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Gli istituti di controllo ambientale alla prova della transizione ecologica

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AGI – Il peso della transizione ecologica che il governo Draghi vuole imprimere al paese con la costituzione del superministero affidato allo scienziato Roberto Cingolani e con il Recovery Plan potrebbe mettere a dura prova il sistema delle agenzie e degli istituti di controllo ambientale che si troverebbero a dover far fronte a una mole di lavoro per la quale non sono attrezzati.

È questo il monito lanciato da Alessandro Bratti, direttore dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), l’ente a cui fa riferimento anche il Sistema Nazionale delle Agenzie Regionali per la Protezione Ambentale (SNPA). “Mi sento – ha detto all’AGI – un po’ preoccupato soprattutto per via del quadro normativo, ma anche per le forze che oggi riusciamo a mettere in campo, noi così come le agenzie regionali”.

Spetta infatti a queste strutture rilasciare le autorizzazioni, i pareri, le verifiche necessarie per approvare le opere che saranno varate con questo nuovo piano che, per quanto riguarda la transizione ecologica, “è basato sull’impiantisca con interventi di modifica dell’attuale o di realizzazione di nuovi impianti”.

“La mia preoccupazione – spiega Bratti – è che ci arrivi addosso una quantità insostenibile di progettualità e di progetti da verificare in tempi non compatibili con le forze che abbiamo rispetto a quelle che andrebbero messe in campo per poter svolgere un lavoro di qualità. Non vorrei – ribadisce il direttore di Ispra – essere schiacciato nella morsa di quelli che bloccano il paese, perché non è così. Noi con le poche forze che abbiamo già in condizioni standard riusciamo a produrre una discreta quantità di risultati, ma non si può pensare di mettere in campo un progetto così ambizioso come il Recovery Plan senza tenere in considerazione questa parte. Perché non dobbiamo tenere conto solo dell’innovazione tecnologica, delle nuove imprese, dei progetti, ma c’è da considerare anche tutto il processo di verifica e di vaglio di questi progetti”.

“Anche gli impianti più innovativi – ricorda Bratti – hanno un impatto, e questo va misurato, quantificato, verificato e, soprattutto, controllato, anche per dare garanzia ai cittadini che le cose si stanno facendo come devono essere fatte, per cui la più grande preoccupazione che ho adesso e che hanno tanti direttori generali di agenzie, è un po’ questa, che non si consideri questo aspetto invece fondamentale. Dopodiché noi siamo disponibili a fare la nostra parte, per dare, con le nostre competenze, anche un valore aggiunto sulla progettualità. Su questo siamo a disposizione del Governo e del Ministro”. 

Con la transizione ecologica, e il passaggio ad una economia a più bassa intensità di carbonio, come prevede l’Unione Europea,  sarà necessario riconvertire gran parte delle nostre industrie, in primo luogo quelle della produzione energetica, ma anche quelle dei trasporti, delle costruzioni, e tutta la filiera della gestione dei rifiuti, perché anche le auto elettriche alla fine dovranno essere smaltite, e con loro, le loro batterie. 

“Esattamente e devono essere smaltite in maniera corretta, nel modo più opportuno, con percorsi di trasparenza. Noi garantiamo e verifichiamo tutti questi passaggi. Però non sempre abbiamo i mezzi adeguati a gestire ogni singola situazione”.

Non è ancora chiaro e non è stato ancora definito quanti e quali impianti dovranno essere realizzati in Italia nei prossimi anni per adeguare la nostra economia ai nuovi parametri europei, ma certo lo sforzo è considerevole.

“Per quanto riguarda il Recovery Plan – ha spiegato Bratti – la parte di transizione ecologica (e in particolare quella energetica) fa riferimento a un altro piano, che è il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), che deve essere rivisitato perché gli obiettivi a livello europeo sono cambiati e sono molto più sfidanti (si parla del 55 per cento di diminuzione di CO2 entro il 2030) e lì c’è una serie di indicazioni impiantistiche abbastanza chiara e rilevante, che va dall’ammodernamento delle vecchie centrali, per cui anche quelle a gas devono essere rimodernate secondo tecnologie più performanti, alla riconversione di quelle a carbone, alla costruzione di linee elettriche in grado comunque di sostenere il sistema di produzione delle rinnovabili, agli accumulatori a batterie per l’eolico, fino agli impianti eolici offshore, che pure hanno bisogno di avere autorizzazioni specifiche, perché non tutti i territori saranno favorevoli alla costruzione di impianti. Sono tante le cose da tenere in conto. Se si punta a realizzare lo storage di CO2, ad esempio, un’implementazione molto criticata, anche in questo caso c’è bisogno di una valutazione di impatto ambientale”.

“Credo – ha aggiunto Bratti – che ci sia bisogno di riunirsi e quantificare a tavolino la totalità del lavoro da fare, perché oggi più di qualche tempo fa sappiamo bene o male quali siano i requisiti per svolgere un’istruttoria di una valutazione di impatto ambientale, sappiamo cosa ci vuole per fare i controlli eccetera. Ci dovremmo pertanto sedere al tavolo con chi di dovere (almeno si spera) e spiegare bene che c’è bisogno di una determinata forza lavoro che possiamo acquisire in un altrettanto determinato lasso di tempo. Nel frattempo, pancia a terra per cercare di dare tutto il contributo immaginabile possibile alle condizione date, ma con una prospettiva in tempi non troppo lunghi”. Il discorso investe anche i ruoli dei ricercatori. In generale va rafforzato tutto il sistema integrato della protezione ambientale.

“Certo, è un sistema che, per quanto riguarda Ispra, ha un’età media di personale di 50,72 anni, per un istituto di ricerca è un indice un po’ troppo alto. Io stesso ho 62 anni, quindi sono un po’ da rottamare, se vogliamo. In questo momento ad esempio noi 1.100-1.200 dipendenti, non è che son tutti impiegati a fare quel lavoro che dicevamo prima, perché ci sono tante altre mansioni da svolgere, ma questo dato rende molto bene l’idea di quello. Le nuove sfide con un livello tecnologico avanzato non possono prescindere dalla necessità di avere del personale fresco, menti giovani in grado di affrontare tutti i possibili nuovi ostacoli. Se non rivediamo un pò il parco dipendenti, il rischio è che tutta questa bellissima progettualità si areni”.

Vedi: Gli istituti di controllo ambientale alla prova della transizione ecologica
Fonte: cronaca agi


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