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I quarant'anni di Pac-Man

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Spegne oggi le quaranta candeline Pac-Man, un videogioco che ha fatto la storia a tal punto da diventare ormai leggenda o, perlomeno, essere circondato dalla leggenda. Come quella dell’idea che ispirò l’allora ventiduenne Toru Iwatani, dipendente della Namco in quel 1980, che pare fosse a cena fuori con degli amici e venne illuminato quando si accorse che il piatto che conteneva la pizza, senza una fetta, ricordava vagamente una faccia intenta a tentare di mordere qualcosa. 

Da lì l’idea del pallino giallo affamato di puntini dorati e frutta e in fuga dai fantasmi, ma parliamo comunque di una leggenda, la verità lo stesso Iwatani la svelerà qualche anno più tardi: impossibile che sia stata quella l’immagine che lo ha ispirato perché in Giappone la forma della bocca viene rappresentata quadrata, non circolare; ma la storia, sempre secondo ammissione di Iwatani, suonava abbastanza bene, così quella rimase. 

La verità è che la Namco già da tempo era alla ricerca di un videogame che potesse intrattenere anche le donne nelle sale giochi, diventate, tra “Space Invaders” e “Galaxian” luoghi troppo maschili. Fu così che il 22 maggio del 1980, ben quindici mesi dopo l’idea e un lavoro che ha coinvolto ben 15 figure professionali diverse dell’azienda, è nato Paku-Paku, già perché questo è il primo nome del piccolo essere giallo, “aprire e chiudere la bocca” la traduzione letterale, tant’è che in Italia, provando a riprendere qualcosa di simile venne inizialmente distribuito con l’inascoltabile “Gabo-Gabo”, in Spagna “Comecocos”, ovvero “mangia cocco”, che già appare più sensato. 

Per il mercato estero il nome scelto dalla Namco per riavvicinarsi alla lontana a quello originale fu “Puck-Man”, ma agli americani non andava bene, troppo facile la storpiatura in “F..k-Man”, non proprio adatta al pubblico dei più giovani, così divenne “Pac-Man” e da lì è partita una delle storie dei videogame più appassionanti di sempre. 

Nel primo anno furono vendute 100 mila macchinette in tutto il mondo perché si, c’è da ricordarlo, non erano ancora i tempi delle consolle per cui i giochi venivano venduti ai proprietari delle sale gioco e 100 mila macchinette vuol dire incassi record che però finirono tutti nelle tasche della Namco, Iwatani, che con quell’invenzione sarebbe passato alla storia come uno degli autori di videogame più importanti di sempre, era solo un dipendente e, secondo quanto racconta, non ricevette nemmeno un bonus. 

Un gioco, nella sua semplicità, praticamente perfetto, se non fosse stato per quel maledetto livello 256, che da sempre divide gli appassionati di Pac-Man. La storia è questa e per raccontarla ci avvarremo del supporto della pagina Wikipedia dedicata al nostro eroe giallo: in origine doveva essere un gioco infinito, lo schema d’altra parte è sempre lo stesso, non c’è una trama che pone fine all’azione, Pac-Man mangia puntini dorati, tenta di aggiudicarsi i bonus-frutta senza farsi toccare dai fantasmi, il tutto aggirandosi in un labirinto che prevede sempre una via precisa per finire il livello. 

Succede però che quei pochi che sono riusciti a superare il livello 255 si siano trovati di fronte ad una situazione stravolta. “Questo livello” si legge su Wkipedia “è considerato, a causa di un bug, l’ultimo livello di Pac-Man. Teoricamente il gioco può proseguire all’infinito, dato che ogni livello che segue è praticamente identico a quello appena completato, ma arrivati al livello n. 256 la scena cambia sostanzialmente, a causa di un bug nella funzione che disegna la frutta nella barra inferiore dello schermo, dove appare l’indicazione del livello corrente.

Nella linea non dovrebbero comparire più di sette frutti, questo perché il codice si occupa di disegnare – solo nel caso in cui il numero del livello è minore di 8 – tanti frutti quanto è il livello corrente. Siccome il numero del livello viene registrato su un solo byte, completato il 255º (in esadecimale “FF”), la funzione legge dal numero esadecimale 100 (ovvero 256 in decimale) solo lo “00”. A questo punto il gioco crede di trovarsi in un livello inferiore a 8 e prova a tracciare sul fondo dello schermo 256 frutti.

Questo problema fa sì che metà dello schermo venga riempita da simboli casuali che rendono quasi impossibile il completamento del livello (quasi, perché se è vero che molti appassionati hanno da sempre identificato il livello 256 come la fine del gioco, è vero anche che altri giocatori credevano possibile che, se solo una persona avesse conosciuto molto bene il labirinto, sarebbe stata in grado di terminare il livello 256)”. 

Il mistero si infittisce e solo in pochi hanno avuto la possibilità di confrontarsi con tale situazione, il 3 luglio del 1999 Billy Mitchell, un videogamer professionista, raggiunse 3.333.360 punti che è il punteggio massimo raggiungibile a Pac-Man, ovvero la conclusione dei 255 livelli senza mai perdere una vita. Strabiliante. 

Se vogliamo parlare di numeri che restituiscano la portata del successo della creatura di Iwatani, potremmo dire che i diritti d’immagine di Pac-Man in questi quarant’anni sono stati concessi in licenza a più di 250 aziende per oltre 400 prodotti, da deodoranti a cereali, da costumi ad automobili. 

Senza contare ovviamente 39 nuove versioni, l’ultima nel 2016, dove Pac-Man è donna ed è chiamata Ms. Pac-Man, più giochi da tavolo e chiaramente cartoni animati, come quello mandato in onda con enorme successo dalla BBC tra il 1982 e il 1984. Quarant’anni e non sentirli, è proprio il caso di dirlo, la semplicità dell’videogame arcade risulta tanto affascinante quanto intramontabile. 

Una prova? Esattamente oggi dieci anni fa, Google decise di festeggiare i 30 anni di Pac-Man dedicandogli un Doodle che permetteva di immergersi immediatamente in una partita; secondo un rapporto dell’azienda parte che quel Doodle abbia distratto dal proprio lavoro gli utenti di tutto il mondo per un totale di 4,8 milioni di ore.

Vedi: I quarant'anni di Pac-Man
Fonte: innovazione agi


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