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Il capolinea degli azzurri è il capolinea del nostro calcio

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Lo scandalo delle plusvalenze, l’assedio dei procuratori, la scarsa attenzione ai vivai, l’attrito costante tra Leghe e Federazione. Dietro l’eliminazione dal Mondiale c’è un movimento malato. E senza una rifondazione sarò impossibile svoltare
Astolfo Di Amato ·

il mondo del calcio si è chiuso in una bolla, dove diventa possibile quello che, per i comuni cittadini, è del tutto inimmaginabile. È una bolla nella quale possono trovare posto anche avventurieri, che in qualsiasi altro contesto sarebbero subito espulsi
Una partita andata male o un movimento da rifondare? Dopo la vittoria agli europei, l’uscita dal mondiale del Qatar è un colpo che lascia annichiliti. Tuttavia, non può essere considerata una sorpresa se si pensa che l’Italia aveva già fallito l’obiettivo della qualificazione nei gironi ordinari. C’era, certamente, la fiducia di superare una squadra di modesto valore, come la Macedonia del Nord, tanto più che gli azzurri avevano anche il vantaggio di giocare in casa. Ma la prestazione, sia della squadra nel suo insieme e sia dei singoli, è stata di una tale modestia da rendere la sconfitta un evento ineludibile. Che rende necessaria una riflessione sullo stato dell’intero movimento. Del resto, non può essere senza significato la circostanza che è la seconda volta consecutiva che l’Italia non partecipa ai mondiali, essendo eliminata da squadre di modesto valore: ieri dalla Svezia e oggi dalla Macedonia del Nord. La sconfitta chiama inevitabilmente in causa la considerazione di quelli che sono, oggi, i tratti caratteristici del movimento calcistico in Italia. Ne esce un quadro desolante sotto molteplici profili. Innanzitutto, c’è un profilo di ordine morale che getta discredito sull’intero movimento mettendo in discussione la stessa solidità dei valori di sportività, che ne dovrebbero orientare la condotta. È stato necessario l’intervento della magistratura ordinaria per accendere i riflettori su comportamenti assolutamente intollerabili: si pensi allo scandalo delle plusvalenze fittizie, le quali hanno consentito ai bilanci delle squadre che vi hanno fatto ricorso di nascondere la condizione di estrema fragilità finanziaria in cui si sono venute a trovare; o allo scandalo dell’esame farsa presso l’Università di Perugia del calciatore uruguaiano Luis Alberto Suarez; o allo scandalo, emerso in questi giorni, di giocatori che apparentemente si erano ridotti il compenso in ragione della pandemia e che, invece, ricevevano in nero la differenza. Senza parlare, poi, dei dubbi sulla condotta degli arbitri alimentati addirittura da un ex procuratore federale, che ha lamentato di non aver ricevuto, nonostante la richiesta formale, la registrazione del colloquio tra arbitro in campo e Var relativo a un contestatissimo episodio decisivo per l’assegnazione dello scudetto di qualche anno fa. Se, poi, si pensa che molti degli episodi, oggetto di accertamento, vedono coinvolta la squadra che, nell’ultimo decennio, ha dominato il campionato, cioè la Juventus, diventa inevitabile prendere atto che è l’intero movimento a essere malato. Ciò tanto più ove si consideri che, agli scandali esplosi per iniziativa della magistratura, non ha fatto riscontro una reazione adeguata del mondo sportivo. Come se fosse ormai maturata una completa assuefazione a questo modo di gestire le squadre. Non migliore è la situazione se si passa a considerare l’aspetto economico. La serie A, che costituisce il motore, sia sotto il profilo simbolico e sia sotto quello economico, dell’intero movimento, aveva, prima della pandemia, un fatturato annuo di 2.7 miliardi di euro e costi per 3.5 miliardi di euro. Già allora, dunque, accumulava debiti per quasi un miliardo all’anno. Si tratta, si badi bene, di cifre errate per difetto, in quanto non tengono conto delle correzioni da apportare ove si faccia a meno delle plusvalenze fittizie. Una conseguenza è che l’indebitamento aveva già superato l’80% del valore della produzione. Era, quindi, una situazione economica insostenibile e che non sarebbe stata tollerata, già da tempo, in qualsiasi altro settore economico del paese. La pandemia ha, ovviamente, aggravato la situazione.
