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IL CALCIO ITALIANO STA (DE)CRESCENDO?

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di Antonio Pio Di Bari

Nel mercato appena concluso il campionato italiano ha dovuto fare i conti con le partenze in extremis di campioni del calibro di Lukaku, Donnarumma, Ronaldo e Hakimi, andando ad aumentare sempre di più quello che è il divario tra la nostra lega e quelle estere, ma è realmente così?

Indubbiamente la situazione pandemica ha avuto effetti di certo non positivi dal punto di vista economico per la maggior parte delle squadre europee, tranne le inglesi e la strapotenza parigina ma è realmente questa la causa che non permette alle squadre italiane di gareggiare per ritagliarsi uno spazio tra le big d’Europa? Evidentemente no, dato che ogni calciatore precedentemente citato si trovava in Italia l’anno scorso e nonostante ciò il massimo risultato ottenuto in Champions è stata l’eliminazione della Juve contro il Porto agli ottavi di finale.

Ogni nazionalità, ogni allenatore, ogni campionato possiede un proprio DNA calcistico, che piaccia oppure no, e non è imitando il gioco degli altri che si cresce. La Spagna con Real e Barcellona ha dominato il palcoscenico europeo nell’ultimo anno stupendo tutti con un gioco bello da vedere basato su tocchi rapidi e veloci esportato in Inghilterra grazie a Guardiola negli ultimi anni. Di conseguenza in molti hanno pensato che il modo migliore per vincere fosse cercare di dominare dal punto di vista tattico la partita piuttosto che tecnico. La ricerca del bello tuttavia sembra superare la fame di vittoria, perché non sempre questi due aspetti coincidono, in quanto il tiki taka, come ogni schema di gioco possiede vantaggi e svantaggi.

Un esempio di quanto appena trattato lo si può riscontrare nelle eliminazioni sanguinose delle italiane in Champions avvenute lo scorso anno ad opera della costruzione dal basso: schema con cui il gioco viene prodotto a partire dalla retroguardia con intelligenza per creare superiorità numerica , che può però essere messo in crisi da un pressing offensivo che rischia di lasciare spazi sanguinosi alla compagine avversaria. In molti dei gol subiti dalle italiane nella scorsa edizione della coppa dei campioni la situazione poteva essere sventata con un rilancio sicuro dalla difesa messa in difficoltà, che invece si ostinava a trattenere palla per timore di perderla a centrocampo (zona comunque più sicura e lontana dalla porta).

Il calcio italiano costellato di successi e trionfi ha da sempre portato a casa risultati grazie ad un gioco difensivo basato sulla grinta e sulle ripartenze, non avendo la pretesa di dominare la partita per novanta minuti, ma capendo l’importanza di uno giusto dosaggio delle forze, concedendo e soffrendo quando era necessario. Uno stile di gioco più aggressivo è una buona soluzione quando si incontrano squadre più deboli sulla carta in partite di campionato ad esempio ed è questo quanto sta accadendo in serie a, tanto da spingere lo stesso Mourinho, tecnico della Roma, a definire la lotta per ogni singola posizione (soprattutto per quelle che si avvicinano alla vetta) più dura rispetto alla sua ultima esperienza in Italia; questo perché tutte le squadre che siano big o medio piccole hanno più consapevolezza e si sentono di rischiare anche una sconfitta pur di portare a casa i tre punti. Questo è un discorso giusto ed intelligente che può essere applicato in campionato dato che su cinque partite, due vittorie e tre sconfitte portano più punti rispetto a cinque pareggi; ma non può essere applicato in gare secche in cui il margine di errore è minimo ed un pareggio ti può portare ad una vittoria ottenuta nei tempi supplementari o ai calci di rigore.

L’Italia di Roberto Mancini ha vinto un Europeo affidandosi ad una fase difensiva mostruosa, alle giocate di Insigne (celebre il suo tiro a giro) alla consacrazione di Spinazzola e Chiesa che hanno distrutto le loro fasce di competenza (nonostante il giocatore della Roma ricoprisse un ruolo più arretrato) e a verticalizzazioni veloci grazie al nostro centrocampo piuttosto che a giri palla infiniti e sterili.

Anche l’Inter del triplete, la Juve del primo Allegri (vincitrice di cinque scudetti consecutivi e finalista di Champions per due volte in tre anni), Il Milan campione d’Europa (che aveva giocatori di livello indiscusso, ma che non ha mai sottovalutato l’importanza di una buona fase difensiva) capivano come in alcune fasi della partita si potesse cedere il pallino del gioco agli avversari e recuperare le forze.

Gli esempi sono molti, ma la storia della nostra nazione ci insegna che il nostro paese ha un DNA chiaro e prestabilito e vincente per vincere in Europa: bisogna creare una difesa rocciosa e curare i gesti tecnici dei singoli come passaggi precisi e tiri cinici in modo da sfruttare le possibilità che si presentano in zona offensiva.

Tutto questo può colmare il gap che esiste tra le compagini della penisola e quelle del resto d’Europa?

Indubbiamente lo squilibrio dato dalle differenti possibilità economiche tra le società rimane e allora bisogna affidarsi ai veri top player di un calcio italiano in ripartenza: i direttori sportivi, figure in grado di creare un vero e proprio plus valore sui giocatori consentendo alle squadre proprietarie del cartellino degli stessi di rinforzare il loro potere d’acquisto.

Un esempio di quanto detto è la Roma dello scorso decennio che ha venduto giocatori spesso importanti come Marquinhos, considerato insostituibile per prendere ad un prezzo minore Benatia (che per parecchio tempo è stato uno dei migliori difensori del campionato), per venderlo successivamente e sostituirlo con Manolas, che se possibile ha reso ancora meglio. Tutto ciò ha consentito al club di guadagnare parecchio denaro rimanendo comunque su un buon livello grazie alle intuizioni degli osservatori (frutto di uno studio attento). Questa operazione però è molto delicata e può rischiare di portare una squadra al crollo se fatta in modo sconsiderato, come accaduto per la stessa Roma che da anni non riesce più a qualificarsi in Champions per non essere riuscita adeguatamente a sostituire giocatori del calibro di Nainggolan, Salah e Alisson per dirne alcuni.

In definitiva la crescita calcistica deve essere data da un bilanciamento perfetto tra tattica tecnica ed intelligenza finanziaria, tutti fattori che fino alla crisi generata dal Covid stavano portando la serie A nuovamente sul tetto del mondo ed occorre quindi ripercorrere la stessa strada per una ripresa lenta ma costante.