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Halloween? No grazie!

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di Ettore Minniti

«Fino al 1943, nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove c’era un picciliddro si popolava di morti a lui familiari. Non fantasmi col linzòlo bianco e con lo scrùscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso d’occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola d’arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che c’erano in famiglia) che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio”, tratto da “Il giorno che i morti persero la strada di casa” da I racconti quotidiani di Andrea Camilleri (Qua e là per l’Italia – Alma edizione, Firenze 2008).
La festa dei morti è una ricorrenza ancora oggi molto sentita in Sicilia e viene celebrata dappertutto nell’isola il 2 novembre per commemorare i defunti. Lo scrittore, amato per i racconti del commissario Montalbano, nel 2014, propose questa variante al finale rispetto al testo originale :
«Poi nel 1943 arrivarono gli americani, lentamente i morti persero la strada di casa e vennero sostituiti dell’albero di Natale. Credo che però le tradizioni non si perdano del tutto. Non si trovano più i regali, i bambini non mettono più il cestino sotto il letto. Ciò non toglie che tutte le pasticcerie siciliane, per il 2 novembre, preparino quei dolci speciali che servivano una volta per il cestino dei bambini. Mi riferisco ai pupi di zucchero, ai frutti di Martorana, oppure a quei dolci di miele, tra l’altro squisiti, detti ossa di morto. Questo è un modo di conservare comunque la memoria delle tradizioni. Credo non possa esserci un popolo senza memoria delle proprie tradizioni. Le tradizioni si modificano ma è fondamentale continuare a conservarle, in qualche modo, perché in un’epoca come la nostra, che è un’epoca di mutamenti, l’unico modo per non avere paura di tutto ciò che sta avvenendo, è sapere chi sei, senza bisogno di dirlo, di proclamarlo. Ma se sai chi sei, con le tue tradizioni, non perderai mai la tua identità».
Le tradizioni non si toccato, quindi, per non perdere la nostra identità. All’albero di Natale americano, gli esterofili aggiunsero la festa di Halloween. Una festa pagana volta solo al business. Essa è solo e semplicemente un aspetto commerciale.
La tradizione di travestirsi per Halloween nasce per “confondersi” con gli spiriti e quindi non subire l’incontro sgradevole con i morti viventi.
In Sicilia, sul tema, abbiamo poco da imparare, intrisa com’è la nostra tradizione del culto dei morti anche in occasioni di feste gioiose. L’usanza è quella di fare regali ai bambini raccontando loro che sono i parenti morti a “portare” loro i doni. Ma è sul piano dei dolci che Halloween perde di gran lunga la battaglia con la festa dei Morti.
In Sicilia il legame con i defunti si materializza anche nei dolci tipici le ossa di morto in particolare, un biscotto a pasta dura a forma proprio di piccole ossa bianche. A Palermo si preparano i pupi di zucchero, statuette di zucchero, farina, albume e acqua di chiodi di garofano, e poi le ‘rame di Napoli’.
Un dolce, un cibo, un’usanza per i Morti, comunque, si trova in molte regioni italiane. Le ossa dei morti si mangiano anche in Piemonte, in Lombardia si prepara il pane dei morti, un pane dolce con uvetta, biscotti sbriciolati, fichi secchi e cannella. In Puglia la “colva” un dolce a base di grano cotto, uva, fichi secchi e frutta secca. La tradizione culinaria resiste anche a Treviso dove si mangiano focacce caratteristiche dette i “morti vivi”.
Halloween, in tema di magiare, perde su tutto il fronte. Gran parte delle ricette prevedono la zucca come ingrediente principale, ma la tradizione culinaria anglosassone è ricca anche di altri cibi che si consumano in questa giornata, ma nulla a che vedere con quelle italiane.
Tipica di Halloween è poi l’usanza dei bambini di andare in giro a fare “Dolcetto o scherzetto”, che si rifà a una tradizione medievale e alla pratica dell’elemosina e che si ritrova anche nei festeggiamenti tradizionali di Ognissanti quando i poveri andavano di porta in porta a chiedere cibo in cambio di preghiere per i morti nel giorno della commemorazione dei defunti, il 2 novembre.
In sintesi, che senso ha celebrare Halloween? Quando nelle nostre tradizioni cristiane affondano le radici della nostra civiltà e parte della nostra storia. Perché tutto questo anglicismo votato al business?
Ancora Camilleri “I dolci erano quelli rituali, detti “dei morti”: marzapane modellato e dipinto da sembrare frutta, “rami di meli” fatti di farina e miele, “mustazzola” di vino cotto e altre delizie come viscotti regina, tetù, carcagnette. Non mancava mai il “pupo di zucchero” che in genere raffigurava un bersagliere e con la tromba in bocca o una coloratissima ballerina in un passo di danza … Insomma il 2 di novembre ricambiavamo la visita che i morti ci avevano fatto il giorno avanti: non era un rito, ma un’affettuosa consuetudine”.
Halloween? Non grazie, io sto dalla parte della festa dei morti e delle buone tradizioni popolari.