stati ed alle varie organizzazioni islamiche:

Sono sunniti: Algeria, Egitto, Giordania, Indonesia, Libia, Marocco, Tunisia, e tutte le monarchie del Golfo Persico, così come le formazioni Boko HaramAl Qaeda ed i seguaci che furono di Osama Bin Laden, Talebani, Brigate al Nusra, Fondamentalisti Ceceni, Hamas, i ribelli Siriani, Curdi. Anche il presidente turco Erdogan è sunnita come lo era Saddam Hussein.

Sono Sciiti: i guerriglieri libanesi Hezbollah (filo Iraniani), Iran, Kuwait, maggioranza dell’Azerbajian e del Barhein, Sud Iraq. E’ Sciita anche il presidente Siriano Bashar al Assad.

Se vogliamo contestualizzare la diatriba interna in termini più contemporanei, faccio mia la tesi dello scrittore Tahar Ben Jalloum (marocchino di estrazione francese) sostenuta nel suo libro “Il terrorismo spiegato ai nostri figli”. Secondo Jalloum la netta divisione consiste tra i “razionalisti” ed i “letteralisti”; ovvero tra coloro che attuano una lettura razionale del Corano, considerando che tutto il testo vada analizzato, tradotto o comunque desunto ed estratto sino al significato ultimo del messaggio religioso. Sostanzialmente sostengono che il Corano sia un testo metaforico ed esige una lettura “intelligente” (un po’ come avviene con la lettura metaforica della Divina Commedia).

All’opposto troviamo, invece, coloro che traducono letteralmente ogni singola parola o frase del testo, applicandola alla lettera, senza alcun filtraggio o analisi di sorta. Tale ultima fazione si rifiuta di attuare qualsiasi riforma o valutazione alternativa alla condizione di “infedele”. Essi considerano tutte le altre fedi come impure e ritengono di agire per nome e per conto di Allah in quanto depositari dell’eredità ad essi assegnata. Una sorta di autoproclamazione della funzione di giustizieri che considerano la cultura occidentale un male oscuro e nemico. La scarsa scolarizzazione e l’indottrinamento massivo dei substrati sociali, cui tutti gli stati arabi sono pervasi, compie il resto. Sino a quando l’Islam non riuscirà a sanare questa feroce lotta intestina, avvolgerà nella propria veemente violenza tutto ciò che intercederà con esso. Il primo passo, il primo obbligo che l’Occidente deve assumersi è quello di aiutare l’Islam moderato a prevalere su quello fanatico, ma ciò sarà arduo e non privo di effetti collaterali.