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Il Capodanno nero del football americano

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Il football è ricco, il football è appassionante, il football è anche isterico e dipende solo dai risultati, in Europa come in America, che si giochi con un pallone sferico o ovale, coperti di armature e di caschi o solo di parastichi, il football è imponderabile, con i sei quarterback più pagati, dai 33.5 milioni di dollari di Aaron Rodgers ai 30 di Matt Ryan, ai 28 di Kirk Cousins ai 27.5 di Jimmy Garappolo, ai 27 di Matthew Stafford, ai 25 di Dark Carr, che hanno tutti fallito i playoff, collezionando complessivamente 31vittorie. Il football è quindi estremamente generoso ma allo stesso tempo brutale, ti portare dalle stelle alle stalle in un amen, ti sega la panchina in un week-end. Basta guardare il borsino degli allenatori licenziati quest’anno nella lega pro statunitense più ricca ed esigente, la NFL, ben otto, sei alla vigilia dei playoff. 

È caduto anche il veterano Marvin Lewis, uno dei più resistenti in panchina che, dopo sedici stagioni, saluta Cincinnati e lascia al comando della hit-parade degli insostituibili Nill Belichick, con diciannove stagioni ai Patriots. Il gran capo dei Bengals ha sparato le ultime cartucce domenica ma, dopo lo 0-7 nel post-season – il peggiore di sempre NFL – è saltato lunedì, come i colleghi  Todd Bowles dei New York Jets, Vance Joseph dai Denver Broncos, Kirk Koetter dei Tampa Bay Buccaneers, Adam Gase dai Miami Dolphins e Steve Wilks degli Arizona Cadinals.

In una grande nazione dai grandi ideali e dai grandi contrasti sociali mai risolti, ha suscitato subito perplessità che Joseph, Wilks, Lewis, Bowles (più Hue Jackson allontanato in precedenza) siano neri, lasciando come superstiti di allenatori di colore nella NFL soltanto Anthony Lynn dei Los Angeles Chargers (12-4) e Mike Tomlin dei Pittsburgh Steelers (9-6-1). Più Ron Rovera dei Carolina Panthers, che è latino, in rappresentanza dei coach non bianchi. Facendo scadere radicalmente la percentuale del 70% degli allenatori neri nella Lega, e rilanciando la storia di Colin Kaepernick, l’ex quarterback dei San Francisco 49ers che nel 2016 cominciò la moda dell’inginocchiamento all’inno nazionale per protestare contro il razzismo e la brutalità della polizia contro la gente di colore e da due stagioni non trova più squadre. 

Ma, a determinare i siluramento dei capi allenatori, sono stati solo e soltanto i risultati, a cominciare dal veterano Lewis, malgrado l’attenuante dell'infortunio al quarterback Andy Dalton (con Jeff Driskel promosso in prima squadra). Joseph è subentrato in una squadra di successo come i Broncos, con cinque playoff negli ultimi sei anni, ma non ha saputo gestire la transizione dell’era post-Peyton Manning, firmando la sua condanna con bilancio di 5-11 e 6-10, le due peggiori stagioni dal ’71-’72, colpevole soprattutto di non aver trovato la soluzione del quarterback con Case Keenum.

Con due anni ancora di contratto e 6 milioni di dollari garantiti. Wilks ha fallito già al primo anno coi Cardinals con un 3-13 che, dal 2000, rappresenta la stagione più nera della squadra campione di tre anni fa, poi sempre più in crisi, con appena 7 e 8 successi nelle sue ultime edizioni. Colpa del quarterback Josh Rosen, che non è stato in grado di brillare, da rookie (al primo anno da pro), come i coetanei Lamar Jackson dei Baltimore Ravens e Baker Mayfield dei Browns. 

Tutti condannati dai risultati. Caro, affascinante, implacabile, football.

Vedi: Il Capodanno nero del football americano
Fonte: sport agi


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