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Gli arazzi di Marsala, trama e ordito di un restauro 'aperto' che li curerà

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Sono otto, e in 350 cm di larghezza e 500 cm di altezza, raccontano la guerra e tra Romani e Giudei del 66 d.C.. Chi li realizzò voleva, attraverso la trama e l’ordito fiamminghi, invocare la clemenza di Filippo II nei confronti dei Calvinisti olandesi, allo stesso modo in cui l’Imperatore romano era stato benevolo nei confronti degli ebrei.

Patrimonio della chiesa Madre di Marsala, gli arazzi, risalenti al XVI secolo, vanno incontro a un’altra avventura: un processo di restauro che si concluderà tra circa un anno,  visibile al pubblico, al termine del quale troveranno spazio in una nuova struttura, in grado di ospitarli e dar modo all’arte tessile, alle maestranze che li realizzarono e a quelle che li stanno ‘curando’, all’arte tessile e pittorica della cultura europea del XVI secolo di tornare a ‘parlare’ al pubblico, mettendo in fila, uno dopo l’altro e in modo unitario, la propria narrazione.

Gli arazzi giunsero in Sicilia in modo misterioso, sul quale una leggenda fa solo parzialmente luce. Furono lasciati alla chiesa Madre nel 1589, da monsignor Antonino Lombardo, già canonico della cattedrale di Mazara e arciprete di Marsala, di origine marsalese, cui erano stati donati dalla Corte spagnola. La leggenda narra che la Regina d’Inghilterra, Maria I Tudor figlia di Enrico VIII, durante una tempesta abbia trovato riparo nel porto di Marsala e sia stata ospitata da Lombardo, apprezzato uomo di cultura e di fede, che in breve divenne confessore della regina e suo apprezzato consigliere culturale.

Gli otto arazzi furono il dono di ringraziamento della regina al religioso, che a sua volta li lasciò alla chiesa Madre con l’obbligo che non fossero mai dispersi né spostati in altro luogo. Da allora costituiscono la più importante raccolta dopo quella conservata a Napoli nel Museo di Capodimonte. “La Chiesa custodisce la Bellezza – ha spiegato il vescovo vi Mazara del Vallo, Domenico Mogavero – pur se espressa nel linguaggio pagano. La Chiesa è pienamente inserita nel tempo che viviamo”.

Gli arazzi furono esposti per lunghi periodi nella zona absidale della chiesa Madre, quasi ignorati. Nel 1893 crollò la cupola, e si pensò di venderli per ricavarne somme sufficienti alle riparazioni. Non accadde, fortunatamente. Nel 1965 si ebbe un primo restauro, e poi una mostra, ma solo nella prima metà degli anni ’80 gli arazzi trovarono ospitalità all’interno di un piccolo museo che si trovava al confine con l’abside della Chiesa Madre.

Al termine di un lavoro lento e paziente- coordinato sul campo dal direttore tecnico Giuseppe Ingui e da un team composto da Giacomo Mirto, Sonia Caccamo e Lucilla De Angelis – saranno collocati  nella Chiesa del Collegio di Marsala, da trasformare in Museo degli Arazzi e del patrimonio tessile della Chiesa Madre. “Occorre oggi – ha sottolineato l’assessore regionale ai Beni culturali, Alberto Samonà – che su queste competenze si costruiscano scuole di formazione altamente specializzate capaci di attrarre in Sicilia capolavori d’arte da tutto il mondo nella prospettiva che la Sicilia possa diventare un riferimento a livello mondiale”.

Il progetto prevede il completamento del restauro dei locali e l’allestimento della sala dove, oltre agli otto arazzi, troveranno sede anche antichi e preziosi paramenti sacri, dieci dei quali saranno soggetti a restauro. Il progetto complessivo (restauro degli arazzi e realizzazione del museo), messo a punto dall’architetto Luigi Biondo, ha un costo complessivo di circa 3 milioni di euro (110.000 euro per gli arazzi e i paramenti).

Il primo arazzo potrebbe essere pronto tra un mese. Intanto, si può visitare il cantiere in cui sono restaurati, potendo così ammirare gli otto gioielli tra le le meraviglie scultoree di Giacomo Serpotta, contenute nell’Oratorio dei Bianchi di Palermo. Chi vi entri, potrà perdersi tra stucchi e colori. All’uscita, purtroppo, si imbatterà in un cumulo di immondizia, in una piazzetta dei Bianchi trasformata in discarica.

Vedi: Gli arazzi di Marsala, trama e ordito di un restauro 'aperto' che li curerà
Fonte: cultura agi


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