La fotografia che ne esce è quella di un mondo, quello del calcio, profondamente malato, nel quale l’opacità la fa da padrona. Adoperando la passione dei tifosi come un bastione di protezione, il mondo del calcio si è, in Italia, chiuso in una bolla, dove diventa possibile quello che, per i comuni cittadini, è del tutto inimmaginabile. È una bolla nella quale possono trovare posto anche avventurieri, che in qualsiasi altro contesto sarebbero subito espula si, e la mancanza di trasparenza crea una solidarietà trasversale, rotta quasi sempre solo dai conflitti tra interessi personali e non già da contrastanti visioni dell’interesse generale. La nazionale azzurra, finisce, dunque, per essere l’espressione di un movimento, che si è allontanato sempre più dagli autentici valori dello sport: poco o nessuno spazio ai vivai, esplosione del ruolo dei procuratori, nessun attaccamento alla bandiera, abbandono di qualsiasi prospettiva di lungo periodo. Emblematica, dello stato dell’intero movimento, è la vicenda relativa al rifiuto, da parte della Lega di serie A, di concedere la sospensione del campionato, che era stata richiesta per poter consentire all’allenatore di meglio preparare la squadra in vista delle partite contro la Macedonia del Nord e contro la vincente tra Portogallo e Turchia. Gli esponenti di vertice del movimento calcistico, dunque, hanno ritenuto che l’interesse della nazionale, e perciò l’interesse generale, poteva e doveva essere sacrificato agli interessi particolari delle singole squadre. A parte la miopia di chi non ha compreso che la mancata qualificazione della nazionale avrebbe significato un declassamento dell’intero movimento, colpisce l’indifferenza con cui è stata considerata proprio quella passione dei tifosi, che costituisce il muro di protezione, nel quale la cittadella del calcio si rifugia per rendersi impermeabile alle regole dell’etica e del diritto.
L’episodio citato serve, tuttavia, anche a comprendere quale sia uno dei punti maggiormente critici dell’attuale organizzazione del calcio. Esso si articola intorno due istituzioni fondamentali: la Federazione e le Leghe. Ebbene, proprio l’episodio della mancata sospensione del campionato indica che, nell’equilibrio tra questi organismi, il potere delle Leghe, e in particolare della lega di serie A, è divenuto eccessivo rispetto a quello della Federazione. La Lega di serie A, portatrice di interessi particolari, è la sede nella quale sono presenti e decisive nel formarne la volontà proprio quelle squadre che, per fare un esempio, con le plusvalenze fittizie alterano i bilanci. È difficile, allora, pensare che un organismo del genere sia quello più idoneo ad orientare il mondo del calcio verso il virtuoso rispetto delle regole e dell’etica. Questo significa che la necessaria rifondazione del movimento deve, innanzitutto, muovere da un riequilibrio dei poteri, affrancando la Federazione dal potere di condizionamento che hanno oggi soprattutto i club di serie A. Solo così sarà possibile ridisegnare un movimento nel quale i valori centrali diventino la trasparenza e il merito e nel quale la Federazione abbia la forza di espellere chi non li rispetta. Muoversi in questa direzione significherebbe restituire solidità e credibilità al movimento. Ed è solo un movimento solido che può esprimere stabilmente una nazionale ricca di talenti e di entusiasmo. La speranza, dunque, è che la sconfitta con la Macedonia del Nord sia una lezione che consenta, finalmente, di giungere a una riforma che è ormai indilazionabile.

Fonte: IL RIFORMISTA