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I regimi parlamentari funzionano sempre peggio. I guai della Germania

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di Carlo Fusaro

Ho seguito il dibattito fra i tre principali candidati alla cancelleria tedesca (le elezioni sono fra due settimane): ed è inutile sottolineare quanto siano importanti anche per l’Unione europea e per l’Italia.

Premessa. Da molti anni la Germania è governata da grandi coalizioni: cioè da accordi post-elettorali fra i due principali partiti: democristiani (CDU/CSU) e socialdemocratici (SPD). In precedenza erano governate quasi sempre da alleanze fra uno dei due e un partito più piccolo (FDP, i liberali). Le grandi coalizioni sono un problema per vari motivi: sempre perché in qualche modo tradiscono le promesse elettorali (al voto ciascuno corre come se potesse, vincendo, governare da solo: poi deve fare compromessi con il partito contro cui ha fatto la campagna elettorale), talvolta perché poi in Parlamento non c’è opposizione (o giù di lì, come oggi da noi).

Nel frattempo anche in Germania, però, il sistema politico si è frammentato; e le grandi coalizioni si sono fatte sempre più ridotte: adesso per la prima volta, nel 2021, è molto improbabile che – posto che la voglian fare – una grande coalizione CDU/CSU-SPD possa avere i numeri necessari.

Secondo i sondaggi al 10 settembre la situazione è questa: SPD 25% (aveva 21%), CDU/CSU 21 (aveva 33%), Verdi 16% (9%), FDP 12% (11%), AfD 11% (13%), Linke 6% (9%). Come si vede 25% + 21% fa 46%. In astratto pur escludendo la destra estrema (che in Germania diversamente da noi è ancora ghettizzata, e pour cause!) le combinazioni sono numerose: e nessuna è considerata esclusa.

Torno al dibattito: tutti e tre i candidati han fatto come e peggio che da noi. A domande precise hanno svicolato, senza prendere impegni né pro una coalizione né contro una coalizione (in particolare da loro quella più suscettibile di provocare reazioni è quella con la sinistra sinistra, die Linke; ma anche un’altra grande CDU/CSU-SPD non piace ovviamente a molti; più centrale la posizione di Verdi e liberali). Così Laschet ha detto testualmente: «dopo il voto, avremo un sacco di tempo per vedere CHI formerà una coalizione, con CHI e COME»: da noi si direbbe, trionfo della prima repubblica! Baerbock, la candidata verde, ha detto: «parleremo con tutti i partiti democratici» (escludendo solo AfD). Scholz idem: «tutti quelli che mi conoscono sanno cosa aspettarsi da me…», e ancora: le elezioni sono «un grande momento democratico…» che non dovrebbe essere influenzato da escludere in anticipo alcuna coalizione (!).

Ora lungi da me intrupparmi nella volgarità sciocca della guerra ai c.d. “inciuci”. La democrazia – e prima di tutto i regimi parlamentari – vive di compromessi: tutto dipende dalle circostanze e dalla qualità di quei compromessi e dei protagonisti. Ma teorizzare le virtù delle mani libere a me sembra poco salutare per il buon rapporto cittadini/partiti/istituzioni. Il guaio è che sistemi elettori proporzionali e frammentazione socio-politica rendono davvero il voto solo la distribuzione delle carte con le quali i politici in Parlamento poi faranno quello che riterranno più opportuno e conveniente: certo assumendosene la responsabilità ma con rendiconto molto lontano nel tempo (quattro anni in Germania, cinque da noi). Ciò può avere i suoi vantaggi ma certamente depriva gli elettori di un’arma importanti per farsi valere. Inoltre tanti più partiti vengono a far parte di una coalizione tanto più difficile ne è la gestione quotidiana. Ne sappiamo qualcosa.

(Parentesi. Non dobbiamo naturalmente nasconderci alcuni fatti: uno, qualsiasi regime e qualsiasi coalizione in Germania funzionerà probabilmente meglio che il più efficiente dei regimi in altri paesi; due, certamente gli accordi di coalizione – Koalitionvertraäge – non sono chiacchiere ma dettagliati documenti da seguire fedelmente; tre, nessuna stupida par condicio impedisce – come si vede – alla TV pubblica tedesca di fare il dibattito SOLO fra i tre candidati con più consensi, escludendo gli altri; quattro, resiste in Germania la convenzione, da noi abbandonata purtroppo, in base alla quali è considerato pacifico che il leader del partito che prende più voti è colui che farà il cancelliere o meglio “la cancelliera”. Solo che gli o le ci vorranno molti mesi per fare un governo e tanta fatica per gestirlo. Per questo, se perfino la Germania funziona così, mi sembra doveroso domandarsi se i nostri regimi parlamentari non potrebbero e dovrebbero essere incisivamente corretti. Anche perché il mondo intorno e le sue sfide non aspettano i nostri sempre più arzigogolati rituali.)

Già professore ordinario di Diritto elettorale e parlamentare
nell’Università di Firenze e già direttore del Dipartimento di diritto
pubblico. Ha insegnato nell’Università di Pisa ed è stato “visiting
professor” presso le università di Brema, Hiroshima e University College
London. Presidente di Intercultura ONLUS dal 2004 al 2007, trustee di
AFS IP dal 2007 al 2013; presidente della corte costituzionale di San
Marino dal 2014 al 2016; deputato al Parlamento italiano per il Partito
repubblicano (1983-1984).

fonte : libertaeguale