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GUERRE NEL MONDO. Il conflitto israelo-palestinese

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Nonostante le molteplici risoluzioni portate avanti in sede ONU, la popolazione Palestinese, continua a vivere un dramma senza fine, costretta a cedere le ricchezze della sua terra e impossibilitata a far valere i propri diritti

di Giuseppe Accardi

All’inizio del XX secolo si costituì in Europa orientale il movimento sionsta, compagine eterogenea che rivendicava la costituzione di uno stato ebraico situato in medio oriente, più precisamente in Terra Santa. Allo stesso modo nei territori arabi amministrati dall’allora Impero Ottomano, spinte modernizzatrici hanno dato vita a movimenti di rivendicazione ed emancipazione nazionale, tra i quali è emerso con forza il nazionalismo Palestinese.

La contesa per la spartizione del territorio, si fa via via crescente e da entrambe le parti non si è disposti a cedere o trattare.

Già nei primi anni del ‘900, il susseguirsi di molteplici migrazioni, portò decine di migliaia di emigrati ebrei in territorio Palestinese, allora sotto mandato b ritannico, generando i primi conflitti con le popolazioni locali, per lo più di origine arabo-musulmana.

Con il passare degli anni e la formazione dello Stato di Isreaele, su volere principalmente anglo-americano, i dissidi perpetrati hanno contrassegnato la storia di questo territorio, già alla fine del secondo conflitto globale.

Al di là della semplice inimicizia con la popolazione palestinese, dal 1948, anno dell’indipendenza, il nuovo stato d’Israele si è dimostrato una zona tattica e strategica determinante, nonché teatro di guerra capace di generare scontri ed ostilità con le diverse nazioni confinanti.

Le guerre del 1948-1949, la guerra di Suez del 1956, quella dei 6 giorni del 1967, guerra del Kippur nel 1973, sono solo alcuni dei conflitti scoppiati in quest’area mediorientale e che hanno tenuto fino alla metà degli anni ’90 Israele impegnata su più fronti per mantenere in vita il neonato stato ebraico messo continuamente a repentaglio.

Dopo gli accordi di pace stipulati prima con l’Egitto e successivamente con la Giordania, il conflitto si è localizzato, tramutandosi nella questione israelo-palestinese.

Eserciti regolari, gruppi paramilitari e civili indipendenti negli anni si sono dati battaglia per la supremazia nella zona in questione (Striscia di Gaza e Cisgiordania su tutte), fomentando un dissidio che non accenna a concludersi e che porta il numero di vittime tra i civili ad essere aggiornato continuamente.

Benché in molti casi sia stata invocata da più parti la possibilità di intavolare una trattativa con conseguente accordo definitivo, a livello fattuale la soluzione al conflitto storicamente non si è mai voluta trovare.

Già dal primo armistizio, successivo alla dichiarazione di indipendenza, il confine tra lo stato Palestinese ed Israele è risultato illecito, poiché in contrasto con il principio di autodeterminazione dei popoli. Nella fattispecie ha privato lo stato e il popolo Palestinese di sfruttare le risorse territoriali e le falde acquifere necessarie alla essenziale sopravvivenza, dato che le stesse sono rimaste in gran parte in controllo di Israele.

Da questo momento in poi il dissidio è diventato inarginabile, complice l’espansionismo sfrenato di Israele che occupò a cavallo tra gli anni 60 e 70, le alture del Golan e Gaza, alimentando notevolmente il clima di tensione.

Come se non bastasse agli inizi degli anni 2000 lo stato di Israele va ancora una volta oltre le regole, costruendo un muro di confine oltre la linea verde precedentemente stabilita e concordata con la Palestina, in modo tale da limitarne i commerci.

A questo punto interviene l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che chiede il parere della CIG (Corte internazionale di giustizia) che si pronuncia a favore dei Palestinesi invocando proprio il principio di autodeterminazione.

Ulteriori problemi però sorgono dal momento che la Palestina non ha un effettivo riconoscimento come stato indipendente, dotato di effettività, ma viene semplicemente riconosciuto come soggetto internazionale terzo. Dunque non può godere dello status di indipendenza di cui gode invece Israele e chiaramente non può far valere tutte quelle prerogative che sono essenziali per la tutela del territorio e della sua popolazione.

Proprio per questo, nonostante le molteplici risoluzioni portate avanti in sede ONU, la popolazione Palestinese, continua a vivere un dramma senza fine, costretta a cedere le ricchezze della sua terra e impossibilitata a far valere i propri diritti.

A proposito di risoluzioni, esiste la risol. 181 del 1945 dell’ Onu, dove è stabilita un’altra linea che restringe di parecchio il territorio di Israele ma che non viene mai citata in causa. Forse perché garantiva la divisione del territorio in due parti eque e omogenee per la creazione dei due diversi stati? Forse perché la creazione di uno stato per il diritto internazionale non può essere in alcun caso regolata ma deve essere fattuale e tale risoluzione avrebbe fatto dipendere l’esistenza stessa dei due stati da un ente internazionale che si è dimostrato negli anni fin troppo debole.

Infine, a più di 100 anni dall’inizio dei conflitti nel territorio, si continua a morire e a farne le spese sono sempre più i civili, nati in una zona del mondo in cui la comunità internazionale ha deciso di spartire territorio e risorse senza tener conto delle esigenze e della sopravvivenza di un intero popolo.