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Harding: porto nel mondo il fascino unico di Venezia

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Alla Fenice dirige il tradizionale Concerto di Capodanno

Enrico Parola

Torno nel teatro dove due anni fa, in piena pandemia, eseguii il concerto in una sala vuota, con gli orchestrali distanziati e i coristi con la mascherina
«Questa volta c’è una guerra, prima c’era il Covid e a ben vedere ogni anno ha le sue crisi, ma la musica è sempre un messaggio di speranza perché è espressione di bellezza e di fratellanza, con un inglese a dirigere le note del russo Ciajkovskij, del francese Bizet, del tedesco Mendelssohn e degli operisti italiani». Per la quarta volta Daniel Harding dirige il Concerto di Capodanno che Rai1 trasmette in diretta dalla Fenice, portando in tutto il mondo le meraviglie della Laguna.
«Non ci sono statistiche né confronti scientifici tra Venezia e Vienna, ma ho la percezione nitida che quello della Fenice stia diventando un evento sempre più amato e seguito a livello planetario. Ovunque vada, sempre più spesso c’è qualcuno che mi chiede del Capodanno a Venezia, perché il fascino di questa città è unico. Non è un caso che la prima volta, a dodici anni, che i miei genitori mi portarono fuori dall’Inghilterra fu proprio qui. Fu la nonna a pagare il viaggio, ho ancora viva l’impressione che mi fece Venezia mentre l’aereo planava: non pensavo potesse esistere qualcosa di simile, mi sentivo su un altro pianeta» ricorda. «Sognavo già di diventare direttore e mi immaginavo sul podio della Fenice, ma mai avrei pensato di essere io alla cloche dell’aereo che atterra sulla Serenissima».
Da qualche anno il musicista britannico lavora sei mesi nei teatri e sei mesi come pilota dell’Air France: «Qui ho volato parecchie volte, per me è sempre una gioia e sempre mi concedo una passeggiata notturna. I due luoghi
del cuore sono la basilica di San Marco e la Scala Contarini: mamma l’aveva vista in fotografia e la prima cosa che si mise a cercare quando nonna ci portò qui fu la piazzetta
della Scala. Ogni volta che torno a Venezia vado lì e le mando una foto».
Tanti i ricordi, ma sicuramente quello più forte è legato al Concerto del 1° gennaio
di due anni fa, in piena pandemia: «Musicalmente fu durissima, gli orchestrali distanziati, i coristi con la mascherina, il teatro completamente vuoto; ci sforzammo per tenere la concentrazione, ma alla fine la musica riuscì comunque ad avvolgerci e il senso di fatica e smarrimento fu travolto dalla gioia di poter comunque far musica, distanziati ma assieme».
E poi confessa: «Doloroso, ma al tempo stesso meraviglioso fu invece poter camminare per la città deserta: essere l’unico in piazza San Marco, la sola persona sul Ponte di Rialto o davanti a Palazzo Ducale mi suscitò emozioni e impressioni profondissime. Ogni tanto torno a guardare le numerose foto scattate in quei momenti e fatico ancora a credere che sia accaduto veramente».
Dopo la sinfonia Italiana di Mendelssohn, dirigerà arie e cori da Turandot, Nabucco, Bohème, Traviata, che a Venezia debuttò 170 anni fa. «L’opera italiana ha un’elettricità unica; nei vostri teatri si respira la storia del melodramma: chi suona, chi sta dietro il palco e il pubblico formano una comunità che nel suo patrimonio genetico ha lo spirito e la sensibilità di Verdi, Rossini e Puccini. E da inglese innamorato dell’opera lo percepisco subito».

Fonte: Corriere della Sera